AMARGINE

Massimo Pericolo non basta. Ebbasta. TheClassifica 50/2023

E io dico “Non può essere vero” e loro dicono “Non è più vero niente”.

(Francesco De Gregori, Cercando un altro Egitto)

Per una settimana ho vagheggiato il golpe, l’eresia, la revoluciòn, la transizione epocale. Cioè, che l’album di Massimo Pericolo rimanesse per DUE settimane, e non solo una (quella di uscita) al n.1 nella classifica ITALIANA, ponendo fine alla monarchia di Sferoso Famoso. Invece, dopo una settimana al n.2 dei presunti album, il Reuccio di Spotify è stato risospinto sul trono dalla Grande Armata Teenagelobotomizzata. Le cose cambiano del sig. Pericolo, non potendo contare sui mille ospiti del sig. Ebbasta, si è ritirato verso un onorevole n.3 (malgrado mantenga il primato tra i sedicenti singoli).

I numeri uno. Vorrei che qualcuno di voi che stavate attenti a lezione mi rinfrescasse un attimo su quella faccenda della borghesia che fa fare le rivoluzioni agli utili idioti. Perché anche nell’industria dei prodotti coi suoni divertenti (quella che alcuni si ostinano a chiamare musica) è successo qualcosa del genere. Solo che una volta messo al centro del mondo il 13enne un po’ scemo, è difficile tornare indietro. Per qualcuno non è un problema: anche a 31 anni, Sferoso Famoso ha come interlocutore principale il mammalucco della terza media, e non avrà altro Dio all’infuori di lui.
Alessandro Vanetti da Gallarate in arte Massimo Pericolo ha anche lui 31 anni, e ha tentato di rivolgersi a gente che, come lui, è cresciuta. Volente o nolente. E converrete con me che intitolare il suo nuovo prodotto Le cose cambiano è una mossa esplicita in questo senso.

Ma là fuori, lo scemo brufoloso continua a detenere il potere. E tiene in ostaggio lui e i rapper ITALIANI di buona volontà, proprio come i suoi genitori (Disadattat* di Facebook e Disadattat* di Twitter) tengono in ostaggio la nazione premiando in ogni ambito chi tira giù il livello, sempre più in basso, sempre più giù, e poi ancora di più, cercando un altro fondo.
Mi sbilancio: Nella Mia Umile Opinione, Le Cose Cambiano contiene cose che stanno una, due, spanne sopra la media del rap italiano. Anche per i suoni e i ritmi (sì, bisognerebbe dire “le basi”. Ma più passa il tempo e più questa parola si fa fragile), che cercano di esprimere qualcosa anche loro, qualche sfumatura emotiva, puntellando una sensazione di autenticità dei testi. D’accordo, non ci vuole molto: di norma gli strepitosi producer che sanno comunicare col copioso cerume nelle orecchie del target di questa industria si limitano a ferali plinplin che accompagnino variazioni (minime) sul tema “Minghia fra’ evvedi che siamo in strada con Lambo e pistole e la dddroga”. Che poi, Alessandro Vanetti da Gallarate al gabbio ci è stato davvero, e non solo quello delle patrie galere: ha vissuto e racconta soprattutto la prigione della provincia, della stazione delle Ferrovie Nord. Cosa vi devo dire, io mi sciolgo sentendo una traccia come 17 anni, che invece di tirarmi in faccia i Rolex e i dischi di platino racconta la stazione di Laveno e l’attesa di un treno per Varese (cioè, VARESE). È stato nella prigione del “lavoro alle 8, alla fermata ogni giorno con Totoro: dietro al supermercato, c’è un bosco incantato”. È stato e credo sia ancora nella prigione della difficoltà di esprimere sentimenti in un mondo e specialmente in un Paese che distrugge tutti i frammenti di discorsi amorosi (“Piccola, sai che sei solo mia, solo mia… Mi spaventi solo tu e la Polizia, vita mia, vita mia, noi l’invidia non sappiamo cosa sia, cosa sia – quanto cazzo siamo real”). C’è qualcosa in quello che dice, in come lo dice, che suona vero, e non sembra (come nel 90% del rap) una di quelle serie tv italiane sui giovani disagiati, scritte da gente che si è documentata guardando altre serie tv italiane sui giovani disagiati.
(la cosa che mi sembra meno vera è la barra che accenna all’ascolto dei Flaming Lips mentre guida lungo il lago: mi rifiuto di abboccare)

Ma non è facile uscire dalla prigione del rap italiano e dei suoi secondini, reclutati tra la seconda media e la seconda superiore (di qui il nome). Come ogni rapper ITALIANO, ha bisogno dei loro stream come un politico ha bisogno dei voti dei lobotomizzati. E quindi, qua e là gli tocca ricordare esplicitamente il gabbio (un duetto carcerario con Niko Pandetta), ricordare che lui “non si concia come un trans”, minacciare qualche figlio di papà, bullarsi per la sconosciuta che glielo succhia, insomma dire quello che vogliono sentirsi dire. Che ieri era “Fanculo la scuola, mi fumo la droga”, oggi è “Massimo Pericolo non odia le donne, Massimo Pericolo le adora, ‘ste troie” o fornire la sua versione dell’immancabile mantra di 40 milioni di rapper italiani: “So che vorresti essere dove sto, ma non vorresti mai essere me… Vivo ma a metà, odio essere una star”.
Non del tutto. Non tanto da correre il vero, massimo pericolo: non esserlo affatto.

