AMARGINE

Taylor Swift e Laura Pausini e il tempo in tempi strani. TheClassifica 44/2023

“Time is on my side. Yes, it is”

(The Rolling Stones, 1964)

“Time waits for no one – and it won’t wait for me”.

(The Rolling Stones, 1974)

È tutto così strano. Non so se Kafka è ancora di moda. Non mi pare. Ma l’anno prossimo sarà il centenario della morte, e tutti ci ricorderanno che è sempre attuale, a partire naturalmente dall’irreprensibile The Guardian. Fino ad allora, nessuno se lo filerà. Ragion per cui potrebbe anche essere seduto qui di fianco a me in questo bar. E con fare nervoso e preoccupato, mi direbbe: “Se tante cose ti sembrano strane, dovresti coltivare l’idea che quello strano sei tu”. Dopo di che, ordinerebbe – preoccupato – un cappuccino – e la barista gli risponderebbe “Non so cosa sia. Non credo che esista. Nessuno me lo chiede mai. E comunque questo non è un bar”. E appena uscito – nervosamente – di qui, verrebbe cortesemente ma fermamente fatto salire su una misteriosa automobile nera priva di targa e di finestrini.

La numero uno. A me sembra affascinante, ma strano, che Taylor Swift sia al n.1 in Italia con lo stesso disco che 10 anni fa (sto arrotondando. Sono 9 esatti) si era fermato al n.5. Certo, era l’epoca dei dischi rotondi. Ma il 2 novembre 2014, gli ITALIANI avevano preferito di gran lunga un album di Fiorella Mannoia a 1989, forse l’album più importante della Regina della Pennsylvania.
Sì, questa è una versione nuova. Ma come forse sapete, TS non sta rielaborando le sue vecchie canzoni e i suoi vecchi album, non è come Ornella Vanoni quando, per motivi discografici, le pubblicava sotto il titolo Oggi le canto così. Come già accaduto per le precedenti Taylor’s Versions dei suoi album, il 1989 del 2023 è molto molto simile al 1989 del 2014, lo ricalca quasi del tutto. Solo il vero fan, molto attento e con le orecchie tese, può cogliere le differenze. Ho dragato un po’ la fanbase, e qualcuno dice che diverse canzoni sono impercettibilmente più bombastiche (spero che l’antitesi vi piaccia). O più “out of the woods”, direb-be l’illustre Swift.

È tutto così strano. Taylorona è più amata da una generazione di teenag*r italian* OGGI che è ampiamente adulta, che non dalla generazione cui era più vicina anagraficamente. Il mercato è cambiato, il pubblico è cambiato? Sì, succede. Per esempio, una volta qui era tutto Kafka, ora no, proprio quando sembra che noi gli siamo andati incontro. Ma se 1989 di Taylor Swift non si è mosso, siamo noi che gli siamo andati incontro?

…Ok, NON tutti NOI, no. Non c’è bisogno che mi ripetiate ogni volta che le classifiche non sono rappresentative della totalità, che bisogna considerare altre cose, per esempio i concerti (due San Siro prenotati e sold out in meno di un giorno. Se proprio la mettiamo su questo piano). Sì, comunque sicuramente Taylor non ha la maggioranza assoluta in Italia. Di sicuro non ce l’ha nella fascia dello streaming, sacro regno del teenager maschio che passa la giornata sui #VideogiochiDiMenare.
D’altra parte, NON tutti gli aventi diritto al voto hanno votato alle ultime elezioni, anzi. E NON tutti tra i pochi che hanno votato, hanno scelto Giorgia Meloni e i mussoliniani. Ma indovinate chi ci governa? Quindi, datemi ragione UNA VOLTA. Oh.

È tutto così strano. Perché 1989 non si è mosso, ma Taylor è cresciuta. La sua musica è rimasta la stessa, lei no: è come quel film di fantascienza anni 50 (inevitabilmente metaforico) con la donna alta venti metri. I fans non la chiamano The Queen o The Diva o The Bossa: la chiamano The Music Industry. Ed è ironico, perché TS sembrerebbe nel perfetto centro di quel che rimane dell’industria musicale mainstream, eppure a suo modo non lo è. Non insegue nessuna tendenza: sta lì ma è indifferente allo scorrere dei flutti del mainstream,  non si cura di eventuali, patetiche velleità trendy dalle quali dipende lo hype di pop, rap o quello che rimane del rock. Non è disturbata dalle ciance artistiche di cui noi fulminati ci riempiamo la bocca, sperando che non ci appaia il Giudice di Kafka a dirci che come il cappuccino, l’arte non viene servita in questo bar. Il pop del 2014 di 1989 suona ineccepibile anche nel 2023. Anzi, in qualche caso è pure meglio. Perché alla fine, di Dua Lipa o di Harry Styles o di Lana Del Rey ce n’è pochini, e anche solo stando ferma, Taylor Swift travolge tutti i nuovi fenomeni.

