AMARGINE

883 – Mauro Repetto e Max Pezzali, intervista d’essai

Intro. 
Questa intervista è di tanti anni fa, ma l’uscita di una biografia di Mauro Repetto, le cui anticipazioni hanno ottenuto una certa risonanza – soprattutto sulla vecchia questione del suo lavoro a Eurodisney – me l’ha fatta sovvenire.
E ho verificato che era introvabile, a causa di alcune sporadiche miserie nella storia tutta glamour di Rollinstòn, che hanno fatto sparire tanti articoli e tante interviste. Questa no, era ancora custodita da Gmail, che ringrazio personalmente: ora gli studiosi potranno attingere anche da questo reperto su Repetto – anche se ciò non gli eviterà di comparire ogni tre mesi nei “Che fine hanno fatto” del Corriere della Sera. Poi già che mi sovvenivano cose, me ne è sovvenuta un’altra un po’ più ponderosa, sicuramente troppo – quindi la aggiungo alla fine, per chi arriva fino in fondo.
(non che sia un premio) (ma ecco, intanto)
(fine dell’intro)

                                      883 (1+1): 2012

“Vieni, D’Artagnan. Dì addio alla spada e seguimi a Pierrefonds, a Bracieux, o De Valon. Invecchieremo insieme, e ricorderemo i nostri vecchi amici”. “No!”, rispose il Guascone. “Voglio rischiare un’altra guerra”. “Per ottenere cosa?”, domandò Porthos. “Diventare maresciallo di Francia!”, ribattè D’Artagnan.
(Vent’anni dopo, di Alexandre Dumas padre)

“Ci siamo ritrovati a Parigi ed è stato come se ci fossimo lasciati la sera prima. Anche se stavolta ognuno era con la sua famiglia. Risentimenti, imbarazzi? Nessuno, né ora né in tutti questi anni”.

A parlare non è Max Pezzali, né Mauro Repetto. Sono entrambi, come una versione a due di Qui, Quo, Qua. Dove? Al tavolo di un bar, ovviamente. “Anche quando componevamo, era un processo che avveniva in coppia, nessuno dei due potrebbe rivendicare un particolare verso”. Questo, invece, è Pezzali a dirlo, ed è opportuno che lo dica lui.

Nel 1992, dal nulla o quasi, due ragazzi di Pavia andarono al n.1 annunciando all’Italia: “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”. Si ritrovarono per 10 settimane al n.1 degli album più venduti, con 8 canzoni che almeno due generazioni possono citare a memoria, molto spesso con un sorriso ironico, ma anche i loro numerosi e appassionati haters dovrebbero fare uno sforzo superiore al necessario per ricordare qualcuno che in quegli anni parlasse altrettanto chiaramente il linguaggio dei propri coetanei. Gli 883 ebbero un impatto enorme e inaspettato anche per la capacità di esprimere le confuse ma indomite aspirazioni di una generazione, con un occhio disincantato agli anni 80 appena terminati e al loro rampantismo (Te la tiri, 6/1/sfigato), ai quali la vita di provincia non sapeva opporre un futuro apprezzabile (Jolly Blue, Con un deca).

Quel disco conteneva diversi stili, dal rock di S’inkazza al r’n’b di Lasciati toccare, ma soprattutto aveva (in Non me la menare, 6/1/sfigato o Te la tiri) una netta matrice rap – quello dell’epoca, ovviamente (bisogna sempre specificare, perché la gente fa le smorfiette). Il genere, ancora traballante nella sua versione italiana, nonostante la ribalta datagli dal primo Jovanotti (non ancora sdoganato a sinistra, e rabbiosamente schifato dalla critica) era quello su cui Pezzali e Repetto si erano cimentati dopo un viaggio a New York che aveva convertito il simpatizzante punk Pezzali al credo hip hop. Bussarono a tante porte, trovando una sola persona sulla loro lunghezza d’onda: Claudio Cecchetto.

Pezzali: Tutti gli altri ci suggerivano di essere più melodici. Perché a funzionare era la scuola toscana: Marco Masini, Paolo Vallesi, Alessandro Canino, quello che cantava Brutta… Cecchetto invece disse: Mi piace. E prima che potessimo rendercene conto, stavamo incidendo un album… Il seguito è stato un treno in corsa. Due ragazzi di provincia, in giro per l’Italia su una Golf, del tutto sprovveduti, senza quella capacità e malizia che hanno già oggi i giovani dei talent. Incapaci di vestirci o di proporci alla telecamera, come dicevano i nostri coetanei a Castrocaro, con me che indossavo la maglia di riserva dell’Irlanda del Nord, color verde evidenziatore. Eravamo completamente sbagliati. Ma a volte, come insegnano i Ramones, sono quelli completamente sbagliati che fanno la Storia”.

