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In prescrizione: il dimenticabile anniversario di The Final Cut, Pink Floyd

finalcut

Uuh, 40 anni fa uscì Dark side of the moooon!!!!! E tra 10 anni sarà uscito da 50 anni!!!!! Celebriamo! Mandiamolo al n.20 nella classifica italiana, dove risiede peraltro da 78 settimane.

Questo abbiamo letto tutti dappertutto. E nessuno che abbia notato che più o meno nello stesso periodo i Pink Floyd festeggiano il 30ennale del disco reietto: The Final Cut.
(nessuno eccetto IO)

Pochi lo crederebbero, ma ci sono un po’ di cose che ci ha insegnato questo disco gramo, depresso e semiinavvicinabile (finisce con un’apocalisse nucleare, e nemmeno lei è accompagnata da un bel pezzo che spakka). Ne ho fatto una bella LISTA. Ma prima, presentiamolo con le parole dei totem in persona: i PINFLOI.

“When the tigers broke free”

– “Mi dicevo: Roger vuole fare un disco con degli scarti da The Wall? Se sono scarti, ci sarà una ragione”. (David Gilmour)
– “Tra noi c’era un clima talmente teso che a riascoltare il disco oggi rischio di tagliarmi”. (Roger Waters)

– “In un disco mi interessa la musica, mi interessano meno i testi. Lui stava privilegiando i testi. E c’era troppa ossessione politica” (David Gilmour)

– “Non gli andava che attaccassi la Thatcher”. (Roger Waters)

– “Non è un completo disastro. Ci sono tre pezzi decenti, credo. Ma non ricordo assolutamente come si intitolano”. (David Gilmour)
– “Non sono pessimista. Sono realista. L’umanità non si salverà. Penso che stiamo andando in discesa verso l’abisso e qualcuno prima o poi schiaccerà il bottone e sarà la fine”. (Roger Waters)
– “Gradualmente, Roger aveva sminuito e allontanato chiunque attorno a lui. Nick e Rick si sentivano due falliti, erano catatonici”. (David Gilmour)
– “Quando ai tempi di The Wall dissi a Dave che Richard Wright era diventato un peso ed era meglio non considerarlo parte del gruppo, Dave mi disse: “Facciamo fuori anche Nick”. Ma Nick era mio amico”. (Roger Waters)
– “Verso la fine delle registrazioni Roger ci disse che pretendeva che il gruppo si sciogliesse, che per lui non avevamo più niente da dire come band. Io dissi: no, non è questo che voglio. Magari faremo un disco. Anche senza di te. Lui mi rispose: Non ne sarete mai capaci. E se ci proverete, verrò in studio a rompere le palle tutto il tempo”. (David Gilmour)
– “In tutti i gruppi c’è un leader e a loro andava benissimo che fossi io. Ora improvvisamente fingevano che non fosse così. Non scrivevano pezzi, non portavano idee. Se avessero voluto scrivere qualcosa, io sarei stato più che felice, Us and them la scrissi con Richard ed è una delle cose migliori che i Pink Floyd abbiano fatto. Ma dopo Dark Side, nessuno di loro si dedicava al gruppo quanto me, dipendevano dall’insopportabile ma prolifico Roger per scrivere le canzoni. O qualcuno crede che io impedissi a David Gilmour di scrivere canzoni? Strappandogli la chitarra di mano?” (Roger Waters)
– “Così qualche tempo dopo andammo in tribunale e dimostrammo che i Pink Floyd non intendevano sciogliersi: semplicemente, c’era una persona che voleva lasciare i Pink Floyd”. (David Gilmour)
– “Nick mi disse: Roger, io capisco che problema hai. Ma starò con Dave perché mi conviene. Ecco, Nick è così. Gli piace vivere bene, gli piace l’attenzione della gente. Così ha avuto altri dieci anni di soldi e di attenzione”. (Roger Waters)
– “…Dicono tutti che sono uno che non si sbilancia”. (Nick Mason)
– “So per certo che mentre incidevano il loro disco (A momentary lapse of reason) si sono fermati più volte a chiedersi cosa avrei fatto io. E ho la sensazione che abbiano anche tentato di fare qualcosa di coraggioso. Ma penso che poi la casa discografica li abbia richiamati all’ordine, e abbiano deciso di realizzare una buona imitazione dei Pink Floyd, a partire da tutti quegli ooooh delle coriste come in Dark Side”. (Roger Waters)
– “Dopo aver perso Syd, perdemmo anche Roger, e vendemmo bene lo stesso. A momentary lapse of reason, senza Roger, vendette il doppio di The final cut, con Roger. E’ la dimostrazione che nessuno è insostituibile. Me compreso, naturalmente”. (David Gilmour)

(ulteriori dettagli a margine)

