AMARGINE

La moglie del santo. Intervista a Dori Ghezzi

(pubblicata su Rolling Stone, gennaio 2011)

Forse è un dettaglio frivolo da premettere a una conversazione che non lo è. Però Dori, a più di quarant’anni da quando negli alberghi la scambiavano per Brigitte Bardot, è di una bellezza ed eleganza tali che – beh, il minimo che si può dire è che De André sapesse il fatto suo. Non a caso gli stessi banditi che la tennero in ostaggio, per tutto il tempo la chiamarono “Signora”. A Milano, il suo ufficio presso la Fondazione che porta il nome del cantautore ospita alle pareti diversi ritratti di Fabrizio. Uno soprattutto (olio su tela, si direbbe) realmente torreggiante. Ha un suo modo di incombere, De André. Chissà se si può sdrammatizzare.
Inizio con due citazioni che ho trovato. Wim Wenders: “Per me è un santo”. Fiorello: “Doveva essere un bel cazzaro”.
Haha! Era sicuramente più cazzaro che santo… Ma ognuno ha sue motivazioni. Forse Wenders è rimasto molto colpito da La Buona Novella.
Eugenio Finardi mi ha detto che è giusto che ognuno abbia il suo Fabrizio, anche a costo di avere un Fabrizio immaginario. Tu cosa ne pensi?
Molti mi dicono: lo sento vicino come un fratello, un amico, un padre… Ed è buffo perché lui non aveva questa confidenza col pubblico, ne aveva paura, lo ha sempre detto. Sì, è vero, la gente se ne appropria. Evidentemente immaginiamo ciò che ci serve. Se hanno bisogno di considerarlo un compagno di vita, se in lui trovano risposte che non trovano altrove, perché contestare questa idea? Io poi non rivendico priorità su Fabrizio. Ho capito certi suoi aspetti grazie ad altre persone. Vivere a lungo con una persona non significa necessariamente cogliere tutte le sfumature.
Non ti senti espropriata?
Persone così non sono mai tue.
Ti capita mai di guardare quel dipinto che lo ritrae e sbuffare?
Quando il lavoro mi sfinisce, gli dico: “Ma potresti darmi una mano, eh!” Ogni giorno faccio i conti con lui. E questo mi ha fregata definitivamente…
In che senso?
Perché mi ritrovo a vivere troppo nel passato.
La gente te lo chiede, giusto?
Mi sovrappone a lui un po’ troppo. Non sono una portavoce, lui non ne ha bisogno, è sempre stato chiaro in canzoni e interviste – non era certo ermetico. Io cerco di fare sempre in modo che sia lui a raccontarsi.
Immagino ti chiedano in continuazione di raccontare aneddoti e segreti.
Attività per cui sono negata. Credo sia ironico che nonostante io, dopo la mia esperienza “pubblica”, abbia fatto un passo indietro per vivere la mia vita, mi ritrovi ad apparire di persona, presenziare, dare interviste. Oggi sono l’archivio storico di un fatto culturale e musicale importante che non appartiene direttamente a me. E a volte sento un senso di rigetto per questo ruolo, non mi sento portata. Più che fare la testimonial, amo occuparmi di progetti concreti, far nascere delle cose. Se mi presto è perché mi rendo conto che mi tocca, e porta a realizzare cose buone. Ma vorrei defilarmi.
Anche lui amava poco i riflettori.
Sarebbe stato sorpreso dal culto che gli si tributa oggi, e da come pare che le sue canzoni vadano bene a tutti. Mentre lui spesso cercava di non andare bene, di provocare. Anche di persona.
Un sacco di gente diceva che era orso…
E lo era.
E malgrado venga sempre descritto come spigoloso, ne hanno tutti un ricordo squisito.
Sono vere entrambe le cose. Lo adoravano tutti. Perché ti gratificava tanto. Il suo brutto carattere, i suoi modi aggressivi li scatenava con persone che considerava all’altezza di controbattere. Era quasi un privilegio. Se lui provocava, era interessato. Se l’interlocutore si offendeva o non sapeva difendersi, mollava il colpo.
Vi siete conosciuti così?
Io conoscevo, come tutta Italia, la Canzone di Marinella. Le altre canzoni me le fece conoscere una cantante che collaborava come corista con tutti e due, Mara Pacini, una cantante poliedrica che fu lanciata con il nome di Brunetta Spaccatutto, che temo non le abbia giovato. Ma per il resto il suo mondo, quello degli album, e il mio, quello dell’hit-parade, non coincidevano.
In termini di successo popolare, tu all’epoca per una casa discografica valevi più di lui.
