«Pazienza se a qualcuno sembreremo provinciali da film di Vanzina. Non è colpa nostra, del resto. È Roma che è troppo grande, troppo tutto. È che ci basta un unico piano sequenza affacciato sul Tevere come nel video di Stanza singola per ricordarci che tutto questo è eterno. Sopravvivrà a noi, alle nostre partite a padel, alle chiacchiere sulla politica, ai gommoni che aspettano la primavera per filare dritti fino a Ponza, ai flirt con le pischelle di Roma Nord…»
(Pierluigi Pardo, prefazione a Mamma Roma di Mattia Marzi)
Quindi a Roma si sgamano l’un l’altro dalla parlata. Amazing. O meglio: ammazza. Io sono anche stato a sentirla, Pilar Fogliati nel video virale della settimana, impostosi nella nazione malgrado (o grazie a?) il localismo implicito. Ma ho notato una variazione giusto quando ha iniziato a toccarsi i capelli. Poi, lo so per esperienza che anche molti romanesi (cit.) faticano a distinguere l’accento ligure da quello torinese o friulano, però il punto è che ancora nel 2019 l’inflessione è parte della narrazione, e che come ai tempi di Enrichetto Montesano o Paolo Panelli (o Renato Pozzetto, per portare la cosa fuori dall’Urbe) lo strascicamento è il sottotesto della comunicazione. Ma ammetto che ignoravo che a Roma possa evocare addirittura il quartiere: dove sto io, puoi al massimo smascherare il brianzolo in Morgan, ma devi essere molto allenato (o molto guardingo nei confronti dei brianzoli. Come dovrebbe essere il mondo intero). Quanto mi sarò perso di due che ho ascoltato tanto come Silvestri e Fabi, evidentemente appartenenti a una generazione con meno ansie “local” pur essendo inconfutabilmente romani?
E mi viene il dubbio che in una fase in cui l’appartenenza urbana è così cruciale (non c’è rapper di cui non sia noto il quartiere, li so pure io) forse mi sto perdendo almeno una cinquantina di sfumature del New Friccicore della capitale, e altrettante di Silvano Albanese in arte Coez, insediatosi n.1 putacaso al posto del milanese Rkomi. Perché in primo luogo non è nativo di Roma, ma adottivo. Così mi chiedo: la cosa si sente? Come si declina, nella poetica piacionista che persegue da anni e sulla quale era, ora lo so, in anticipo sugli altri colleghi all’epoca invischiati nel rap? Quanto è diverso già vocalmente, il suo piacionesimo arruffato, dal piacionesimo arruffato di Tommaso Paradiso o Calcutta? Do per scontata in ogni caso l’approvazione geografica di Niccolò Contessa dei Cani, suo produttore, che in un’epoca ormai lontana fu protagonista, come Il Deboscio a Milano, di una breve ma fortunata era di antropologia del quartierino. Quel che è certo è che il romanticismo stropicciato e urbano di Coez è vicino alla perfezione, la sua padronanza nel produrre rime di sentimentalismo contemporaneo, maschio ma vanigliato, fa a pezzi sul loro stesso terreno due cantori del meteo che lo hanno preceduto di una generazione social, Giuliano Sangiorgi e Kekko Silvestre. L’album È sempre bello brulica di esempi, ne scelgo due tra i più teneri e ribbélli:
“Fuori c’è un sole che spacca il culo
E com’è che ogni nuvola che vedo sembra il tuo cuscino? Ci voglio fare un giro
Là fuori c’è un mondo che
Sta sul cazzo anche a te
E se ogni nuvola la vedi sempre più vicino, aspettami che arrivo, oh-oh”
Non solo: nel mare dalle infinite onde (“io ho la mia”) e la “Polvere di steeeelleee e mille caramelleeee”, spunta come un faro
“Amare te è facile
Come odiare la polizia
Sai, le canzoni non vanno mai via
Questa è la tua, sarà sempre qua, per quando la vorrai”
Inciso. Ho scoperto da un’intervista a Rollinstò che Coez è ancora nervoso per una mia recensione del 2013. «C’era un pezzo, La strada è mia, che è stato stroncato da quella recensione. Se quel pezzo, uno dei miei meno ascoltati, fosse uscito in Inghilterra avrebbe spaccato. Non voglio essere indelicato ma tanto i risultati parlano chiaro, indipendentemente dalle recensioni. Rolling Stone è un giornale figo, vedo pagine e pagine dedicate a Laioung e Izi. Se poi però vedo un trafiletto così dove si parla male del mio disco, permetti che mi gira il cazzo?»
Non posso più rispondere a nome di Rollinstò ma solo a nome della mia ridondante persona – e la risposta è: “No, non permetto che NO” (semicit.). Ti devi pigliare tutto insiemez. Specie se nei testi ti piace fare il furbetto del quartierinoz. Se scrivi “Esco fuori con gli occhiaaali pure quando non c’è il sole, mi sento vivo soltaaanto quando intorno a me c’è tanto rumore”, ti toccano sia i cuori su facebook che le recensioni sarcastiche. Che poi alla fine, è ben vero che “i risultati parlano chiaro” e oggi i giornalisti musicali ti portano la marmellata con le orecchie: giusto così e nessun problema da parte mia. Ma sullo spaccare in Inghilterra, non è che di questi tempi lassù spacchi fior di roba, eh.
