Ehi. Come va? Cosa state ascoltando?
Io sono stato via un po’. In un posto dove non c’era musica ITALIANA. Cioè, non quella attuale. Ogni tanto per radio (e ne ho sentite tante, e parecchio) nei momenti nostalgia saltava fuori un Eros Ramazzotti o un Raf. E poi ho sentito con queste orecchie due artisti di strada cantare un pezzo (di vent’anni fa) di Laura Pausini. Ma di recente, niente.
(no, nemmeno Soldi di Mahmood)
Del nostro rap ovviamente non sanno cosa farsene, ormai tutti hanno il loro. Con buona pace della narrazione sulla trap italiana apprezzata in Europa. Al più, lo è se uno dei nostri fa la joint-venture con un ras locale, tipo Sfera che fa un pezzo con il polacco Quebonafide. Brano il cui testo sferico vi accludo, per dimostrare che Sfera Ebbasta è un professionista ammirevole: chiunque altro dovesse vivere ogni giorno con rime così cretine e infantili si martellerebbe i molari dalla noia. Bella, Sfera: quando inizierà la fase calante ricordati che c’è la politica, che è un mondo di possibilità.
Comunque, onestamente, per quanto sia deprecabile, fantasticamente banale e ripetitivo il pop globale (inclusi rap, reggaeton e quello che resta della dance), malgrado tutto non si stava male senza musica ITALIANA, visto che è messa persino peggio. E non so se i prossimi mesi saranno meglio, se sopravviverà alla Seconda Ondata (…la New Wave). Sbaglierò, ma secondo me il 90% dei musicisti italiani odia Spotify, e il 99% spera che Trump faccia chiudere TikTok.
Qui mi fermo, TikTok merita un discorso a parte. Ma non oggi. Col vostro permesso, oggi qui devo riprendere il filo che lega il Paese ai suoi
Numeri Uno. Ecco chi abbiamo avuto in testa alla classifica FIMI dei presunti album nella primavera-estate del lockdown, mese per mese.
Aprile: Marracash, con Persona. Per tutto il mese. Album uscito cinque mesi prima.
Maggio: Ghali, Dark Polo Gang, Drefgold, Lady Gaga (tenete a mente questo nome).
Giugno: Tedua, poi ancora Tedua ma con l’edizione deluxe del mixtape (!) della settimana prima (…peracottismo di livello altissimo), Ernia, Gué Pequeno.
Luglio: Gué Pequeno, Lazza, Achille Lauro.
Agosto: Tedua, ancora Gué Pequeno, numero uno anche a Ferragosto.
Ammetterete che Lady Gaga sembra capitata lì per caso. Non solo non è ITALIANA, ma è pure femmina. Quindi col vostro permesso io sarei per considerarla un’anomalia, un residuo del passato. So benissimo che continua a essere rilevante, e che il suo film (e la colonna sonora) ha fatto numeri veramente grandi. Ma dopo due mesi e mezzo si trova al n.30. Sostanzialmente la stessa performance di Drefgold, uscito una settimana prima e ora n.32, con la sua merendina di disco.
Quindi, scartando Gaga, all’interno di questo roster abbiamo nove artisti ITALIANI maschi, di area rap (oppure rapper pentiti come Achille Lauro – oggi apprezzato top model e direttore creativo). Qui, è d’uopo un
Distinguo. All’interno della provincia rap, Marracash e Drefgold, Ghali e Dark Polo Gang, Tedua e Gué Pequeno sono affini quanto possono esserlo Milano e Legnano, Lucca e Viareggio, Venezia e San Donà di Piave. Sono vicini sulla carta, così come sono vicini nelle playlist rappuse.
Ma invero, sono così lontani artisticamente che solo gli ultrà possono credere nella mitologia della scena. Però ancora sussiste una grande quantità di ascoltatori di rap che consuma voracemente in blocco il genere, con l’illusione che sia tale e che sia il genere ad aver qualcosa da dire, ad avere una sua validità. Quando tre quarti dei suoi esponenti non ha veramente nulla da dire, e non riesce nemmeno più a mascherarlo con le sciocchezzine sul rap game.
