“Musica italiana, na-na-na-na, Musica italiana, na-na-na-na
E la gente canta ad alta voce, poi ci fa l’amore
Con la musica italiana”
(Rocco Hunt, Musica Italiana, 2024)
Due settimane fa nella top 100 FIMI dei singoli c’erano 7 canzoni straniere. Dico la stessa cosa in senso inverso: su 100 canzoni, 93 erano italiane. Nella classifica degli album, l’esterofilia recuperava terreno: 20 titoli su 100. Ma tra questi vanno annoverati i vecchi The dark side of the moon, AM degli Arctic Monkeys, Back in black degli AC/DC, e non è tanto novello neppure After Hours di TheWeeknd, che è in classifica dal marzo 2020. E poi qualcuno è presente con più prodotti (Bad Bunny, Travis Scott, Future).
La settimana scorsa il pubblico italiano, pervaso da voglia di aprire i propri orizzonti, ha guardato verso terre lontane portando a un’impennata: 11 singoli stranieri su 100 e 21 album su 100 (quasi tutti verso il fondo della classifica, beninteso).
Questi sono i sette titoli stranieri nella top 50 italiana mentre vi scrivo. Qui potete trovare (o non trovare) gli album nelle top 10 del resto del mondo che questa rubrica sciorinerà cammin facendo.
Naturalmente, per qualche snob questo Primato Nazionale dipende dal fatto che le nostre porte della percezione sono rigorosamente sprangate a doppia mandata e siamo in autarchia musicale (…o autarchia mentale? Non so. Non sta a me dirlo). Durante il fascismo, per citare un periodo A CASO, circolava molta più musica straniera. Poi magari erano Luigi Fortebraccio (Louis Armstrong) e Beniamino Buonuomo (Benny Goodman) o il Trio Lescano costretto a cambiare St. Louis Blues in Le tristezze di San Luigi.
(Fun Fact: in Italia esistono 19 paesi che si chiamano San Martino, poi 11 San Vito, 3 San Mango e 3 San Zenone, 1 Sant’Apollinare, Sant’Omobono e Sant’Urbano e Santa Venerina ovviamente Santu Lussurgiu, ma vigliacco se c’è un San Luigi. Chissà come è successo)
Certo, ogni tanto arriva qualche nome consolidato che smentisce i sospetti di un ritorno furioso al nostro atavico provincialismo. Tra qualche giorno, per esempio, Taylor Swift e Pearl Jam ci faranno toccare l’America. Ma il quadro complessivo è quello che vi ho dipinto intingendo il pennello in queste strade piene di frà e di baddies del quartiere. Musicalmente, l’America è tornata lontana, dall’altra parte della luna. E vi raccomando gli altri Paesi.
Compatto, il comparto afferma che stiamo vivendo un’era di rigogliosa pienezza artistica di cui dovremmo vantarci nel mondo. Come nell’epoca di Bellini, Donizetti, Rossini e Verdi, l’Italia è su un picco di ispirazione e secerne una broda autotunata eccellentissima, che fa impallidire quanto viene fatto altrove – e peraltro, come dice sempre lə primə ministrə Meloni, “Non accettiamo lezioni da nessuno”.
Siccome parlando di musica ci si perde sempre nei cavilli (è un mestiere cavillosissimo. Siamo a cavillo!) già so che qualcuno obietterà che le classifiche non siano rappresentative, e ormai per esasperazione sono disposto a dargliela vinta, non rappresentano nulla. È chiaro che non rappresentano VOI, né me. Però qualcuno la ascolta tutta questa roba, no? Li chiameremo con un nome in codice: Gli Altri. Si risvegliano, si rivestono, ci somigliano, angeli avvoltoi – ma Gli Altri NON siamo noi. Okay? Sul podio italiano mentre vi scrivo ci sono Tony Effe, Mace e La Sad, e non pretenderò di sapere che conosciate la loro musica. D’altra parte, anche un consistente numero di teenager non ha idea di chi siano. Ma se ci pensate, non vi capita mai di apprendere che una persona a voi ignotissima è un autorevole ministro di questo Paese? Non è molto diverso. C’è una minoranza forte che indirizza il mercato e la pubblica amministrazione, e probabilmente la minoranza dispersa di cui fate parte non ne fa parte. Non credo dipenda dalla legge elettorale o delle classifiche: là fuori c’è una broda musicale e broda politica (e broda mentale? Non sta a me dirlo) che va per la maggiore – e non è la vostra broda.
Però in questo contesto, mi chiedo. Non siete curiosi di sapere cosa ascoltano là fuori dal muro? Quali sono i nomi in classifica nel grande, inaccettabile altrove? Ebbene, lasciate che vi prenda per mano e vi porti attorno al mondo in un giorno.
Negli Stati Uniti d’America, la classifica è molto americana – complice l’estromissione dei sudcoreani TXT. I generi sono una pletora di generi – pop, country, rock, e su 2/3 del podio, il rap del ragazzone di Atlanta Future e dello smanettone di St.Louis, Metro Boomin, con We don’t trust you (n.3) e We still don’t trust you (n.1). Adoro la scelta dei titoli – poi, sulla loro strategia inflattiva tornerò in occasione dell’imminentissimo n.1 globale dell’altrettanto iperproduttiva Taylor Swift. Nell’attesa, l’americanità di Beyoncia si inserisce al n.2 tra i loro due prodotti con Cowboy Carter, album abbastanza popolare ovunque –da noi, mica tanto.
