Lo so, è tanto che latito. Il fatto è che di colpo i poteri forti mi stanno facendo lavorare più di prima: mi riempiono di cose da fare e mi pagano pure. Ma non crediate che io non sappia la verità: è per farmi star ZITTO. Ha! Sciocco establishment, credi che non abbia capito? Rieccomi qui invece. Dovrai pagarmi di più, o scemo. Ti sfido a farlo. Su, che aspetti?
Riepilogone. Esce il disco di Beyoncé – tutti sul disco di Beyoncé. Esce il disco dei Radiohead – tutti sul disco dei Radiohead. Vade retro: io finché non li vedo nella classifica italiana – e belli alti – non ne parlo. E certe volte non ne parlo lo stesso: è da quando gli U2 hanno fatto il loro colpo di teatro con la modalità di pubblicazione che mi sono fatto persuaso (Montalbanismo) (…non so se si dica davvero in Sicilia) che i dischi sono come i cani: più fanno casino più sono brutti, stupidi e buoni per il dibattito ai giardini.
(io, sono un tipo da pastori tedeschi) (non se ne vedono più tanti, vero?) (neanche di bei dischi) (non ho detto che non ne fanno più, ho detto che non se ne vedono più tanti)
Non distraetevi. Torniamo al Riepilogone. Ecco cosa avrei dovuto scrivere nelle settimane precedenti.
TheClassifica 85. Quella con Renato Zero al n.1. Qui, c’ero, eh. Se ve la siete persa, colpa vostra.
TheClassifica 86. The one with Francesco Renga al n.1. Era il 22 aprile. Di Renga cosa avrei potuto dire? Che “Il videoclip di Guardami amore, firmato da (non lo indovinereste mai) Gaetano Morbioli e girato tra lo Utah, il Nevada e la California, ha raggiunto 1 milione e 400 mila view su Youtube e Vevo”? (comunicato stampa) (un milione e quattro, amici) (eh, lo so). In realtà quella settimana mi ero preparato a parlare d’altro, avevo tutto un discorso in cui c’entrava David Bowie. Però poi l’establishment ha chiamato, quindi il discorso in cui c’entrava Bowie è in frigo. Dico solo che quella settimana lì sono usciti anche Santana (n.11), PJ Harvey (n.17) e Bugo (n.26).
TheClassifica 87. Correva il 29 aprile. Oh, questa sarebbe stata una bella TheClassifica da scrivere. Perché intanto, Niccolò Fabi al n.1, seguito al n.2 da Jake La Furia (anche stavolta n.2) (forse l’unico rapper italiano mai stato al n.1) (tre anni fa era uscito la stessa settimana di Renato Zero) (così quest’anno ha aspettato che uscisse Zero, e per sicurezza pure Renga) (così a ‘sto giro è dietro Fabi) (ahaha!) (no, un po’ mi spiace, ormai gli voglio bene, come a tutti quelli cui do sui nervi da tempo) (e poi i Dogo io ce li ho nell’iPod, e anche tanti pezzi) (ma non c’è niente come dare sui nervi a quelli che hai nell’iPod)
MA POI!!! Lemonade di Beyoncé al n.6! Che il giorno in cui oltre alle visualizzazioni su YouTube, per le classifiche si conteranno gli articoli di giornale, a Beyoncé daranno 4 numeri uno contemporaneamente tipo quando i giudici danno 4 ergastoli allo stesso farabutto. Però su Fabi vorrei dire un bel po’ di cose. Che ne avrei dette anche su Daniele Silvestri, se il suo manager non fosse convinto che devo stare lontano dal suo artista per non sciuparlo (e dire che ne ho sempre parlato benissimo). Viceversa su Fabi avrei potuto. Anche perché il suo disco è veramente, veramente rappresentativo, è quasi un manifesto della cantautoralità (e tutto quello che di buono e di inquietante vorrete leggere in questa frase, è assolutamente voluto) (…il manager di Silvestri maneggia anche Max Gazzé, ma non Fabi, quindi vado tranquillo) (maneggia anche Alex Britti, Carmen Consoli, Levante, Irene Grandi, Bandabardò – devo ricordarmene). Sventura, anche in quel frangente è saltata la TheClassifica e quindi non ho potuto parlare nemmeno del n.11 dei 99 Posse e del n.12 della raccolta di Prince, che quella settimana era asceso su The ladder, e nemmeno del n. 16 di Antonino Spadaccino e del n.27 dei Punkreas. Buh.