Va beh, comunque, che vi devo dire. Non so con che diritto eccepisco sugli abbagli altrui, io che continuo a guardare partite di calcio.
(…ma meno di una volta)
Si ottengono anche situazioni bizzarre, tipo programmi tv sostenuti dalle major per creare talenti pop che poi vengono mollati al loro destino perché all’atto pratico le major, qui ed ora, hanno abbandonato persino quel mercato per correr dietro alla nicchia più robusta e con più visibilità: è un po’ come se tutta la politica ruotasse attorno a un certo partito particolarmente muscolare. Ok, esempio sbagliato.
Dettagli. Marra, Gué, Ernia, Drefgold e Lazza pubblicano per la Island – cioè, Universal quando si veste streetstyle. La Dark Polo Gang, per la Virgin – cioè, Universal quando si veste da giovane coi soldi. ThaSupreme pubblica per Sony. Tedua è un indie per Sony, Ghali un indie per Warner. Infine, Achille Lauro pubblica per Gucci. E per i giornali. Ok, poi vado a vedere con chi ha un contratto discografico perché non mi ricordo, sapete che ha fatto tutti quei pasticcetti.
Altro dettaglio. L’unico vero indie tra i primi 30 è Random. Ma è schifatissimo dagli ascoltatori militanti, che non tradirebbero mai le loro multinazionali di fiducia. Il rap è troppo ribelle perché non venga gestito direttamente dal capitalismo.
Dove sto andando a parare. Tutti i numeri uno rappusi, la attuale top ten degli album okkupata militarmente dai rappusi, con Gué, Ernia e Tedua sul podio. Sì, ma secondo voi questa nazione sconclusionata è davvero così intimamente rap? Io dico più oggettivamente che posso che no, non lo è, l’anima musicale ITALIANA è neomelodica e papeeta, piagnona e chiringuita, e lo sanno pure i rapper. Perciò, mai come in questo periodo mi sto arrabattando per giustificare le mie attenzioni per la classifica degli album. Ma ha sempre meno senso, è una foto sghemba, fatta di notte e con una macchina senza flash. Escono praticamente solo album rap. Spotify pompa solo album rap. Perciò a maggior ragione escono solo album rap, è un serpente che si morde la coda, la mastica abbastanza soddisfatto e si dice “Sa di anguilla”. La persistenza tra i primi dieci degli album di Marracash e ThaSupreme (usciti nell’autunno 2019) oltre a certificarne il valore, vale anche come conferma che l’album di valore è una rarità, che l’album come concetto è a tanto così dall’estinzione. Forse nemmeno un magico ritorno a una routine prepandemica può salvarlo.
Ma non precorriamo l ‘autunno a venire. Rimaniamo qui al caldo, e constatiamo spensieratamente che tutti gli artisti che fanno generi nonrap (ivi inclusi i poeti stropicciati dell’indie) da mesi evitano di fare album (e spesso anche singoli) perché senza cd e senza instore tour e senza live, rischiano di non fare una lira e di non avere neppure l’enorme gratificazione di esser citati in questa rubrica. Per capirci: né gli album che piacciono in tutto il mondo (BTS, Dua Lipa, o Taylor Swift – artista del 2019 per l’IFPI, cioè la discografia mondiale) né quelli per i quali la critica si è unanimemente strappata le sopracciglia (Bob Dylan, Fiona Apple) sono arrivati al pubblico dei rispettivi generi, che ha perso l’abitudine all’album, se non a una musica da ascoltare a parte, alla quale dare un ruolo diverso da quello di sottofondo di una chat o di una coda in tangenziale.
(ma questo proprio quando Crusciàni sulla radio di Confindustria ha finito di dire che regà, alla fine er fascismo ecché sarà mai, no? Daje!)