Cionondimeno, accanto al riconoscimento della maestria nel dosare fregnacce e coolness, cosa che non riuscirà mai a Tommaso Paradiso, un’altra cosa che apprezzo veramente di È sempre bello (l’album) sono gli arrangiamenti. Non sempre, perché Domenica è un buon esempio di quando Contessa porta il suo citazionismo anni 80 dritto nei jingle di Aiazzone – ma la chitarra alla Massimino Riva, filtrata come fosse suonata dentro una vasca da bagno mi troverà sempre favorevole. E mi renderà più sopportabile soccombere a una guerrilla urbana che, come mi insegna il comunicato stampa, è
Tenete a mente questa faccenda di Milano e di Roma: tornerà utile. E non solo perché “Stamattina con il sole era bella anche Milano”. Che è una frase (piaciona) al n.1 tra i
Sedicenti singoli. Giacché Coez è numero 1 anche qui: È sempre bello (il singolo) dopo 12 settimane viene ricatapultato in cima alla hit-parade grazie all’uscita dell’album, superando Calma (Pedro Capò feat. Farruko), Per un milione (Boomdabash), Con calma (Daddy Yankee feat. Snow) e Soldi (Mahmood). Ne approfitto per accorgermi insieme a voi che il rap in top 10 non è più così debordante: in questo momento ci sono giusto Sfera Ebbastez e due pentiti come Coez e Ultimez – e non se ne parla volentieri, ma I love you di Ghali sta andando proprio mali. In compenso c’è qualcosa di molto strano, continuo a non vedere tra i primi cento il singolo di Laura Pausini e Biagio Antonacci e non riesco a darmi pace. In ogni caso torniamo agli album e al
Resto della top 10. Podio completamente rinnovato: alle spalle di Coez il ritorno dell’altrettanto romana FiorellaMannoiez, che dopo tanto impegno va al n.2 col suo album Personale, che immagino prevalga sul politico. Al n.3 la romana Billie Eilish, versione goth della principessa Elsa per la generazione cresciuta con Frozen. Il podio della settimana scorsa trasla di 3 posizioni esatte: Rkomi, MiticoLiga e Bohemian rhapsody occupano le posizioni 4, 5 e 6; completano la prima diecina Ultimo (che rischia di ritrovarsi a breve con TRE album tra i primi dieci, credo non succedesse dai tempi dei Duran Duran), ancora i Queen e Lazza. Quest’ultimo e quest’Ultimo in arrivo mi fanno venire in mente che nel 2019 sono andati al n.1 quasi solo romani e milanesi, nativi o d’adozione. Fedez, Iramez, Ultimez, Lazzaz, Ligabuez, Rkomiz, Coez. Di stranieri ovviamente non se ne parla. Vista così sembra proprio una nazione urban, con MiticoLiga ultimo baluardo della provincia, che pure da Battisti a MiticoVasco ci ha dato tanto. Urban ma non cosmopolita, perché poi all’abbassarsi dell’età si cavilla sempre di più sui quartieri, quello è di Prati, lei invece di NoLo, comunque San Basilio, sì ma Lambrate, e via cercando pateticamente un bandolo nella ma(ta)ssa. O dipenderà dal peso di Roma e Milano nell’utenza Spotify? Continuo a fare domande – voi non state lì annichiliti, rispondete qualcosa. Una roba qualunque, tanto nessuno sa come funziona Spotify: è come Dio, però svedese.
Altri argomenti di conversazione. Anche tra le nuove uscite che mancano la top 10 per pochissimo ci sono un romano, Quentin40, di cui nessuno parla (n.11) e la milanese Myss Keta, di cui tutti parlano (n.12). Escono dalla top ten Nayt, che precipita dal n.9 al 33, Lady Gaga, Mahmood (dal n.8 al 16, sta a vedere che davvero Salvini gli porta sfiga come al Milan). Escono del tutto dalla classifica Vengo in pace di Nesli, dopo una sola settimana (era entrato al n.28), così come è durata sette giorni la permanenza di Giovanni Truppi, Apparat, Ketama126. Salutano infine i Dream Theater dopo cinque settimane e Federica Carta dopo sei settimane. Quanto agli album di più lunga permanenza, i tre centenari sono così vicini che vi mandano un selfie dal centro della classifica – e guardate chi c’è sotto di loro.
Miglior vita. Sette album di artisti o gruppi guidati da artisti che hanno abbandonato questa valle di mense scolastiche, ovviamente sono i Queen a fare la voce grossa ma a tutti noi quello che preme è la posizione di Nevermind e sono felice di comunicarvi che dal n.99 risale al n.78, l’anniversario della morte lo ha rivitalizzato.
Pinfloi. The wall rimane granitico al n.56 mentre The dark side of the moon sale al n.43, in generale è un buon periodo per entrambi, a me piacerebbe vederli in qualche reality ogni tanto, secondo me The wall se la caverebbe bene nel Grande Fratello, già me lo vedo con gli occhiali neri che nascondono lo sguardo ‘nténzo, flirtare con la figlia dell’ex sindaco di Roma, perché sarà peffòrza na pischella di Roma Nord, e filare con lei fino a Ponza cantandole N’artro mattone de ‘sto muro o Confortevolmente ‘mbecille.
“…molto guardingo nei confronti dei brianzoli. Come dovrebbe essere il mondo intero.”
[si alza in piedi, applaude con la faccia serissima, pure troppo]