Ah, però un’ultima cosa che fa notare il baldo PopTopoi.
Prima e dopo Il padrone della festa, il disco a sei mani:
FABI: Ecco 3º → Una somma 1º
SILVESTRI: Scotch 5º → Acrobati 1º
GAZZE’: Sotto casa 7º → Maximilian 3º
TheClassifica 88. Qui invece era al n.1 Zucchero con Black cat! Miseria, quanto mi spiace non averla commentata, anche questa. (…cosa?) (è quella di questa settimana?) (Zucchero è al n.1 ORA?)
Uh. Ah. Okay. Bene.
Quand’è così, ecco la mia recensione di Black cat di Zucchero:
Ho visto il futuro del rock italiano, e il suo nome è Zucchero. Zucchero’s hot, Zucchero’s sexy and Zucchero’s dead. Non diventate mai amici di Zucchero. Perché l’arte vera ha a che fare con il senso di colpa, il desiderio, e sesso spacciato per Zucchero, Zucchero spacciato per sesso. Come un bambino troppo assecondato, Zucchero è viziato: è pieno di ottoni e arpe, quartetti di armonica, versi di animali assortiti e un’orchestra di 41 elementi. The filth and the Zucchero. Quello che intendo dire è che non capisco perché Zucchero continui a far canzoni: dato che i primi tre album erano il fischio ingenuo a speranze e illusioni di un ’67-’68 effimero come i propri vent’anni. Con le tastiere che prendono la rincorsa in cerca della quaterna di accordi su cui appoggiare l’unz unz unz, ma preceduto e chiuso dal DeFilippismo assoluto della nonna di Zucchero (credo) che canta Serenata a Marirosa di Otello Boccaccini e poi si lamenta delle “canzoni moderne con quel tomtomtomtom da spaccalegna”.
(…ci siete arrivati, sì) (ok, forse non c’era bisogno di chiederlo) (ma nel caso, googlate)
Bon, la guasconata ci stava – ma Zucchero continua a starmi simpatico, e penso che sia di persona che come animale musicale sia meglio di quello che vediamo. Seriamente parlando, su Rockol Claudio Todesco gli ha posto molte domande impeccabili; in particolare, perché i suoi pezzi somigliano così tanto ad altri pezzi. E Zucchero ha dato risposte piuttosto plausibili. Siccome sono molto invidioso dell’intervista di Todesco, la sminuisco con meschinità infinita dicendo che Z non ha detto tutto quel che avrebbe potuto. Non è abbastanza situazionista o concettuale per farlo. E il suo amore per la musica è del tutto istintivo, non è appesantito da grevi intellettualismi: al suo posto, David Byrne avrebbe annichilito tutti noi con risposte taglienti e razionali e un bel po’ nervosine sull’aderenza agli stilemi, poi se ne sarebbe andato schifato. Ma certo anche Zucchero, quando dice che “l’originalità nella musica popolare non è mai esistita”, non scherza niente. Solleva una questione che non mi pare sia stata presa adeguatamente sul serio.