Ma l’argomento che potete giocarvi nella vostra prossima conversazione sui consumi culturali è che anche nella top 10 dei singoli USA il rap, dopo anni di egemonia, è minoritario. Solo due titoli (l’altro è Jack Harlow) in una classifica così derappizzata che pare la nostra il mese dopo Sanremo. In testa, il redivivo irlandese Hozier, che a qualche anno da Take me to church è tornato sull’altare. Perlomeno, nel resto del mondo.
Per esempio nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda Del Nord. Dove parlare di musica internazionale è sempre improprio: anche più che negli USA il discrimine è la lingua. Qui tutto ciò che non è cantato in inglese è da sempre schernito e vilipeso, e due hit globali come Despacito e Gangnam Style sono passate alla Storia per aver passato miracolosamente UNA settimana al n.1. Però chissà: forse anche quello italiano è un problema di lingua. Fermo restando che Madame e ThaSupreme si esprimono in un italiano più strano di quello di Antonio Cassano.
Tra gli album, i britanni dedicano una settimana di nostalgia ai James, e ad altri nomi che sospingono in fondo alla top 10 franchigie più giovani: il solo nome seminuovo tra i primi 5 è Kris Barras, picchiatore professionista e bluesman indie (…io depreco gli inglesi, ma lo ammetto: sono imprevedibili). Tra album e singoli, il rap qui si conferma un prodotto secondario, anche perché gli ordini di scuderia sono di esportare – e la miniera d’oro dell’isoletta è sempre il pop. Ora però, Allons enfants, nel Paese sul quale dagli anni 00 abbiamo modellato la nostra produzione sonora di disagietti urbani
In Francia, Beyoncé e Benson Boone conservano lo status di Americani a Parigi, ma per il resto la francofonia e il rap regnano, premiando un belga, il rapper Green Montana. Sicché, visto anche il dilagare nel mondo della produzione in lingua ispanica, e visto che i Maneskin da noi non funzionano quanto all’estero perché non cantano nella lingua di Mameli (e probabilmente non sono nemmeno pronti alla morte) le soluzioni per diffondere le nostre eccellenze del territorio potrebbero essere
- L’Impero Colpisce Ancora. Torniamo a invadere Albania e Grecia e costringiamoli ad ascoltare Tananai e Anna Pepe, finché riusciamo a mantenere il controllo del loro territorio. Oppure
- Il Museo Diffuso. Impegniamoci a rimettere di continuo in circolo le testimonianze più antiche della nostra civiltà. Tu vuo’ fa l’americano, Volare, Gloria, Blue degli Eiffel 65. Posso indicare un esempio di questo, proprio ora, nella Heimat.
In Germania c’è ancora rispetto per il disco fisico. La tedesca GFK (che elabora le classifiche anche da noi) lo fa pesare di più di quanto non faccia per i committenti italiani. Rap e pop tedeschi hanno un’audience molto vasta ma in questo momento, in mancanza di nomi indigeni forti, solo il navigato rapper Summer Cem si trova nella top 5 degli album. Aggiungiamo la doppia coppia di Future & Metro Boomin e il Luciano che vedete in fondo. No, non è italiano: è un rapper di Berlino, di padre mozambicano.
Tra i singoli, al n.1 bivacca Artemas, anglo-cipriota (da noi al n.26), seguito dalla deprecabile Cheri Cheri Lady (sì, quella. Nuova versione, tipo Che idea di Pino d’Angiò da noi) e da Benson Boone, dall’australiano Cyril e Beyoncé. Ovviamente cade l’occhio sul n.7, dove Raffaella Carrà racconta le sue esperienze con Pedro di Santa Fè: “Altro che ragazzino per benino: sapeva molte cose più di me, mi ha portato tante volte a veder le stelle – ma non ho visto niente, di Santa Fe”.
È quello che dicevo prima, il museo remixato – ha l’aria di una cosa alla Philippe Daverio. Forse è questo che dovremmo fare, rilanciare di continuo le nostre cartoline, Io che non vivo, Non ho l’età, Marina Marina Marina, Felicità, Una terra promessa. Oppure aspettare che il territorio produca nuove eccellenze. Vediamo la situazione attuale.
Il numero uno. Siamo a cinque settimane di primato per Icon di Tony Effe, col suo mondo di droga e pistolettate che rassicura gli adolescenti maschi ITALIANI. I rapper prestigiosi che la Island (leggi: Universal) ha spinto (con le buone) nel suo album superano anche i featuring dei rapper prestigiosi che la Island ha spinto (con le buone) nell’album di Mace, il cui Maya entra solo al n.2. Poca gloria per le vecchie glorie: Mark Knopfler debutta al n.5 (ovviamente è primo tra i vinili e cd), i Linkin Park languono al n.11, il disco spiritoso di Francesco De Gregori e Checco Zalone si arena al n.12, mentre Michele Bravi arpiona un prezioso n.10. Non essendo ITALIANI, le rapstar Future & Metro Boomin si spetasciano al n.19.
Il Museo Diffuso non è già aperto da un po’?