AMARGINE

Memory of a Rai Festival

«L’inviato della pagina musicale scrisse: tutto è stato pagato».

(Francesco De Gregori, Festival)

«Io smetterei anche di parlare di Sanremo, che è finito ormai da cinque giorni e scriverne oggi è come pubblicare un articolo sul Ferragosto il 20 del mese, però purtroppo va così: che abbiamo risolto tutti i problemi veri, ed è rimasto solo Sanremo».

(Guia Soncini, Linkiesta)

O iniqua nemesi, o beffardo contrappasso. Sono uno degli ultimi hater di Sanremo, siamo rimasti davvero in quattro, ed esso mi irride occupando tutto, tutto lo spazio possibile del boschetto della mia fantasia, che incautamente è diventato anche l’orticello in cui lavoro (sempre meno). Ma non è nemmeno tutto qui. La Sacra Kermesse, per motivi che credo sappiate già (non vi offenderò arrivando per ultimissimo a spiegarli) è diventata come l’Onnivora di Robert Sheckley, o come il Blob (“Fluido mortale”), mostri degli anni ’50 come lei. Ogni anno è più grande e leviatana e nessuno l’affronta più. Non lo fanno le altre reti tv, che non provano nemmeno a fare il dispettino di una controprogrammazione a basso costo. Non lo fanno (e perché dovrebbero?) le case discografiche, che bloccano ogni uscita italiana e ignorano le gesta dei loro big stranieri – che tanto, ormai, in questa nazione che si è rituffata nel proprio ombelico, non interessano a nessuno, e pensare che la mia generazione guardava il Festival di Sanremo per vedere gli ospiti.

Ma non ci provano nemmeno gli under 30. Per la maggior parte dei quali la Sacra Kermesse è solo un vecchio talent, uno dei tanti, solo che questo eccita tantissimo gli adulti, con Fiorello subentrato ai vecchi comici bonari di una volta (“Ho visto quer Vasco Rossi che vuole na vita piena de guai, io je darei volentieri i miei”, Nino Manfredi 1983) eppure percepito ancora da tanti come irriverente e malandrino. I ragazzi, sto scoprendo, hanno un punto di vista totalmente disincantato (anche) sul vecchio circo pacchiano di RaiUno. Che tanto, la verità è che vincono tutti, perché alla fine essere famosi significa vincere, quindi diventare stan o bimba di qualcuno diventa un po’ patetico.

Così, molto a lungo rimarranno scarti e scorie di questi cinque giorni di pace, amore e media. Tanto vale rimboccarsi le maniche e iniziare a raccattare.

…Ma non ora. Perché è il momento di un po’ di theclassificare qualcosa, come da titolo della rubrica.
(dopo ovviamente, torneremo alla sala stampa, mia personale pentolaccia – da anni la prendo a bastonate, ma ho una pessima mira, perché i soldi rimangono dentro)

Sedicenti singoli. Rullo di rulli: per la prima volta in oltre settant’anni, per la prima volta nella Storia, la guillotine choke del Festival porta a casa l’intera top 20 – una settimana DOPO la serata finale.
E non solo. Gianni Santoro del Venerdì (e dell’altro giornale che non cito per miserie professionali da me subite quando era di sssinìztra) mi fa presente che se non fosse per il povero Maninni, n.33, tutti i concorrenti si sarebbero ritrovati in top 30 (pure i Ricchi e Poveri, balzati dal n.55 iniziale a un lusinghiero 19). Non ho ancora capito da dove sia saltato fuori il buon Maninni, non credo da un talent. Chissà dove ha sbagliato per essere andato così male, mi sono chiesto.

Poi ho fatto caso a un particolare gustoso, che fa un po’ Fantasanremo. Ma non quello ghignoso e gialappesco, intendo proprio il Fantasanremo delle major, che hanno fatto le squadre prima, e hanno mandato i loro artisti alla pugna. Ebbene la classifica, se date un’occhiata, ribadisce quanto questa rubrica aveva già anticipato: Warner, la Cenerentola delle multinazionali dei suonini, ha finito di spazzare nelle stalle e dopo un profondo rinnovamento interno, ha spazzato via la classifica a colpi di analisi dei dati, scegliendo – evidentemente – molto bene i suoi cavalli. Per contro, come forse potrete notare, una tra Anastasia e Genoveffa esce un po’ squassata dal grande ballo. Guardate, la prima della squadra Sony è Sandrina Amoroso.