The Final Cut nacque quando Waters iniziò a lavorare su una cosa intitolata Spare bricks, nuove canzoni per accompagnare il film The Wall. Ma presto, furioso per l’entrata in guerra del suo Paese contro l’Argentina – per le isole Falkland, primavera 1982 – decise di sviluppare un concept album dedicato esplicitamente al padre, morto nello sbarco di Anzio, nel 1944, quando lui aveva 5 mesi (è venuto in Italia proprio in questi giorni per cercarne le tracce).
– Waters, con la sua voce strizzata, canta tutti i pezzi tranne uno, Not now John (il singolo), affidato al ruggito di Gilmour.
– Non suona nel disco Richard Wright, già fatto fuori da un Waters inviperito durante The Wall. “Non scriveva niente, non era capace di produrre, però mi teneva il muso, era diventato anale. Mentre incidevamo The Wall, dopo aver fatto finta di interessarsi alla produzione per una settimana, prese su e andò in Grecia”.
– Suona pochissimo anche Nick Mason, un po’ perché la batteria non è molto richiesta, un po’ perché quando c’è, suona parti troppo complicate per lui (Two suns in the sunset, in tempo di 5/4. Come già in The Wall, quando le cose si complicavano, lasciava serenamente le bacchette ad altri). Gilmour suona alcuni assoli notevoli, ma di fatto si chiama fuori dal disco. 
– Perciò molti lo definiscono un disco solista di Waters. Ma è anche vero che ritornano temi già visti e sentiti nei Pink Floyd. Ritorna ad esempio l’insegnante di The Wall (anche nel video) in One of the few, e scopriamo che è un reduce di guerra. Ritornano i generali che gridano “Avanti!” come in Dark Side of the Moon, e vediamo dietro di loro, chiamati per nome (nonostante il parere contrario di Gilmour) Thatcher e Reagan, Galtieri e Rabin.
– I critici furono molto, molto spiazzati. Melody Maker lo fece a pezzi. Viceversa Kurt Loder (futura star di Mtv) su Rolling Stone gli diede 5 stelle.
– Vendette 3 milioni di copie. Il peggior risultato per un disco dei Pink Floyd dai tempi di Meddle (1971). Però sempre 3 milioni di copie, eh.

SETTE FATTI CHE RENDONO AFFASCINANTE THE FINAL CUT
1. Il fatto che tre milioni di persone comprarono un disco per nulla gradevole, una sorta di monologo di Waters senza ritornelli e con musica funebre, e almeno metà di loro lo ascoltarono insistentemente e se lo fecero piacere perché c’era scritto il nome fatidico: PINKFLOYD.
2. Il fatto che fu acclamato come capolavoro un disco come The Wall, completamente basato sulla misantropia e le paranoie di Roger Waters, ma contemporaneamente questi fu additato come cattivo e insopportabile dai fan per aver tentato di togliergli i Pink Floyd.
3. Il fatto che esponga il lato preoccupato degli anni 80: fu il più esplicito di tutti quei 33 giri e 45 giri che dicevano che tra quei gentiluomini di Reagan e Breznev (o gli altri leader sovietici inclini al raffreddore), a qualcuno poteva saltargli la mosca al naso e farci saltare tutti in allegria. Era un’escalation di canzoni sulla guerra, da Two tribes di Frankie Goes to Hollywood a War song dei Culture Club, da Russians di Sting a – Gods of war dei Def Leppard (!), beh, che diamine, i disimpegnati e fatui anni 80 furono un po’ più preoccupati dello scenario internazionale dei decenni successivi.
4. Il fatto che fosse musicalmente in completa controtendenza rispetto alla musica che girava intorno, ma anche rispetto ai Pink Floyd: più orchestra che tastiere, non un dito di prog.
5. Il fatto che i Pink Floyd erano sopravvissuti all’attacco del punk con un colpo di reni: The Wall, la grande fantasia misantropa di Roger Waters: n.1 ovunque, e salvezza per una band che era stata rovinata finanziariamente dal manager.
6. Il fatto che al contrario, negli anni 80 The Final Cut fu un grosso argomento a favore della generazione con il gel nei capelli, quella che nel febbraio 1983 mandò i debuttanti Tears for Fears al n.1 nel Regno Unito. Aprì ufficialmente la crisi per i fautori del rock tradizionale degli anni 70: mentre con velocità vertiginosa una generazione si buttava su nuovi gruppi, dai Police ai Dire Straits, dai Duran Duran ai Depeche Mode, per i dinosauri l’imperativo divenne 1) adeguarsi in qualche modo (come fecero Yes, Genesis o David Bowie, riconvertiti in macchine da singoli) o 2) battere in testa (come fecero per un bel po’ i Rolling Stones, Bob Dylan, Lou Reed, Neil Young).
7. Il fatto che, per quanto inascoltabile se non da chi vuole espressamente passare un’oretta autenticamente miseranda, abbia più dignità dei dischi successivi dei Pink Floyd.