È tutto davvero strano, perché alla fine, la sentenza di Taylor Swift sembra essere che la musica pop di dieci anni fa era meglio, faceva il suo mestiere che era quello, come si dice, di arrivare. In questi anni Swift ha fatto quadrato attorno a se stessa e alle sue capacità. E visto che abbiamo tutti deciso che i numeri sono tutto, i numeri le danno ragione. Chissà se tutto questo sembra strano a

La numero due. Lo smacco subito in patria da Laura Pausini è un verdetto che era un po’ nell’aria. Il suo disco è stato firmato da una schiera di autori di pregio tra i più rinomati del pantheon del pop italiano: avvolti da spire di incenso, hanno per lei poetato e ricamato griffatissimi suoni i preclari Cheope, Biagio Antonacci, Federica Abbate, Franco126, Alessandro Raina, Tommaso Paradiso, Denise Faro, Dardust, Davide Simonetta, Michele Bravi, Edwyn Roberts, Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari, Denise Coro, Niccolò Agliardi, Alessandro La Cava e Virginio.

Ebbene, non è andata troppo bene.
Anime Parallele paga l’uscita contro la peggiore avversaria possibile e deve accettare un debutto al n.2. Al di là della concomitanza sfortunata, è arduo non notare che in questi nove anni la Divina Pausa non ha fatto che crescere come personaggio, diventando così enorme da rompere molti soffitti: San Siro, i Grammys, le tv straniere, ma anche una capacità di intrattenitrice rara tra le sue colleghe italiane. Ma mentre lei cresceva, le sue sorelle e figliocce abbassavano le pretese, e rimpicciolivano il pop italiano: si prestavano a fare le coriste dei rapper come le ragazze che escono dalla torta agli addii al celibato, facevano le canzoni dell’estate, andavano a Sanremo in gara e non da superospiti, e anche così facendo, si accreditavano in qualche modo come voci del popolo, da Emma a Elodie, da Sandrina ad Annalisa (tutte creature di Maria – veh, che strano).

È davvero strano, perché è come se Laura Pausini avese fatto l’errore di non pensare in piccolo. Intendiamoci, credo rimanga in grado di riempire di nuovo San Siro e di tirare su dischi di platino e onorificenze da riempirci un cargo battente bandiera liberiana. Ma il progressivo distacco dai gusti della sua gente, quella che l’ha amata da quando apparve da piccola nella Sacra Kermesse, è significativo. Può darsi che il suo torto sia stato quello di non pensare alla hit piaciona, al featuring strategico, alla canzone magari un po’ stracciona ma che non desse la sensazione di essere calata dall’alto, specialmente nel campo minato del pop motivazionale. Chissà se sotto sotto pensa, come Gloria Swanson in Viale del Tramonto, che lei ora è grande mentre la musica italiana è diventata più piccola. Può darsi che sia così. Ma sappiamo tutti che il problema della veneranda diva di quel film era un po’ un altro.

Resto della top 10. L’ex n.1 Calcutta scende al n.3: come gli otto capoclassifica che lo hanno preceduto negli ultimi due mesi, ha tenuto la vetta una sola settimana. Al n.4 debutta Villabanks, facendo slittare di una posizione Geolier (n.5) e Tedua (n.6). Entrano direttamente al n.7 Sadturs & Kiid, giovanissimi prodücers italiani con un sacco di featuring utili (Ghali, Rondodasosa, Artie 5ive). Tengono miracolosamente i Rolling Stones (n.8), entra al n.9 lo strano ma divertente disco di Halloween dei Duran Duran Danse Macabre, e chiude al n.10, aggrappato alla top ten per pura testardaggine, il vecchio Sirio di Lazza, che la frequenta da 82 settimane.