Ora, se avete voglia di andare a guardare la playlist di Sanremo di Spotify, magari noterete una cosa. Devono passare sedici artisti prima che appaia un nome della Sony. Al n.17. E sapete chi è? Alessandra Amoroso.

Tutti i Sony, schiaffati in fondo. Naturalmente, siccome questo è un business non di note ma di numerini, e bisogna guadagnarci il più possibile, Spotify avrà fatto i suoi ragionamenti coi nomi portati da Sony, ma li avrà fatti anche Sony – forte soprattutto con gli ospiti: Mengoni e Giorgia, e quest’anno i Maneskin avevano altro da fare. Hanno gente che sa quel che fa, che ha fatto i suoi calcoli. Che ne so io. Mi limito a notarlo e farlo notare. Ora, pausa dai dati. Torniamo ai rifiuti rimasti per terra. Primo tra tutti, come anticipato,

La sala stampa. My man Gianni Sibilla (Rockol) mi informa che il voto della sala stampa è stato segreto. Quest’anno. Su richiesta Rai. Mi piace pensare che sia per la fregola della polemica. Peraltro Sibilla, che pure è più serenissimo nei confronti del Festival di quanto lo sarà mai il sottoscritto, scrive parole sulle quali ho controllato non ci fossero le mie impronte digitali: “Il vero punto di Sanremo è la sua definitiva trasformazione in una playlist di Spotify. Più algoritmica che editoriale, però: troppe canzoni, spesso troppo uguali, in serate eterne con poco racconto e tante gag, senza un filo conduttore. (…) Ma per chi lamenta che la ‘musica al centro’ non c’è: Sanremo è soprattutto uno show televisivo, e non da ieri: è così dai ’90 e anche da prima”. Arriva a dire che il Festival aveva la noia (quella vera) al centro, e io ve lo domando da anni: ma non vi annoiate? Penso a quanta gente mi dice che il baseball o il football americano sono interminabili e non succede mai niente – ma perché, dalle 21 alle 2 di notte, sera dopo sera, anno dopo anno, risulta davvero così eccitante poter fare battute sui social su Il Volo e i Negramaro? Ma ecco laggiù altra roba da raccattare.

Sala Stampa vs Geolier. My man Nic Altea (Wired) mi spiegava che la sala stampa era oggettivamente decisa a non far vincere Geolier. My woman Marta Blumi Tripodi (Outpump) mi diceva che c’era gente che non sapeva chi fosse, lui e i suoi dischi di platino, ma si faceva bastare la provenienza napoletana, evidente prova di un televoto taroccato. My man Altea, di nuovo, ha aggiunto un particolare che non immaginavo: tantissimi colleghi erano risoluti a impedirgli di rappresentare l’Italia all’Eurofestival. Questa poi. Ipotizzo: per battersi contro il cliché del concorrente italiano che canta in dialetto napoletano, come fossimo un popolo di provinciali (NOANTRI??? Ahò, ma quando mai!). Ipotizzo eziandio: perché i miei simili tengono in modo particolare a una vittoria all’Eurofestival e quindi a un’edizione italiana, per dare a tutti noi ulteriore mangime, essendo un popolo mediaticamente sgamatissimissimo ma bisognoso?
(pausa e altro momento TheClassifica, ora)

Presunti album. La compilation/playlist Sanremo 2024 detronizza Sferoso Famoso e si piazza al n.1 nella classifica dei presunti album, che vede il ritorno sul podio di Annalisa (n.2) e Geolier (n.3). Dietro all’attuale quarto posto di Sferoso featuring i suoi mille ospiti, entra Kanye West featuring Ty Dolla $ign. Grosso recupero anche di Emma Maroon, che dal n.32 balza al n.6; alle sue spalle ci sono i Club Dogo e un’altra queen, Loredana Berté: addirittura tre donne in top 10, miracolo della Sacra Kermesse. Chiudono al n.9 Dargen D’Amico e Tedua.
E qui torniamo alla raccolta di quanto è rimasto sul terreno.

