In questi giorni è uscito In Etero, il nuovo album dei KKK. Che come presumibilmente sapete, sono Kurt Cobain, Kim Gordon, Krist Novoselic. Lo ha pubblicato la Warner, in un ennesimo cambio di etichetta per gli ex componenti dei Nirvana a due decenni dal fallimento della Interscope, schiacciata dai debiti della Geffen dopo il flop di Seattle… Whatever, il musical della band unanimemente considerata la più stropicciata del grunge.
In Etero non è precisamente decollato sulle piattaforme di streaming, ma le vendite dei cd e dei vinili hanno consentito all’album un agevole ingresso nella top 20 americana al n.19, e diversi piazzamenti in top 10 in Europa, per esempio in Italia (n.9) e nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (n.8). Un discreto risultato è stato ottenuto anche da Netflix che ha trasmesso Bleagh!, documentario sul documentario sulla realizzazione del documentario sul documentario sui documentari dei Nirvana: è entrato al n.5 della categoria “Nostalgia”, al n.8 della categoria “Da guardare in famiglia” e al n.9 della categoria “Commovente”. Ma ovunque, da TikTok a YouTube, c’è stata un’impennata nelle visualizzazioni delle scene delle stagioni 4 e 5 di Friends, quelle di fine anni ’90 in cui Kurt Cobain era entrato nel cast nella parte di se stesso, e per un certo periodo, come fidanzato di Phoebe. Su Wired, Nicholas David Altea ha proposto le 10 battute migliori di quelle stagioni, con al n.1 la gustosa cover della sigla dei Weezer (“I won’t be there for you, no, NO!, go awayyyy”).
Tornando al disco. Per quanto riguarda l’aggregatore Metacritic il punteggio raggiunto da In Etero è di 61 su 100, basato su 21 recensioni (finora); hanno alzato la media i voti di Classic Rock (“99! Yeah!”) e dell’irreprensibile e colto The Guardian (“LXXXVIII”), l’ha abbassata il voto di Pitchfork, che probabilmente voleva un po’ attirare l’attenzione con un voto negativo – letteralmente (“-100.000.000”). Ma la maggioranza dei voti è stata tra il tiepidino e il freddino. Rolling Stone USA ha scritto: “è un album “razzista, se non apertamente negriero. Cobain è un maschio bianco occidentale boomer che si rifugia in un ultranoise machista che sarebbe suonato vecchio anche nel 1996. Quest’album dei KKK è più inutile degli ultimi tre album della penosa band della sua ex moglie – Love & the Divorcees. Ed è tutto dire. Che Kim Gordon si sia fatta coinvolgere in questo progetto ridimensiona l’opinione che avevamo di lei. Non cambia niente invece a proposito dell’opinione che potevamo avere su Novoselic – non è mai valsa la pena averne una”.
Meno diretto, Rolling Stone Italia: l’articolo intitolato “Abbiamo ascoltato il nuovo disco di Cobain mentre eravamo a colloquio col nostro agente immobiliare” parla di scollamento generazionale generalizzato e scollato, e suggerisce di tornare a comprare al Pigneto e a Lambrate.
In Italia, va detto, i media non si sono risparmiati. L’Espresso ha addirittura dedicato alla band la copertina, col titolo “Vi ricordate di noi? Siamo ancora vivi” – alludendo velatamente anche a sè stessi. Repubblica si è concentrata sul motivo per cui questo album ha scatenato un piccolo dibattito social in America, riportando le parole del senatore Dave Grohl, impegnato nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti. Grohl affermato di non aver considerato un attacco personale l’ultima traccia dell’album, la canzone Communist Fascist Former Drummer, e manda “tanto amore” agli antichi compagni – anzi spera di suonare insieme a loro alla Casa Bianca, accompagnandoli col suo gruppo amatoriale formato da politici democratici, i Tofu Fighters. Donald Trump invece ha parlato di un disco pieno di valori americani, e ha ricordato con piacere la partecipazione di Cobain all’assalto di Capitol Hill, qualche anno fa, e le sue posizioni no vax ribadite nel brano Superblastgoddamhellamericansociety.
Ma dalle nostre parti, le questioni politiche sono state per lo più ignorate, in favore di quelle generazionali. Su Linkiesta, Guia Soncini ha scritto “Cobain è un uomo di 57 anni con un incontenibile e incontinente bisogno di attenzione. Il nuovo disco con gli altri due tapini ha fatto palpitare tanti cuori stagionati, fino al momento in cui anticipazioni e suggestioni non si sono tramutate in auscultazioni. E basta auscultare cinque minuti, per decretare la morte del paziente. Un amico rettore universitario mi ha scritto in privato, chiedendomi: eravamo questo? No, VOI eravate questo, e lo siete ancora”.