Sedicenti singoli. Molto probabilmente anche la regina Taylor lascerà il trono dopo sette giorni: un po’ per il prevedibile debutto al n.1 della società affaristica di Salmo & Noyz, ma anche perché le Swifties non sono riuscite a mandare la loro dea nella nostra top 30 delle canzoncine, come sempre fieramente patriota e sovranista (una sola canzone straniera su trenta, e in spagnolo). È una classifica già vista: al n.1 ancora Everyday di Takagi, Ketra, Shiva, Anna, Geolier, Luigi Braccioforte, Beniamino Buonuomo e Ugo Carmelo, che offri-ranno certamente un arzente alla n.2, Angelina Mango con Che t’o dico a fa’ e ai n.3, Boro, Artie 5ive & Andryi The Hitmaker – malgrado cantino le virtù della Cadillac invece che quelle delle ottime, patriottiche autovetture della famiglia Agnelli.

Altri argomenti di conversazione. Tra i singoli è successo quanto due anni fa non era prevedibile: la Universal, che detiene la maggioranza relativa tra i presunti album (44 su 100 seguita dalla Sony con 26), tra i singoli è la terza tra le tre major, con 26 canzoncine in top 100: la Warner ne ha 29 e Sony 38, mentre The Orchard guida i piccolini con tre singoli. Tutti stranieri. Interessante notare che anche l’unica canzoncina non ITALIANA in top 20 viene da Believe e non da una multinazionale. È come se le multinazionali volessero asserragliarci in casa nostra.
Con la generosità che anche l’autorevole The Guardian mi riconosce, vi snocciolo un altro dato: 42 singoli su 100 sono cantati da cordate di artisti, uniti per regalarci momenti indimenticabili. Credevo che le ammucchiate superassero la metà, ma sono felice di essere smentito. No, non è vero: odio essere smentito. In ogni caso evidentemente il numero aumenterà con l’uscita di Salmo & Noyz.
Il re dei singoli ora come ora è Geolier: ne ha 8 in classifica, uno dei quali tutto suo, di lui da solo. Sferoso Famoso ha 7 presenze in classifica – ma nessuno è strettamente parlando, un SUO singolo, sono tutti featuring: in sostanza è il re delle ospitate, l’Ivan Zazzaroni dell’hip-hop. Ehi, potrebbe essere peggio – potrebbe essere Ivan Zazzaroni, ebbasta. Shiva ne ha 6, Lazza e Artie 5ive, giustamente, 5.

Altri argomenti di conservazione. Materia (Prisma) di Marco Mengoni si aggiunge agli album in classifica da oltre 100 settimane consecutive: sono 16. Sono tutti sopra il n.85, che è la posizione occupata da quello messo peggio (Gazzelle).
Se siete impallinati di queste cose, la maggiore concentrazione di inamovibili si trova piuttosto in alto, tra il n.30 e il n.40. Sentite, faccio prima a farveli vedere tutti, in ordine di longevità in classifica (il numero che precede le settimane è quello della posizione attuale):

Credo che possiate vedere da voi che per avere un longlonglongseller in Italia, bisogna essere

1) ITALIANI (sono 15 su 16)
2) UOMINI MASCHI (sono 16 su 16, cioè tutti)
3) Essere distribuiti dalla multinazionale Universal (9) o dalla multinazionale Sony (gli altri 7)
4) avere tra 30 e 40 anni come sette di questi (Marracash supera i 40. Lazza e Rkomi ne hanno 29, non rientrano) (per quest’anno)
5) essere sostanzialmente di MILANO (al limite, Bergamo) come sette di questi. (Blanco è di Brescia, ma non è così vicina, non conta) (e no, Salmo non è milanese di adozione, dai)

Per bilanciare tutto questo machismo, ecco le quote rosa! Ci sono ben 4 artiste femmine in top 40. Wow. Ehi, cosa fanno in giro? Perché non sono al loro posto accanto al focolare in una casa ITALIANA? Ma soprattutto: rimandiamo a casa gli 8 stranieri in top 40 – un record nel 2023. Intanto, uno che abbiamo rimandato a casa è Roger Waters dei

Pinfloi. The Dark Side Of The Moon Redux è durato tre settimane – tutto sommato più di Felicitazioni! dei CCCP, che ha fatto sospirare gli adoratori di Lindo Ferretti per una sola settimana, poi è stato felicitato fuori dalle prime cento posizioni. In compenso, il bene-rifugio per eccellenza se la passa sempre benino: The Dark Side Of The Moon è al n.37. Ha un anno in più di Laura Pausini, che ne compirà 50 l’anno prossimo. Inutile dire che il sempre ostile e antiitaliano The Guardian ignorerà vigliaccamente la circostanza. Ma sarò lieto di ricordarvela. Intanto, grazie per aver letto fin qui.
Non dovevate.

Però, visto che lo avete fatto, vi offrirò una grappa irriverente.