E cionondimeno, è un buon alibi. Ma non lo salverà. Il fatto è che Zucchero fa quello che hanno sempre fatto i suoi predecessori bluesman e rockers e NON dai tempi di Led Zeppelin e Keith Richards, ma da prima ancora, da Robert Johnson, da quando i “lick” venivano passati dal bandleader all’apprendista, e i diritti d’autore non facevano ancora la differenza tra una panchina alla stazione e un albergo a cinque stelle da devastare, tant’è che ancora nei primi anni 70 (anche dopo la famosa causa per My sweet lord di George Harrison) venivano difesi meno strenuamente dai vecchi straccioni che già vedevano le rockstar salutarli da una Jaguar. Questo perché le rockstar avevano trovato il modo di dare a quei giri di chitarra la potenza che prima non avevano, permettendogli di spazzare via il resto di quel che c’era in giro. Zucchero non fa una roba molto diversa quando prende i lick di Joe Cocker e Leon Russell, a loro volta presi da chissà chi, portandoli sul ring dopo averli allenati abbastanza alla modernità da renderli capaci di menare i Grandi Successi di un’altra estate che arriverà (cfr. Fedez e J-Ax) (Dio, che bravi con le parole, vero?). Il problema di Zucchero però è una mancanza di cavalleria, e di buonsenso. Lui lo sa, che nel 2016 la gente è più preparata sulla musica di 45 anni prima di quanto non lo fossero nel 1969 quelli che applaudivano Joe Cocker e Leon Russell senza chiedersi da chi copiassero. E allora, potrebbe perlomeno fare il bel gesto che fanno i rapper: rivelare il campionamento. Anche perché se stai facendo da continuatore di una tradizione (e io ammetto di aver scoperto diversi brani grazie a Zucchero), e mandagli ‘ste due lire di Siae a quei vegliardi, quei pochi rimasti vivi. A costo di risparmiare sul buffet della presentazione alla stampa a Palazzo Clerici a Milano: quelli portali a un qualche crossroad tipo piazza Carbonari, prendigli un pacchetto di Fagolosi e via andare.
Il resto della top ten. Renato Zero n.2 (ancora!), poi Fabi, Renga, Baglioni e Morandi, niente di interessante da dire fino alla seconda nuova entrata, il n.6 di Violetta, aka Tini. Che poi non ho niente di interessante da dire nemmeno su di lei. Non è un po’ poco, il n.6, per una fenomena mediatica? Certo, mette pur sempre tre posizioni tra lei e Drake, terza nuova entrata al n.10 (un po’ mortificante, no?). Posizioni che erano poi occupate da Elisa, Marco Mengoni, Sandrina Amoroso.
Intermezzo. I singoli. Sapete che non c’è una dannata canzone italiana tra i primi dieci singoli venduti-scaricati-streamati in Italia? Mi sa che ci siamo, è come aveva previsto Mogol: L’Italia non canta più.
Pinzillacchere sparse. Escono dalla top 10 il live di Vasco Rossi, Alessio Bernabei e – dopo una sola settimana – sia Jake la Furia che Beyoncé (oh, ma parliamone!!!!!) (è un tale DISCONE coi PEZZONI, venderà TANTONE) (seh, come no) (…sapete, odio avere attorno un sacco di gente più inconsistente di me) (mi sento deprivato delle mie prerogative).
Poi, boh. Miss Nostalgia degli Stadio è al n.45. Gli album da più tempo in classifica, My everything di Ariana Grande (85 settimane) e Pop-hoolista di Fedez (82 settimane) sono a tanto così dal salutare, trovandosi al n.90 e 96. E a proposito di salutare.
Miglior vita. In classifica dodici album di artisti o gruppi guidati da artisti che hanno lasciato questa valle di risate. Li guida David Bowie con Blackstar al n.26; The best of Prince è al n.33, Purple rain al 52.
Pinfloi. Eh, niente, raga: anche questa settimana non sono in classifica. Sto pensando di sostituirli con i Nirvana. Comunque la casa discografica sta tramando qualcosa, hanno annunciato per giugno l’uscita delle ristampe in vinile di tutta la discografia, scaglionandola per meglio grassare i devoti. Aspetto luglio trepidante: è la volta che Obscured by clouds finisce in classifica.
francamente per Beyoncé mi chiedo perché non faccian come per il country e semplicemente non la promuovano solo negli USA. Beyoncé è 50% quello che dice e 50% fenomeno pop di una scena che fuori dagli Stati Uniti non esiste.
e viceversa, Beyoncé non ha nulla da dire ad un Europeo.
la musica è la parte meno rilevante. piuttosto, come un discografico pensi che si possa vendere o esportare tipo in italia, quello sì che è interessante …
Sì, forse è vero. Personalmente, io vedo la star, ma dov’è il pop? Forse è presto per parlare, ma i famosi pezzoni del discone, dove sono? Da quando è diventato volgare (aka “tormentone”) fare un pezzo che piaccia alla Pharrell o alla Drake, ma diciamo pure anche alla Michael Jackson o alla Prince? Ora come ora la gente corre a guardare il video quando fa notizia, ma poi se ne va e manda in classifica Alvaro Soler. Poi boh, magari mi smentisce e piazza un’altra Put a ring on it.