Repetto: “Le famiglie erano convinte di avere in casa due falliti, il quadro che si stava delineando era quello”.

Pezzali: “Nei momenti di scoramento Mauro diceva: Fregancazzo, siamo forti, dignità zero… Questo ci ha fatto fare quel tipo di salto. Ancora oggi qualsiasi cosa dovessimo fare, sarebbe con la stessa forma mentis, io sarei il prudente ansioso, lui direbbe: se ci facciamo male non importa”.

Repetto: “Io ci credevo, perché il nostro entusiasmo per la musica era enorme. Anche solo passare un pomeriggio sentendo Beastie Boys o Tom Waits, rendeva la giornata bellissima e piena. Però poi io ho capito di non poter fare il salto in una dimensione più grande. Ero negli 883 per divertimento, ma a quel punto non poteva più essere la stessa cosa. Quegli 883 avevano completato il percorso iniziale. Nel gruppo c’era un genio, era giusto che fosse lui a proseguire”.

Negli anni successivi, ripensandoci ti sei sentito un eroe o un tonto?

Repetto: “Mah, né l’uno né l’altro. Se proprio devo riguardare a quel momento è stata una scelta da immaturo, ma fino ad allora ne avevamo fatte altre di cose da immaturi, quindi non ci ho mai visto una cosa alla Sliding Doors. È stato come se prima fossimo a giocare in un cortile, a un certo punto sono arrivati amici più grandi, il gioco è cambiato, e io le regole di questo gioco non le volevo imparare. Ho preferito cercare la mia strada. È stata una strada accidentata, meno centrata della sua, ma oggi siamo due persone felici”.

Pezzali: “Mauro è sempre stato quello che si buttava senza preoccuparsi delle conseguenze. Per gli 883 il suo coraggio completamente folle è stato fondamentale. Quando si è fatto da parte ho dovuto cambiare metodo. E ho perso una parte del divertimento, la dialettica, la condivisione. Ho dovuto diventare un po’ schizofrenico e parlare da solo. Però da parte mia non c’era che rispetto per Mauro: la gente venderebbe la famiglia per un passaggio in prima serata, lui invece scientemente è sceso da quello che tutti sognano. Ha fatto la cosa più difficile, è stato il massimo dell’onestà”.

Repetto: “Non vedevo altra possibilità”.

Però ci sono le leggende metropolitane, dal presunto ruolo di pupazzo a Eurodisney alla presunta tossicodipendenza, dall’etichetta di “Quello inutile che ballava” fino alla riscoperta come eroe “cult” alla Jack Frusciante, che esce dal gruppo prima dell’invito a Sanremo.

Repetto: “Quante stronzate. Onestamente non mi è mai importato granché. Ciò che pensa la gente di me non ha mai occupato molto del mio tempo”.

Pezzali (ridendo): “Però quello che su internet ha scritto Syd Barrett è il Mauro Repetto inglese è un grande”.

Oggi Repetto vive a Parigi. A Eurodisney ci lavora, sì, ma come manager per gli eventi speciali. Ha anche una ditta che realizza oggetti di design progettati dalla moglie. E recentemente è tornato a esibirsi, in uno spettacolo teatrale fortemente “indie” intitolato The Personal Coach, a dimensione di scantinato, le cui immagini su YouTube hanno sorpreso molti italiani per il piglio marlonbrandesco di Mauro (e per il fisico inaspettatamente tonico dell’artista precedentemente noto come “il biondino”).

Ma anche Pezzali, fisicamente, è migliorato. Forse perché oltre a perdere qualche chilo, è tornato a vent’anni fa. Non lo ha fatto per l’amico ritrovato, ma per festeggiare i 20 anni dell’album di debutto ripresentandolo in una nuova versione, nella quale è affiancato da alcuni dei rapper più significativi di oggi: Club Dogo, Dargen D’Amico, Emis Killa, Entics, Two Fingerz, Fedez, Ensi, Baby K che entrano, con dei rap ad hoc, in uno degli album che una cospicua quantità di genitori ha fatto ascoltare, da piccoli, ai fan delle nuove leve del rap italiano. Quanto al brano completamente nuovo, Sempre noi, Max si fa affiancare non da Mauro Repetto (presente con un cameo nel video) ma da J-Ax.

