AMARGINE

Superclassifica 2017: i più – diciamo così – venduti. L’analisona

APERITIVO

 

(partiamo dal dato meno glamour di tutti, per farvi capire quanto, in questa occasione cerimoniosa, sarò severo e notarile)

 

Le Case. Warner si prende il numero 1 globalone. Sony si prende il resto del podio. Un indipendente (Believe con Ghali) si prende un posto in top 5. Universal sbrana tutto quello che può – a partire dal sesto e settimo e ottavo e nono e decimo posto. Le tre maggiori spazzano parecchio, ma non spazzano tutto: Self figura al n.11 grazie a Coez, Artist First sfoggia un n.17, 18 e 23 (Negramaro, Ermal Meta, Dark Polo Gang), Believe riappare al n.33 grazie a Brunori SAS.

 

 

L’anagrafe. Sopra i 50 anni, solo tre titoli in top 10: Mina&Celentano, MiticoVasco e Jovanotti (per poco). Rispetto agli anni scorsi l’età media si è sensibilmente abbassata, come da esigenza del comparto tutto.

 

 

Sesso! Se si esclude Mina con Celentano (e non so se da sola ce l’avrebbe fatta) c’è incredibilmente una sola donna in classifica tra i primi 20: CristinaD’Avena, e non da sola – con i suoi duettanti. Mi pare sia la peggior performance femminile degli ultimi trent’anni. Okay, non sono uscite Pausini, Emma, Amoroso, Elisa. Quindi siamo fermi a loro? Mmh. Quel che è certo è che al pubblico dell’hip-hop le femmine non piacciono. Si vede che c’è quell’omosessualità latente che tirano in ballo per il pallone.
Calendario alla mano. Al netto delle versioni deluxe con cui sono stati ripresentati, tre dei dischi più apprezzati nel 2017 sono usciti nel 2016 (ed erano tra i dieci più venduti anche nel 2016): MIna&Celentano, Tiziano Ferro, la raccolta di MiticoVasco. Quindi, potremmo dire che solo 7 dischi del 2017 sono in top ten. Ma vale la pena notare che in tutta la top 10, l’unico disco espressamente pubblicato nell’imminenza del Natale 2017 era quello di Jovanotti (e diciamocelo, non svetta). Anzi, l’album più venduto a Natale (ModenaPark di MiticoVasco) è solo al n.14. Deduzione pretaportér: il disco non è stato un regalo di Natale. Oppure, se lo è stato, non è stato tirato su a caso, in fretta. D’altro canto un po’ di big sembrano trovare più conveniente uscire a gennaio e febbraio, mesi più vicini alle tournée.

 

PRIMI PIATTI

 

 

Album più venduto: Divide (per gli amici: ÷) di Ed Sheeran, l’album con cui il gattyno che canta voleva deliberatamente superare le vendite di Adele, e non escludo che ce la possa fare. Era dal 2000 che il disco più venduto in Italia non era straniero (in quell’occasione, la raccolta “1” dei Beatles). Al n.2 i #ComunistiColRolex, seguiti al n.3 da Riki capo degli Amiki, che è pure al n.12 (e in questo la sua doppietta è pure meglio di quella di MiticoVasco). Al n.4 Mina&Celentano, ma ho dei sospetti: Tutte le migliori, la raccolta di quest’anno, non appare nella top 100, e direi pertanto che è stata considerata una versione deluxe dell’album Le migliori del 2016. Non sarebbe la prima volta che viene fatta questa gherminella – la cosa ci svela che le case discografiche tengono alle classifiche più di quanto dicano. Al n.5 Ghali, l’altro fenomeno del mondo teen con Riki – e so che accostarli è una piccola perfidia da parte mia, prometto che non ce ne saranno molte altre in un pezzo in cui sono tenuto a sommergervi di fredda cronaca. Interessante che il Vasco “per tutti” della raccolta Vasco Non Stop (n.8) abbia battuto il Vasco Evento, per di più proposto sotto Natale – e anche su RaiUno – di Modena Park (n.14). Certo, c’è anche il fatto che i dischi dal vivo non piacciono.
Jovanotti al n.7 non è quello che ci si aspettava, no. Lui potrà vantarsi di aver fatto un album diverso, ma ho la sensazione che il singolo primaverile sarà ancora più cuoricioso del tipico singolo primaverile cuoricioso di Jovanotti.