Così escono solo (presunti) album di rapper perché possono contare su un mercato sbilanciato sullo streaming, che è ostaggio degli adolescenti maschi. Siccome vedo là in fondo uno che si adonta, mi affretto a chiarire: non mi fa nessun piacere scriverlo. Anzi. Perché la conseguenza sanguinosa è che la classifica dei singoli e persino quella delle radio sono più vicine di quella degli album a un’immagine realistica del bizzarro posto che ci contiene. Ma non sarebbe nemmeno il peggiore dei mali.
(la prima differenza con quella FIMI è che per lo streaming, Rocco Hunt – essendo vagamente un rapper – supera Boomdabash) (facendo peraltro di Ana Mena la n.1 per due ferragosti consecutivi)
(ma soprattutto, nello streaming La isla di LaGiusy + Elllétttraelllléttraetc cade dal n.6 al n.22, peraltro in risalita da un punitivo n.40)
Comunque non sono così scemo da dirvi che gli anni 70 erano meglio, gli 80 erano meglio, i 90 erano meglio.
No! Io arrivo a rivalutare gli anni 10. Questa che vedete costaggiù era la classifica dei singoli esattamente dieci anni fa, a metà agosto 2010. Almeno nove pezzi su dieci sono più rispettabili dei loro corrispettivi attuali.
(e mi struggo al pensiero che il prezzo per sbarazzarsi dei Modà sia stato così alto)
Insomma, lo so che alla fine mi cimenterò con le facezie su Tormentonia e sulle azzeccatissime hit estive, e cercherò grasso sollazzo nei flop di J-Ax e del duo Ferreri-Lamborghini. Ma quest’anno è durissima ghignettarci su. Ci sarebbe più dignità in una top ten di fialette puzzolenti. Faccio fatica persino a individuare quella che mi fa più schifo. Arrivo a salvare Mediterranea di Irama, il che è come preferire un programma di ItaliaUno a dei programmi di ReteQuattro. Il mondo dei singoli è più farlocco del wrestling.
Altri argomenti di conversazione. Solo 48 album su cento sono pubblicati o distribuiti da Universal. Devono essere allarmatissimi. Poi, hanno lasciato la classifica Rosa Chemical dopo 10 settimane, Rough and rowdy ways di Bob Dylan dopo sette, Frah Quintale dopo sedici, Alanis Morissette dopo una sola settimana (però passata al n.16). Per contro, non la lasciano ma sono da più di due anni in classifica Potere – Il giorno dopo di Luché (111 settimane), 20 di Capo Plaza (121 settimane), Pianeti e Peter Pan di Ultimo (128 e 131), Rockstar di SferaEbbasta (134), il segnetto ÷ di Ed Sheeran (180). Ma naturalmente, il principale lungodegente è ancora dei
Pinfloi. The Dark Side Of The Moon è in classifica da 197 settimane consecutive, e occupa il n.62 (+2% rispetto alla consultazione precedente); The Wall però è lì al n.66, una delle sue migliori performance estive. Ecco, io sono arrivato al punto che oggi come oggi, in spiaggia, al sole e davanti al mare ITALIANO, ascolterei più volentieri Waiting For The Worms che qualsiasi azzeccatissima hit estiva dei nostri producers – abilissimi Re Mida capaci col loro tocco sapiente di trasformare la spazzatura in monnezza.
Ma alla fine. Non si sfugge a Tormentonia. Va affrontata come l’Idra, facendo saltare a colpi di spada tutte le sue hit azzeccatissime. Venite preparati. “There will be blood”.
PS
(comunque non si discute, il wrestling degli anni 90 era artisticamente superiore a quello attuale) (dehehihohu)
Quando ho letto di Fiona Apple mi è preso un magone per quanto è bello quel disco.
So che per te “boh” … Ad ogni modo che vita triste gli adolescenti di oggi. Senza gli album, senza Fiona Apple
Un po’ è vero. Spiace veramente per loro. Però boh, avranno altre cose. Tante instagram stories.