Su Il Post è apparso l’articolo “Perché Kurt Cobain e gli anni ’90 non muoiono mai, spiegato veramente assai bene da noi che siamo intelligenti come voi che ci leggete”. Sul Sole 24 Ore, il direttore Giuseppe Cruciani ha firmato di persona un editoriale intitolato “Ebbasta, e anvedi, e l’anni Nivanta, a ridanghéte, e ‘nnamo, e osterianumeromille”. Sull’edizione online del Corriere della Sera è apparso, il tradizionale riquadro firmato dal giovane Urbano Cairo: “Chi è Kurt Cobain, l’ex star degli anni 90. I matrimoni con Courtney Love e Tori Amos, le vacanze a Capri, la figlia influencer”. Nella sua rubrica su Il Primato Nazionale, Morgan ha invitato Cobain a una collaborazione: “Mi sento molto vicino a te, anche se sono oggettivamente più preparato musicalmente ed equilibrato come persona”.
Su Rockol, Valeria Sgarella ha preso spunto dalla canzone che apre l’album, Should’ve Used A Bazooka Instead: “Ogni tanto viene da chiedersi cosa sarebbe successo se in uno dei suoi tentati suicidi degli anni 90, Cobain non avesse usato un Revolver per eccesso di citazionismo rock, ritrovandosi a sbagliare mira come Gino Paoli. Se, per esempio, il 5 aprile del 1994 (qualcuno ricorda questa data?) per spararsi avesse usato un fucile, facendo centro. Sì, è strano pensarlo morto e quieto, invece che pateticamente onnipresente come Kanye West (un altro martire mancato). Chissà quanti monumenti d’amore e rimpianti generazionali, quanti altari rock con la sua immagine su un crocifisso, eternamente giovane, biondo e barbuto. Invece che pelato e con gli occhiali come Gino Paoli. Ma un po’ più grasso di lui”.
Molto interessante e profondo quanto ha scritto su DoppioZero Marco Belpoliti: “Come diceva Foucault, l’uomo non può darsi nella trasparenza immediata e sovrana di un cogito. Kurt Cobain è forse l’ultimo musicista ‘rock‘ vivente al quale si attribuisce un valore, e questo ne fa un fantasma, e come ha scritto Giorgio Manganelli, ‘Il fantasma è annoiato; è difficile, per un fantasma, non provare, per gran parte del tempo, un profondo, lento senso di noia’. Credo che a Cobain e ai suoi ultimi seguaci si doveva a suo tempo, e a maggior ragione oggi, applicare ciò che ha scritto Baudrillard: ‘Non possediamo più obbiettivi in cui non credere. Perché è di vitale importanza – forse ancor più che vitale – avere cose in cui non credere’. D’altra parte, come ho scritto IO, il mood del narcisismo contemporaneo è deciso dal vintage, ovvero dal culto di cose, oggetti e persone che appartengono al passato prossimo, all’effetto nostalgia. L’ho scritto nel 2009. Quindici anni fa. Avevo un’altra religiosità. Pensavo che la gente. Non ci capisse niente”.
Meno profondo, infine, quanto ha scritto il marginale blog aMargine. “Non bastavano i CCCP, ora pure i KKKP. Devo confessarlo, a volte rimpiango che i Nirvana siano sopravvissuti agli anni ’90. Si fossero fermati per esempio dopo l’Unplugged, nel 1994… Chissà. Forse tutto l’Occidente sarebbe andato in un’altra direzione. Oppure no. Si sa, la Storia non si fa coi se, sì, su. Però è affascinante pernsare che un sacco di gente avrebbe fatto altro nella vita, e per esempio Giuliano Sangiorgi dei Negramaro avrebbe continuato a credere al suo sogno stropicciato e non sarebbe diventato Ministro della Cultura. Perché io di cultura ne capirò poco ma chiunque altro sarebbe meglio – o mi sbaglio?”.
Antologia apocrifa (l’hai letto?)
Devo confessare di no, e non solo: non ne avevo mai sentito parlare 🙁
Mi sto documentando. Grazie per la segnalazione!
Mi permetto di obiettare: Pitchfork lo avrebbe valutato -100.000.000, 073.