 

Stranieri. Niente americani in top 20. C’è giusto un inglese (Ed Sheeran) una band irlandese (U2). Proprio volendo, ci sono due #aiutiamoliacasaloro (Ghali ed Ermal Meta). I primi americani sono al n.21 (Imagine Dragons), seguiti dai Linkin Park al n.40. In mezzo, tre inglesi (Depeche Mode, Coldplay, Harry Styles). Oh, il mercato italiano è fortemente autarchico: non è una cosa che scopriamo oggi. Però non commentate che è una caratteristica solo nostra perché non è vero: le charts di Francia, Germania, Spagna sono altrettanto impermeabili ai diktat dei megaboss di New York e Londra. Tranne per quanto riguarda i singoli, come vedremo.

 

I SECONDI

 

NonBenissimo. MiticoLiga, solo n.25 – sì, il disco è del 2016, ma pure quello di Tiziano Ferro, e guardate dov’è. Vale anche per Giorgia n.26. Mentre sono usciti nel 2017 Biagiantonacci (n.32) e Gianna Nannini (n.64) (due posizioni sotto The Weeknd, non so se mi spiego). Disastro inenarrabile per The Kolors, i ragazzi-meraviglia di solo due anni fa: niente top 100 per l’album della casa discografica Baraonda di Lorenzo Suraci, boss di RTL 102,5: lecito ipotizzare a questo punto che i 4 dischi di platino si dovevano più a Maria De Filippi e alla televisione che non alla radio. Poi, lungi da me sottolineare come l’ambientino del giornalismo musicale sia alla mercé dello hype, dei rapporti con gli amichetti o della semplice tifoseria personale. Però se solo la FIMI tenesse conto della quantità di amore battente di Coloro Che Ne Sanno, certi artisti sarebbero più in alto di quello che sono: per esempio TheGiornalisti (ancora dove li avevo lasciati l’anno scorso, al n.45), o Levante (n.54), Baustelle (n.56) o Calcutta (n.96). Questo non significa che alcuni caldeggiati non ce l’abbiano fatta: Brunori SAS porta a casa un signor n.33, e con una piccola etichetta. Ma se vi devo dire la verità, Calcutta può pure farmi degli ampi gesti bimani, perché lui in classifica ci è entrato: guardate invece qui sotto – lasciate che vi mostri il Titanic.

 

Rock’n’roll. Non me la sento di includere MiticoVasco o i Negramaro nel discorso, perdonatemi. Parto quindi dagli U2 al n.15. Arrivo a includere gli Imagine Dragons al n.21 – e presumo che i pitchforkiani stiano già abbandonando la sala. Depeche Mode al n.27. Mi spingo a includere Harry Styles al n.35 (tanto quelli sono già fuori dalla sala, giusto?). I Linkin Park al n.40. Dave Grohl coi Foo Fighters al n.82 fa meglio di Dave Grohl venticinque anni fa con i Nirvana: l’immarcescibile Nevermind chiude al n.85. Ma parlando di (N)evergreen, è ovviamente ora di passare ai

 

Pinfloi. The dark side of the moon è al n.55, ed è il vinile più venduto dell’anno. Roger Waters è al n.49, David Gilmour al n.59, The Wall al n.78.
E questi sono gli unici dischi che mi sento di definire rock nella top 100. Niente Kasabian, niente Arcade Fire, niente fratelli Gallagher. Men che meno St Vincent. Sarebbero bastate poche copie, credo, ma l’entusiasmissimo di Coloro Che Ne Sanno Di Musica si ferma sempre davanti ai 9 euro del prezzo dell’album, mentre la devozione degli Gnoranti no. Occupiamoci allora di un genere ben più in salute.

 

Rap Royal Rumble. In top 10, quattro titoli rap – nei quali non includo Jovanotti, con buona pace del disco prodotto da Rick Rubin. Abbiamo il n. 2 di J-Ax & Quellaltro, il n.5 di Ghali, poi Fabri Fibra al n.9 e Gué Pequeno al n.10. Coez rimane fuori per poco (n.11), Caparezza è al n.13 e Sferaebbasta al n.19. Quini Dark Polo Gang n.23, Tedua n.29, Rkomi n.31. Raga, confrontiamo con l’anno scorso, quando avevamo avuto Salmo con un n.13, Marracash & Gué Pequeno n.24, Gemitaiz n.26. Eh, insomma: sicuramente il cambiamento nel conteggio, con l’enfasi sullo streaming, ha fatto un grosso piacere alla scena e alla scenetta – ma non credo sia solo questo. Penso che tutti abbiano fatto un passo importante verso una maggiore fruibilità pop: Fibra, Gué, Coez, Sferaebbasta hanno pubblicato dei singoli che sono stati ampiamente passati dalle radio. Paradossalmente, sono più cantabili i brani rap che non quelli pop: forse personalmente non sono un esempio significativo ma a me i ritornelli di Tiziano Ferro o Riki mica sono rimasti così in mente.