è quel pop che trascende la musica e di cui io francamente non so che farmene. però è quel pop che dopo il superbowl fa sì che l’intera popolazione nera del nordamerica esaurisca tutti i concerti del tour. e che fra il sabato e la domenica in cui esce il disco [su Tidal ed HBO GO, peraltro], qualsiasi donna nera di qualsiasi età si senta una donna diversa.
l’impressione che mi son fatto dopo cinque anni qui è che in generale nel valutare certi fenomeni in europa diamo molta importanza alla musica e poco ai testi perché nel nostro ascolto della musica inglese i testi sono una seconda lettura. ma che fa vendere beyoncé è quel che fa vendere mitico vasco e ligabue, l’urlare contro al cielo
“è da quando gli U2 hanno fatto il loro colpo di teatro con la modalità di pubblicazione che mi sono fatto persuaso (…) che i dischi sono come i cani: più fanno casino più sono brutti, stupidi e buoni per il dibattito ai giardini.”
Il disco degli U2 non era affatto brutto.
Accetto il tuo punto di vista, Antonio. Però – e mi spiace dirlo – non era (anzi, non è) nemmeno bello. Opinione personale, beninteso. Mi sono piaciuti un paio di pezzi. Il resto non mi ha lasciato niente.
però mi interessava il tuo parere sull’ultimo di Fabi! ne parlano tutti un gran bene.
io la vedo così: stanchezza.
Silvestri, Fabi li vedo stanchi. L’uno ancora appeso al tema degli umani-acrobati in perenne equilibrio sulle loro miserie. L’altro che si trastulla sulla bellezza delle piccole cose, il voglioandareavivereincampagna e via minimizzando. che sbobba! Non trovi?
una prece.
Punto di vista interessante. Devo dire che secondo me hanno tutti e due perfezionato qualcosa che già sapevano fare, non so se mi spiego. Ed è altresì vero che forse sono arrivati al meglio del Fabismo e del Silvestrismo. Parliamoci chiaro, da nessuno dei due mi aspetto che saltellino sul palco aizzando la folla al grido “Energia!” come fa – ok, si è capito. Ma nemmeno, per contro, che siano sferzanti e crudi. Insomma se dicessi che stanno esprimendo un disagio generazionale suonerei ridicolo ma di fatto, temo che stiano facendo quella roba lì – e caso vuole che suonino malinconici e disillusi come gente che ha dieci o quindici anni meno di loro. Quindi boh, forse è una fase di disincanto, ma non ci sento stanchezza, secondo me vogliono esattamente trasmettere quanto si sente nei rispettivi dischi. No?
Ti dico questo perché io li ho ascoltati molto bene i loro dischi. Sono loro coetaneo. E ora mi hanno un po’ stufato. Da loro ORA mi aspetterei la sferzata violenta, il punto di vista forte e non questa broda formalmente inattaccabile ma assolutamente senza nerbo. Nel disco di Fabi c’è una canzone non scritta da lui (le cose non si mettono bene) prima di scoprirlo ho trasalito: “caspita! Fabi è uscito dal mestiere! Senti che cuore!” Eh. Ma non era sua.
Paradossalmente preferisco un Gazzè che sta facendo quello che stanno facendo tutti: rifare il disco dei the giornalisti (che detesto) (che a loro volta hanno rifatto gli Stadio, che toh! Hanno vinto sanremo) e poi a seguire Carboni e pure Zampaglione mo’.
Preferisco perché qui almeno non c’è l’inganno. (Ma i miei soldi non li avranno mai)
In definitiva: la mia generazione (musicale) non ce la sta facendo più e boh, la cosa mi rattrista. Ciao e grazie.