Stecca di Moreno è ancora al n.1. Letta è ancora al governo, Berlusconi pure. Che aria di ineluttabilità che c’è in tutto questo, no? La settimana scorsa ho bigiato la classifica, ero inzaccherato di lavoro. Ad esempio, proprio venerdì avevo un’intervista con un rapper. Continuo a intervistare rapper. Che da un lato mi mette a disagio, perché c’è questa sensazione di esser lì a ruota del fenomeno, a cavalcare l’onda. D’altro canto, anche scartando il fatto che è il grande momento del rapper di Canale 5, la top ten parla chiaro: n.2, Max Pezzali (che prima di diventare completamente pop era anche un rapper, vedi Te la tiri e Non me la menare); n.3, Fedez, n.4 Jovanotti, n.8 Gué Pequeno, n.9 Coez con Non erano fiori. A completare la top ten, altri tre talentati: Emma (n.6), Greta (n.7), Marco Mengoni (n.10). Ah, e poi i Daft Punk, al n.5. Unici stranieri. Sono usciti subito dalla diecina i Black Sabbath, che comunque non erano entrati molto in alto: al n.6, contro il n.1 nel Regno Unito.
E a proposito di Regno Unito e di rap, devo corroborare i miei svolazzi pindarici sull’Inghilterra e il suo snobismo verso l’hip-hop, visto che l’album di Kanye West, l’encomiatissimo Yeezus, è n.1 anche lì. Oltre che in America.
Da noi è entrato in classifica al n.40.
Che è un ottimo risultato per lui, visto che non era nemmeno riuscito a entrare in top 100 con My beautiful dark twisted fantasy, per il quale tutti i critici, da Pitchfork al Guardian, si erano uccisi di felicità. Come anche per questo Yeezus. Tutti tranne lo scemo che vi scrive – che poi a me sembra pure di mettere in imbarazzo Rollinstòn, a non avere le contorsioni per la bellezza rappusa di Kanye. Forse il prossimo è meglio se lo fanno recensire a qualcun altro. Perché io lo so che Kanye è un pezzo da novanta – e tuttavia come faccio a dargli il massimo dei voti. Tanto era barocco il disco precedente, tanto è esasperato ed elettronico ai limiti del fastidioso questo qui. C’è sempre lo “statement” che sovrasta il tutto, c’è l’audacia artistica che irrompe tronfia come uno di quei ragazzini irritanti che saltano sui banchi alla fine de L’attimo fuggente a far capire che a loro non si può chiedere di stare nei ranghi. E questa cosa è accattivantissima, fa sempre dire “Oooh”. Noi dell’ambientino miserello della critica
(e includo anche voi che leggete, cosa credete) (non è che io sono critico musicale e voi no) (vi piacerebbe, eh?) (invece lo siete anche voi, gaglioffi)
Dicevo: noi dell’ambientino riprovevole tendiamo a esaltare lo statement, la scelta stilistica, e non a caso per farlo ci appoggiamo agli album, patetica convenzione fossile di un altro millennio. Ma la verità è che è pura sindrome di Stoccolma. Il disco di Kanye West non è “bello”. No che non lo è. Potete mettere l’aggettivo positivo o negativo che volete, ma non è “bello” e non gliene fotte niente di esserlo. “Bello” è un aggettivo mainstream in cui io credo molto. Se Kanye West avesse voluto, avrebbe fatto un bel disco. E avrebbe fatto anche un disco mainstream, per l’appunto. Aveva dalla sua Rick Rubin, Daft Punk, Frank Ocean, Bon Iver – ma ha scelto il sottofondo elettronico hardcore e l’autotune a palla, disturbanti, apertamente spiacevoli. I brani sono bipolari, spezzettati, distrutti appena prendono forma. Tutto esasperato a bella posta. La star non vuole capire il suo pubblico: che sia il pubblico a capire la star. E se è di madrelingua inglese, può godersi tutti gli sfoghi, che hanno senso solo se conosci le menate dell’artista e le menate dell’hip-hop e le menate dei media. Che però onestamente, anche per una generazione ipermediatizzata come quella italiana attuale, è pretendere troppo. Quante volte si può ascoltare un disco del genere? Se non si è madrelingui, cosa ci può arrivare (cit.) di questa musica? Ma poi, anche i testi: ci dicono di Kanye, ma cosa dicono a NOI?
Insomma, quello che sto cercando di farti capire, selvaggio West (e di farlo capire a voi, furbastri) è che se poi la gente si butta sulla De Filippi e i suoi ragazzini pop, poi la colpa è anche di chi ha tirato troppo la corda. Non è diverso da quando trent’anni fa i comunisti tirarono così tanto la corda, che il Paese disse “Avete rotto le palle, noi vogliamo l’Italia campione del mondo – daje!”.
E qui, ad adiuvandum, appongo un dato che rubo al giovane collega PopTopoi.
Siamo a luglio, e in tutto il 2013, Jovanotti è sempre stato presente in top 10. Ci era entrato alla fine del 2012.
Con una raccolta di successi. Mica un album. La gente alla fine vuole il Natale con la neve. E un po’ anch’io, sapete. Mica lo statement, la coesione interna del disco, i metamessaggi. Tutte quelle robe con cui noi critici abbiamo assassinato le balle alla gente che legge le recensioni, poi compra i dischi e scopre che sono un ululato infinito. Le major hanno le loro colpe, nel crollo della discografia. Ma noi critici non ne abbiamo poche. Poi c’è di buono che l’abbiamo pagata perdendo l’oggetto del nostro lavoro e ripiegando su lavori umilianti – per pagarci le scarpine nuove. Lavori come, che so, andare da Maria De Filippi.
(…ve l’aspettavate questa, vero?) (eddài, non potevo non metterla)
Porcaputta’, paragonare i ragazzi dell’attimo fuggente a Kanye West… la fessa d’ soreta!