Sanremo. L’anno precedente era stato un disastro. Quest’anno, Carlo Conti passa il testimone a Claudio Baglioni con due album in top 20 (Gabbani, n.16, ed Ermal Meta, n.18). Tuttavia, io rimetterei il Dom Perignon nel frigo, visto che dopo il n.49 di Michele Bravi si scende parecchio ed è legittimo chiedersi quanto il n.63 di Gigi D’Alessio o il n.79 di Samuel o il n.83 di Fabrizio Moro, gente che ha una fanbase piuttosto solida, debbano qualcosa al Festival. Forse ne ha beneficiato il n.38 di Fiorella Mannoia, il cui album uscito nel 2016 non era andato benissimo. Sta di fatto che non vedo nella top 100 i dischi di Chiara, o Clementino, o LaGiusy. Ma è pur vero che con Occidentali’s Karma al n.6 tra i singoli, una vincitrice di Sanremo è tornata nella top 10 delle canzoni, credo sia la seconda volta in questo secolo (l’altro è stato Mengoni con L’essenziale, ma non era conteggiato lo streaming).

 

X Factor vs Maria. Riki terzo, è un bel botto. Ma anche Federica n.24 e Thomas n.37. Da Sky rispondono con i Maneskin n.66, ma naturalmente il programma di Canale 5 ha qualche mese di vantaggio. Non ce l’ha fatta Nigiotti. Come del resto Manuel Agnelli – a differenza di Fedez e Levante.
IL
CONTORNO

 

I cosiddetti singoli. Vince Portorico, grazie ovviamente a Despacito di Luis Fonsi e tutti gli altri che non mi ricordo il nome; al n.2 il Brexit Ed Sheeran con Shape of you, al n.3 Senzapagareeeeeh di J-Ax & Quellaltro, primo singolo italiano. Con Francesco Gabbani (n.6) e La musica non c’è di Coez (n.8) ne sono entrati 3 in top 10, meglio dell’anno scorso, quando sempre J-Ax & Quellaltro erano arrivati al n.5 con Vorrei ma non posto.

 

Doppia presenza in top 20: Ed Sheeran (Perfect è al n.9), gli Imagine Dragons (Believer n.10, Thunder n.12) e i Clean Bandit (Rockabye n.5, Symphony n.15. Se riuscite a distinguerle). Solo n.23 Riccione dei TheGiornalisti: un po’ è perché YouTube non conta, un po’ perché la Carosello evidentemente non stressa abbastanza Spotify, un po’ perché il cordiale nazismo delle playlist è fatto per spammare le nostre vite di poppetto globale. Perché non ditemi che Swalla (n.29), Me rehuso (n.31) e Paris (n.33) sono dilagate nel Paese più de L’esercito del selfie (n.35).

In generale. Direi che è stato un anno molto (troppo) reggaeton, anche italiano. Piacciono molto, mio malgrado, i featuring (11 in top 20). Meno brani di provenienza europeo-continentale, che invece avevano conosciuto una breve stagione di fortune per i generi EDM e pop . Ah, ovviamente l’album di Luis Fonsi, nell’altra classifica – beh, non se ne parla nemmeno.

 

 

IL DOLCE
Vinili! Tra i primi venti, solo album delle tre major.
Primo dei vinili, non ridete, The dark side of the moon. N.2, Roger Waters, primo dei dischi – ehm – nuovi. Al n.3 (ah, non posso tollerarlo) Wish you were here DAVANTI a The wall, quarto. Al n.5 il primo album italiano, Le migliori di Mina&Celentano. Seguono Back in black di Amy Winehouse, poi i Nirvana ma non con Nevermind (n.15) bensì con Unplugged in New York, quindi Led Zeppelin IV, i Masters di Lucio Battisti, e al n.10 Caparezza.
Ed Sheeran tra i vinili è solo al n.13.

 

L’AMARO

 

Miglior vita. In calo, forse anche per la legge dello streaming, la quantità di album di artisti o gruppi guidati da artisti che hanno lasciato questa valle di sacchetti bio. Li guida Lucio Battisti al n.36. Nessuno di loro appartiene al club dei defunti del 2016; solo i Linkin Park grazie a Chester Bennington, rientrano nel piccolo club del 2017. Ma possiamo dire che sarebbero entrati in top 100 comunque. La morte non ci piace più come una volta.

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