Può darsi, ma non ci badavo molto. All’epoca fare il musicista non era una vera professione, i conflitti di Fabrizio con l’uomo in vista che era suo padre dipendevano anche da questo. La stessa Mina in piena Minamania ripeteva che per lei cantare era un passatempo temporaneo che presto sarebbe finito. Io mi divertivo ma non pensavo che le canzoni fossero la mia strada. Succedevano molte cose, andavo in parecchi posti, ma tutto accadeva di sfuggita, gestito dai discografici. Io e Fabrizio ci incrociammo due o tre volte: era chiaro che non ci eravamo indifferenti, ma non accadde nulla nemmeno una sera che, aizzato da Mina, mi fece un complimento molto galante. Poi finalmente ci incrociammo in una sala di registrazione. E mi chiese il numero di telefono.
Leggenda metropolitana vuole che fosse geloso di Wess.
Ma dai, su!
Devo considerarla una smentita?
Ci seguiva e si divertiva. Una volta a Napoli, alla festa del Rione Sanità, io e Wess cantammo mentre lui era in mezzo alla folla che non lo riconosceva e ascoltava i commenti. La gente diceva di tutto, puoi immaginare. Rideva come un matto.
A proposito di partner insoliti: ti ha mai parlato di Berlusconi, di quando facevano assieme i cantanti sulle navi?
Quando la cosa è venuta fuori, mi disse che non se lo ricordava. Sulle navi c’era stato una volta e mezza, penso, trascinato da Villaggio.
Qual è la cosa più sbagliata che raccontano di lui?
Mmh. Ah, ecco: era genovese, ma non diceva in continuazione “belìn”. A sentire i racconti su di lui, pare non dicesse altro.
In cosa era difficile stargli vicino?
Era più facile di quello che si possa immaginare.
Tu cosa gli rimproveravi?
Cosa gli perdonavo, vorrai dire! Il farsi del male. Non faceva male agli altri, ne faceva a se stesso. Specie quando beveva troppo. Aveva momenti di rabbia non controllata perché non era più lui. Dopo vari tentativi di smettere, ricevette la spinta decisiva dal padre, che glielo chiese dal letto di morte. A volte vorrei che gli avesse anche chiesto di smettere di fumare, perché anche quello gli ha fatto molto male.
E lui a te cosa rimproverava?
(lungo silenzio) Forse di non averlo rimproverato abbastanza. (ancora silenzio) Ma noi non siamo mai stati capaci di rancori. Lui si sfogava. Io poi pareggiavo i conti. Ma quanto fossimo importanti l’uno per l’altra non era mai in discussione.
In tanti anni, c’è mai stato il rischio che tutto finisse?
Ci furono due scazzi importanti in cui siamo stati lontani anche per qualche mese. Prima, e poi dopo il sequestro. Come dire che non ci aveva cambiati. Però non è vero, se reggi quattro mesi in un simile abisso personale con qualcuno, non c’è dubbio che c’è qualcosa di forte che vi unisce.
Quanto ti torna in mente quel periodo?
Poco. Non me lo sogno la notte. Certo, fin dal giorno del rilascio ero convinta di essere sempre la stessa, ma se riguardo le foto il mio sguardo non è affatto normale. Però siamo tornati presto alla nostra vita. Sempre in Sardegna, sempre viaggiando sola, anche di notte.
La cosa più spiacevole del ritorno?
Leggere cose non vere. Qualche articolo fu molto sgradevole. “Visto che ha guadagnato tanti soldi parlando degli sconfitti, qual è il problema?” Sai, quel tipo di cinismo. E un’altra cosa disturbò tantissimo Fabrizio: una notte, sul nostro giaciglio per terra avevo sognato il papa di allora, Wojtyla, che si era insediato da poco. Lo avevo sognato come una rockstar, carismatico – chissà cosa vorrà dire, mi chiedevo. Al ritorno scoprimmo che aveva rivolto un appello ai sequestratori durante l’Angelus, citando le persone in ostaggio in quel momento. Eravamo in 12, c’era persino una famiglia intera. Però lui non citò noi due. Perché non eravamo sposati. Il vescovo di Tempio Pausania lo imitò. Come dire: quelli sono peccatori, liberate gli altri.
Sono dodici anni che vivi senza di lui. Scusa se mi inoltro nel gossip, ma hai per caso avuto un altro compagno, in questi anni?
Secondo te sono stata così brava da non farmi accorgere da nessuno?
Oh, noi giornalisti spesso non ci accorgiamo di quanto è più evidente. Ma mi chiedo quanto risulti facile per te trovare un’altra persona quando c’è questa presenza così forte che incombe ogni giorno.
Credo che l’idea di succedere a Fabrizio De Andrè, per così dire, sia un deterrente per chi ha qualche mezza intenzione di farsi avanti. Forse uno straniero potrebbe essere più audace. Ma io conosco poco le altre lingue.