Angelina vs Geolier. Seguo Baby Mango dall’inizio, e lei e il suo camp lo sanno. So quanto sa di musica e non potrei essere più ammirato dal percorso fatto finora. Detto questo, non sono sicuro che fosse andata per vincere, e ho trovato pressoché sgangherato il tocco di Mida del prodücer supermagogenio sommo immenso e luminoso nonsiamodegni Dardust. Ma il 73,5% dei giornalisti accreditati ha votato per Mango e 1,5% per Geolier. È totalmente irreale. Non posso che concordare con my man Frankie Hi-Nrg, è stata una mossa da casta mediatica. D’altra parte, poverini noi, contiamo così poco, che ci aggrappiamo a questo, illusi di essere in missione per conto di Modugno. Personalmente credo che il pezzo di Geolier fosse migliore (…ok, ho capito metà delle parole, ma tanto bastava). Poi forse avrei votato qualcun altro ancora, non ho sentito tutte le mille canzoni infinite in gara. Ma quando sei lì, voti quello che ti ha colpito di più, no? O voti quello che ti dicono i capogruppo, come in Parlamento? Forse per esasperazione avrei votato il pezzo più esplicitamente costruito con vari momenti TikTok: quello di Rose Villain. Tra quelli che ho sentito non è il solo a esser costruito con grafici e cronometro. Tanto, si va in quella direzione.

E tu cosa vuoi, pubblico, più acqua, meno acqua? Gli ingredienti sono sempre meno. Per citare uno che la musica la fa (e ovunque), Ferdinando D’Arnò: “È impensabile che tutto il pop, tutta la musica leggera italiana, tutti i cantanti italiani , dai 15 ai 95 anni debbano, per farsi conoscere, o per non essere dimenticati, passare sotto lo schiacciasassi di un concorso canoro, una gara, la sola a disposizione. Una gara dove come in un compressore dinamico, le differenze diventano minime, si azzerano”. Chioso con un’osservazione di Damir Ivic (Soundwall): Sanremo accetta i rapper, ma non il rap. E anche se pochi, come da lamentela di my woman Paola Zukar, martellano il rap italiano più di me, non sono così scemo da negarne l’importanza e vi sfido a trovare un mio coetaneo che ne ascolti più di me. Forza! Dove sta?
Alla fine, guardacaso, le cose veramente memorabili del carrozzone non riguardano la musica. E le più importanti sono successe a Festival concluso, in un ALTRO programma Rai, quello di Mara Venier.

A margine. Io mi fido, io mi voglio fidare di Ghali. Ma per un minuto facciamo un gioco: io sono un vecchio trombone di un giornale di destra, e voi sarete i miei trumponi lettori. Quanto acido potremmo versare sulla sincerità di uno che canta Casa mia sponsorizzato da Ikea? Nella Mia Umile Opinione, questa cosa di sfruttare le opportunità offerte dal GAME è una cosa molto rap, però è a proprio rischio e pericolo che cavalchi la tigre: chiedete a Fedez. E fra qualche anno chiedetelo a Sferoso Famoso. L’unico che mi viene in mente che ce la sta facendo da anni è Gué (Pequeno). E gli auguro di farlo a lungo, perché uno su mille ce la fa, non toglieteci pure lui.

Torno a sssinìztra. (…non resisto, dopo un po’ mi mancano troppo il caviale a chilometro zero e le piste ciclabili) E questo per un ultimo buffo scarto del Festival, trovato per terra. Ho letto da più parti che il Festival è di sinistra. Il che è curioso, perché di nuovo my woman Blumi Tripodi mi descrive una sala stampa conservatrice al limite del reazionario. E in ogni caso, visto che per esempio Castaldo non sarà lì in eterno, ansiosa di raccogliere due sghéi come autori o come ospiti o come esperti, laonde raramente ostile a un sistema musicale fascistissimo e autarchico, in cui come nel 1924 il pubblico si ritrova a votare per il listone di Spotify, e come nel 1954 si appassiona per quanto accade nel paesino in Riviera.

Però chi lo sa. Pensavamo che Miss Italia sarebbe esistito per sempre. Magari anche Sanremo verrà superato.
A destra, ovviamente.

(grazie per aver letto fin qui, e mi scuso con tutti quelli che ho citato, mi serviva un po’ di namedropping per conferire autorevolezza al pezzo)

2 Risposte a “Memory of a Rai Festival”

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