Resto della Top 10. X2VR di Sferoso ha un pregio: nega il primato ad Autoritratto di Renato Zero (n.2). Ha mancato il podio l’ennesimo album congiunto di quest’anno, quello di Artie 5ive & Rondodasosa, che forse speravano anche loro in qualcosa in più: fanno giusto meglio de La divina commedia di Tedua, uscito 28 settimane fa, e tuttora n.5. Il terzo nuovo ingresso in top 10 è di Elisa, il cui Intimate – Recordings at Abbey Road Studios (oh lalalà) debutta al n.9. L’unico album natalizio nella prima diecina per ora è – beh, sempre quello: Christmas di Michael Bublè, del 2011, ogni anno lì (n.6). Completano la parte nobile della graduatoria, i presunti album di Calcutta (n.7), Salmo & Noyz Narcos (n.8), e Geolier (n.10).

Altri argomenti di conversazione. Dagli altri prodotti degni di nota usciti in queste settimane, prestazioni un po’ meste: hanno mancato il podio sia Peter Gabriel che Ghali, che sono poi usciti subito dalla prima diecina (e sono rispettivamente n.12 e n.20). Ghali, come tutti i bisognosi di rilancio (Emma, Negramaro, Fred De Palma, Sandrina Amoroso, Renga & Nek, Diodato) si rilancerà tra i milioni di concorrenti della Sacra Kermesse. Però la vera notizia, per tipi come noi, è che è finita l’era di Playlist di Salmo. Dopo una permanenza record di 264 settimane in top 100 (più di cinque anni consecutivi, mai successo a nessun album nella classifica ITALIANA), il prodotto col nome assai emblematico del rapper di Olbia ha esalato l’ultimo stream e si è arreso. Interessante e probabilmente non del tutto casuale che in questi giorni siano usciti di classifica altri long seller che sembravano ormai abitarci: 23 6451 di ThaSupreme dopo 212 settimane, Gemelli di Ernia, che saluta dopo 179 settimane, e il pigolante Gazzelle, il cui prodotto dal titolo così muscolare (Ok un cazzo) ha fatto palpitare cuoricini per 145 settimane. Poi non ha superato i due anni di permanenza ma ci sono andati vicini Il giorno in cui ho smesso di pensare di Irama (93 settimane) e Salvatore di Paky, che era in classifica da 89 settimane (lo sapevate?). Ora Re Mida di Lazza è il prodotto più longevo (250 settimane), ma chissà che l’imminente ingresso di YouTube nei conteggi non dia un ulteriore scrollata ai dischi-Topexan che gli adolescenti hanno applicato ogni giorno, tre volte al giorno, fin dalla comparsa del primo pus sui loro maschi volti ITALIANI.

Sedicenti singoli. MoneyLove di Massimo Pericolo col suo piccolo featuring di Emis Killa resta in vetta, resistendo alla comunque ineluttabile All I want for Christmas is you di Mariah Carey (n.2); sempre sul podio 15piani, in cui Marracash è, in teoria, ospite di SferosoFamoso (è più il contrario). Tra le canzoncine con le lucine, sale Last Christmas (n.8) ma purtroppo sale ancora di più la esecrabile Jingle bell rock di Bobby Helms. Di tutta la top ten, le tre canzoni natalizie – essendo vecchiose – sono le uniche a non essere un prodotto fortemente voluto dai manager di celebrities dell’autotune che forse nella vita si sono anche incontrate. E a proposito di robe vecchiose, chiudiamo coi

Pinfloi. The dark side of the moon ha iniziato il suo viaggio che lo porterà sotto tanti alberi di Natale, e sale dal n.34 al 25, cosa che gli permette di superare Hackney diamonds dei Rolling Stones (n.31), che detto tra noi non mi aspettavo di vedere ancora in classifica (e in posizioni decenti) dopo due mesi, per di più impreziositi da diverse stroncature d’auteur (abbastanza patetiche, certamente più di loro). Viceversa, non godono di ottima salute le doppie raccolte dei Beatles, rispettivamente al n.78 (la blu, ovvero le canzoni vecchie) e 99 (la rossa, ovvero le canzoni veramente vecchie. Tra l’altro, incise negli studi dai quali Elisa ci intima le sue canzoni intime). Poi c’è AM degli Arctic Monkeys che sale al n.46. Duole moltissimo invece notare che Dallamericaruso, il fondamentale disco di Valter Weltroni tratto da un coraggioso film di Valter Weltroni, è solo n.41. È brutto pensare che questo Paese non dà a Valter Weltroni la stessa importanza che gli viene riconosciuta, giusto per fare un nome, da Valter Weltroni. Ma confido che tutti voi, come me, vi impegnerete per porre rimedio all’incresciosa circostanza.
Per ora, grazie per aver letto fin qui. A presto.