13 Risposte a “In prescrizione: il dimenticabile anniversario di The Final Cut, Pink Floyd”

  1. Più che altro negli anni 80 si cagavano tutti addosso per paura di diventare fosforescenti. Quando (mi verrebbe da dire”purtroppo”) questa paura è andata a farsi fottere, se n’è andata affanculo pure la nostra coscienza…

  2. Finalmente un bell’articolo su Final Cut! Io lo adoro, è un’opera di difficile ascolto, per questo necessita ascolti numerosi per imparare ad apprezzarla appieno; il booklet suggerisce una vena “cinematografica” molto suggestiva. Alcuni lo ritengono una lagna ininterrotta di Waters, un’appendice di The Wall, io rispondo: nì. Per me è un’opera d’arte profonda, poetica, anche se terribilmente pessimista, straziante; quando l’ascolto penso spesso a mio padre, ai campi di grano e ai papaveri che tanto amava.
    A momentary lapse of reason è, a mio parere, la vera “caduta” dei Pink (chapeau, comunque!), si sono rifatti con The Division Bell, poco floydiano ma sublime e intenso fino al midollo.
    I Pink sono stati l’inestimabile colonna sonora di una parte della mia vita. Tutto qui.

    complimenti per il blog

  3. Ci sono album che sono capolavori “a prescindere” come Dark Side e The Wall, e ci sono degli altri dischi che sono talmente strani e particolari che non toccano tutti quanti. Alcuni restano indifferenti, altri cadono increduli ed innamorati.
    Io sono innamorato di questo disco, e credo che i meno titolati a dare giudizi su questo album siano proprio i protagonisti stessi. Il disco è nato in un momento di forti contrasti personali e per loro rimarrà sempre legato ad un momento non positivo della propria carriera musicale.
    Noi invece che siamo “estranei” a tutto questo possiamo giudicare questo album solo e soltanto per quello che è. Per quello che ha significato e significa per noi.
    Non è progressive ma ci sento i Pink Floyd classici dalla prima nota all’ultima. Gilmour non è coinvolto e non ricorda nemmeno i titoli delle canzoni ma io sento la sua chitarra in The Final Cut, Your Possible Pasts e The Fletcher Memorial Home come non la sento in nessuna canzone di AMLOR.
    Roger Waters canta con una voce così carica di sentimenti che si, forse non saranno delle interpretazioni impeccabili da un punto di vista tecnico, ma sono cariche di sentimento e passione.
    E poi ci sono le canzoni. Se perdiamo qualche momento in più ci accorgiamo che The Final Cut, The Gunner’s Dream e The Fletcher Memorial Home sono dei capolavori assoluti. Assoluti.
    Paranoid Eyes è di una bellezza e semplicità disarmante con un testo incredibile. Not Now John è un bellissimo pezzo rock. Two Suns In The Sunset è un mid tempo affascinante ed elegante….. e tutto il resto è comunque più che discreto.
    Questo disco ha bisogno di essere inquadrato. Non è vero che alla fine piace solo perché c’è scritto “Pink Floyd”. Questo disco ha le canzoni. Belle canzoni. Cosa che non ha per esempio The Pros And Cons…
    Non è un disco per tutti, ma se riesci ad essere toccato dalla sua splendida meraviglia, questo album non ti lascierò più. Mai piu.

    1. Il vero commento a questo disco lo ha fatto Giuliano….Complimenti mi hai tolto le parole di Bocca THE FINAL CUT e’ un capolavoro di Roger, affrescato da Gilmour e Michael Kamen!

      1. Sul concetto di capolavoro non posso che allargare le braccia: l’importante è che a te piaccia.

  4. Bellissima recensione e commento perfetto di Giuliano.
    Final CUT e uno di quei dischi che si apprezzano sempre di più ad ogni ascolto … Un po’ deprimente ma un’opera splendida.
    Disco non per tutti ….

    1. (chiedo scusa se approvo i commenti solo oggi) (devo migliorare un po’ di cose nella gestione) (ah, quanto capisco Gianni Morandi)

  5. Ne ho approfittato per rimettere sul piatto questo disco. E’ l unico in vinile che ho dei Floyd… E’ un disco meraviglioso … E’ da scoprire e riscoprire ogni volta che si sente. Mentre lo ascoltavo leggevo i vostri post … Grazie!!!

  6. Giuliano ha dato voce a molti più dei 3 milioni che hanno acquistato il disco. The final cut è un disco tagliente e sono molto ma molto felice di essere tra i “pochi” a cui è entrato nel sangue, nel cuore e nell’anima. La voce di Roger, come giustamente dice Giuliano, così carica di sentimenti e passione, non è facile da ritrovare in altri e questo dice tutto su quanto Waters ha messo in questo disco. Io me lo tengo stretto!!!

  7. Come qualità dei testi è molto maturo, in particolare la title track è molto ispirata, la musica si piega bene alle liriche e l’assolo di Gilmour è dirompente come suggerirebbe il racconto.

    Two suns in the sunset è forse il momento migliore, un bel pezzo con un finale quasi jazzistico. Naturalmente il pezzo forte di questo album è che andrebbe ascoltato con le cuffie ad alto volume, per cogliere le sfumature della produzione assai raffinata. Musicalmente è molto monotono e il sound Floyd è salvato dalla chitarra qua e là. Detto ciò – al di là delle vendite – rimane un album intimo, a tratti corrosivo e spietato. Ma forse troppo auto-indulgente: non basta essere incazzati con il mondo per giustificare l’eccessiva verbosità.

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