Pezzali: “883 e Articolo 31 hanno iniziato nello stesso periodo, ci siamo incrociati tante volte e tra noi due c’è una grandissima stima. E come potrei non stimarlo, è uno che dopo vent’anni riesce ad essere sempre se stesso”.

Ok, e ora, rotta per… dove?

Pezzali: “Chi lo sa. Tutto è possibile”.

Repetto: “Sarebbe bello fare qualcosa assieme. Magari non necessariamente musica”.

I vostri gusti attuali sono sempre simili?

Pezzali: “Ho chiesto a Mauro cosa c’è di figo in Francia, mi ha consigliato i Sexion d’Assaut”.

Repetto: “Abbiamo parlato più di calcio, della Champions League e di un giocatore del Montpellier, Belhanda, il nuovo Zidane”.

Ok, per ora la musica è in stand-by. E altro? Teatro, magari?

Repetto: “Ho iniziato col teatro un anno fa ed è praticamente l’opposto del mio antico progetto di fare un film, in cui ho buttato parecchi soldi. In The personal coach ho costruito la sceneggiatura attorno al mio corpo e alla mia voce”.

In francese ha un piglio gagliardo. In italiano funzionerebbe?

Repetto: “Non lo so, ma so per certo che in Italia non farò niente che sia senza Max”.

Intanto c’è questo disco. Come è stato risentirlo?

Repetto: “Che figata i nostri pezzi, e che figata i rap. Quello che mi ha sorpreso di più, a risentirlo, è Lasciati toccare. Chi ci provava, all’epoca, a fare questo tipo di groove in Italia? È un mix tra Soul II Soul, e ha una voce particolarissima, la ragazza, Baby K mi ricorda la grana vocale di Females delle Cookie Crew”.

In proposito, bisogna ammettere che rispetto al tributo di qualche mese fa, la compilation di rock alternativo curata da Rockit con I Cani, Maria Antonietta, Colapesce e altri (che pure conteneva ottime reinterpretazioni) l’operazione suona complessivamente più stimolante – e non c’è dubbio che lo sia stata per Max Pezzali, che dopo un periodo fin troppo piacione (“L’ultimo Sanremo l’ho sofferto”, ammette) potrebbe, tornando alle origini, recuperare un po’ di cattiveria. Anche verso se stesso: tanto per dire, il disco non si nega neppure un intervento sarcastico di Fabri Fibra: “…Max, a me gli 883 facevano veramente cagare, ahaha!”

(Fabri, dici così perché tu non hai fatto la foto con loro 😊 )

OZIOSE ELUCUBRAZIONI SUCCESSIVE

Domandarmi se questa intervista esistesse ancora o no mi ha fatto sovvenire che in fin dei conti, tutto il giornalismo musicale italiano è flebile da ogni punto di vista, e anche molte, moltissime cose più belle e più importanti di questo pezzo sono sparite e non solo per le vicende di Rollinstòn, ma in fin dei conti per la caducità di ogni rivista musicale italiana. Già scrivere di musica da queste parti esclude la nostra rilevanza, e non solo per colpa nostra: c’entrano la lingua, ovviamente, ma anche il primato contestabilissimo che tutti attribuiamo al giornalismo inglese e americano, che in realtà vantano un numero di saccenti cretinazzi di poco inferiore al nostro, ma si valgono di maggiore organizzazione e vicinanza alle Stanze del Potere.

Lo so, la sto gonfiando un po’: alla fine è un’intervista agli 883 ritrovatisi vent’anni dopo, e al massimo può interessare come eccentrica curiosità d’archivio. Ma tanto, anche quando si è trattato di intervistare dei pezzi grossi del rock mondiale, quelli avrebbero anche potuto dirmi (e dirci) che avevano affogato Brian Jones o passato il fucile a Kurt Cobain, e la cosa non sarebbe uscita da qui. E guardacaso oggi abbiamo un pubblico che non guarda più fuori da questi confini – e il giornalismo musicale italiano si è adeguato, e non ha più alcun Nord, Sud, Ovest, Est, e non è nemmeno in Rotta per casa di Dio.