AMARGINE

FACCI / CALCARE

La serie di (e con) ZeroCalcare #Questomondononmirenderàcattivo ha tra i suoi propositi anche quello molto ambizioso di capire se c’è oggi una linea di confine tra megadestra e megasinistra, dove si trova questo confine e come nasce. Su un giornale di destra ho letto una recensione su un paginone scritto abbaiando da un tipo al quale non so se è stato detto
– “Parti dal titolo e snocciola quarantamila battute di banalità reazionarie buone per i nostri lettori”,
oppure
– “Scrivi qualcosa per farti notare da Dagospia, così entri nell’esercito delle deliziose penne al vetriolo”.
(forse semplifico troppo. Potrebbe essere andata anche peggio. Ovvero:
– “Occhio che questo sta tentando di comunicare con i nostri, apriamo il fuoco per non correre il rischio”)
La serie di (e con) ZeroCalcare ha tra le sue caratteristiche abbastanza sconcertanti
– Una volgarità ostentata che va oltre la normale cifra stilistica di Michele Rech nei suoi libri
– Le continue note a piè di pagina interne, nelle quali il timore più evidente è che un dettaglio venga estrapolato dal discorso e manipolato in un contesto lontanissimo dalle intenzioni dell’autore, che è perennemente atterrito da come viene percepito.
La volgarità ostentata e raramente divertente è una specie di dazio comune ad altri programmi che devono pescare a strascico anche nel pubblico che cerca la #comicità (i deprimenti LOL o Gialappa’s Show). Ma ci vedo qualcosa a che fare anche con il giornalismo contemporaneo, quello in cui o si è assurdamente entusiasti di qualcosa/qualcuno oppure lo “si asfalta” o “distrugge” (una volta mi è capitato di far notare quanto Marco Travaglio si sia distinto in questa pratica, scegliendo una scrittura brutta ancora più che fastidiosa. Un eminente guitto, passato da un programma Mediaset alla politica, intervenne a difenderlo e schernirmi). E ci vedo qualcosa in comune anche con l’articolo di Filippo Facci che si apre con la battuta gratuita su una ragazza e sulla cocaina.
Io sono relativamente contento di essere letto da sempre meno persone. Premetto che per una serie di motivi, oggi posso permettermelo. La verità è che questi aspetti del giornalismo (o della comunicazione, come la chiamano quelli che si occupano di comunicazione) mi stressano oltre ogni dire: l’essere esposti all’estrapolazione ed eventualmente al pubblico dileggio di chi legge (o NON legge), e l’impulso a fare battute sceme.
Ci sono battute sceme che ho fatto in articoli di dieci-quindici-vent’anni fa che ancor oggi mi perseguitano, mi appaiono la vigilia di Natale e mi chiedono di pentirmi, ma è inutile, le ho scritte, qualcuno che non conosco le ha lette su settimanali o mensili o siti internet, vorrei tracciarlo con una app e chiedergli scusa ma non posso – però posso dire una cosa: con l’ascesa dei social network, quando le mie battute sceme, insieme alle mie opinioni sceme o meno, mi sono state messe davanti nei CommentiAll’Articolo come da tanti NanniMoretti vendicatori, ho gradualmente smesso. Non una grave perdita.
Solo che per alcuni direttori e capiredattori, e potrei fare i nomi, questo mi ha reso meno interessante, un po’ come Bobby il Buffo, meteora di #Friends – simpaticissimo finché in stato di ebbrezza alcolica. Poi, da sobrio, palloso come un critico indie.
Però pazienza. Prima, credetemi, viene la salute.

È apparsa in questi giorni qualche riga di Mattia Feltri, sul suo giornale, in difesa di Facci. Si basa sulla conoscenza personale. Io preferisco dire che nel libro La guerra dei trent’anni, Facci racconta alcuni snodi della politica e della società italiana con parole implacabili, e ci sono dei passaggi autenticamente formidabili, bisognerebbe dipingerli.

Poi, cosa succeda nella sua vita privata non lo so, non mi interessa, anche se lui lo racconta divertito ai giornali. Il mio problema è che le battute sceme o le scemenze private di Facci, come e quanto le sgradevoli svisate che ricordano l’altro Feltri, interferiscono con quello che ha da dirmi di veramente interessante, e credo che per molti siano una ragione sufficiente (e onestamente, anche comprensibile) per rifiutarsi di leggere un suo libro.
Questo riporta a ZeroCalcare. Sì, c’è qualcosa di strano nel metterli insieme nello stesso pezzo. Ma quando Michele Rech apre il barattolo della volgarità e ne butta una manciata nella sua nuova serie, a me viene da pensare che la radice sia la stessa, la necessità di far scoppiare ogni tanto un #bombone per movimentare il tutto, perché poi là fuori ce ne sono un bel po’ di giornalisti in grado di illuminare una città con un solo articolo…
(non faccio nomi perché so cosa si prova quando non si viene citati negli “elenchi di quelli imprescindibili”) (intendiamoci: ho un’età e so benissimo dove mi trovo, eppure non ci posso far niente, è imbarazzante ammettere che dà fastidio lo stesso, e che vedersi quasi sempre esclusi dall’elenco di quelli bravi della classe non compensa il piccolo gongolamento dell’esservi inclusi da qualche anima benevola in stato di ebbrezza alcolica)
…ma quanta gente li nota? A quanti di loro, sui social, viene rivolto quello che hanno imparato essere il giudizio più impietoso ma adatto a quest’epoca numerica:
“E QUESTO CHI È?”
E qui arriviamo all’ultimo punto dolente. La maggior parte di noi mediapeople si è fabbricata un alibi, che in questi anni ha raggiunto dimensioni di pesce baleno. Ovvero: “il pubblico vuole il trash”.
(non dicono “spazzatura”. In realtà dicono proprio un’altra cosa ma è volgare, quindi visto che in questo pezzo si discorre anche di volgarità, vi beccate questa con il #fastidio dell’anglicismo)
Io invece penso che se gli dai spazzatura, alla fine come nel mondo animale iniziano a nutrirsene e trovarla anche passabile: non credo che i gabbiani mangiassero spazzatura cento anni fa, ma a quest’ora cosa vuoi, mi va bene pure lei.
Penso che il pubblico meriterebbe giornalismo migliore, televisione migliore, musica migliore, politica migliore.
Solo che a furia di non darglieli, e di dargli guitti e battute sceme e buzzurri firmati e youtuber lobotomizzati, non sa più che esiste.
E mi viene il sospetto che Facci e ZeroCalcare, in modi diversi ma sempre legati alla sensazione che il pubblico (di megadestra o megasinistra o meganiente che sia) sia sempre sul punto di cambiare canale o giornale, abbiano interiorizzato questo dazio da pagare.
Ed è un peccato. Ma tant’è.
Vorrei concludere stemperando, con una barzelletta sui ***** ma è tanto che non ne sento, dannato politically correct.

3 Risposte a “FACCI / CALCARE”

  1. Onestamente ho avuto la medesima impressione vedendo la serie di ZC.
    l’ho fatto notare a un paio di persone le quali hanno dissentito, o meglio, non proprio dissentito, ma non se ne sono sorprese, non ci hanno fatto caso.
    mitridatizzazione, forse.
    Non mi spaventa la volgarità, però anche a me è parso che quest’ultima serie avesse un passo differente e non proprio consono alla media della produzione calcariana (fammi passare quest’aggettivo), ma magari è invece consona al pubblico medio di netflix che si sorbisce tanto di quel pattume a partire dagli ex royals.
    Facci per me è l’omologo di Scanzi. due tipi troppo attenti alle loro capigliature che sono probabilmente misura del loro ego.
    anche se un po’ mi duole ammetterlo, anche Morgan è ormai quasi sempre solo così. Tutti e tre potrebbero essere molto meglio di quel che sono, ma si sono ritagliati questi ruoli e continuano a interpretarli, peggio per loro.
    Non so, forse è il definitivo sdoganamento della scorreggia e del vaffanculo come cifra della comicità alta.
    Forse pretendiamo troppo noi vecchi.
    Forse non hanno una mazza da dire e la dicono urlando per coprire il niente che c’è nelle parole.
    Mi riservo di dissociarmi e aspettare tempi migliori.
    Ne avremmo un po’ tutti bisogno.

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