AMARGINE

Uno sferico niente. E basta – TheClassifica 49/2020

Può darsi che io non sappia cosa dico. Ma ho la sensazione che la gran fanfara organizzata per FAMO$O di Sfera Ebbasta sia già scemata. Tutti quelli che lo ritenevano necessario hanno detto la loro. Da giorni, Sferone non fa nemmeno più notizia, pur essendo da due settimane
Il numero uno. L’unica comparsa nella fitta sassaiola delle news è data da un dito medio ostentato alle masse per festeggiare sui social il suo compleanno. Ecco, per me potrebbe già finire lì, nel gesto irriverente più ovvio, generico e blando dell’intero catalogo. La realtà è che Gionata Boschetti è la superstar più insulsa che abbiamo avuto negli ultimi vent’anni, e siamo onesti: ne abbiamo avute a bizzeffe. Epperò il punto non è che sia insulso. Anzi, trovo interessante che a differenza di altri che almeno ci provano (perché Ultimo o Irama, fini come il cemento, ci provano), Sferone non ci provi nemmeno, ha la stessa simpatia e comunicativa di Cristiano Ronaldo o di un calamaro – due soggetti che come lui, potrebbero raccontare delle cose, hanno pur sempre visto il mondo da un angolo particolare a noi sconosciuto. Ma non lo fanno, e io non ho nemmeno tempo di chiedermi se non vogliono farlo o non gli interessa: ne posso solo prendere atto e valutare se questa scelta è realmente voluta – e quindi eventualmente costituisce, sant’Iddio, un messaggio (…alla fine, credo lo sia solo da parte del calamaro, che ha uno spessore personale più consistente).
Ma certamente il nulla plastico e traslucido espresso da Sferone è parte essenziale del progetto, è quello che ha permesso a tutti gli operatori dell’industria – dai discografici a noi patetici esegeti fino al pubblico adolescente – di proiettarci quello che potevamo. Ma la contropartita è che FAMO$O è, anzi deve essere totalmente vuoto. Non è nemmeno realmente irritante come poteva esserlo, poniamo, un disco dei Modà. Non ha nessuna consistenza come disco, e non intendo dire solo – non ridete – come espressione artistica, ma anche come oggetto di intrattenimento. Non è nemmeno un piccolo o grande passo in qualche direzione, e la presenza di featuring di pregio è semplicemente un appiglio per farci dire o commentare qualcosa, Marracash & Gué Pequeno, Diplo o Steve Aoki, Future o J Balvin ci sono per il nome che portano, tipo le poltrone Frau sui treni di Italo. Ogni suo suono e parola o tematica, nella sua impagabile piattezza e prevedibilità, sposta in realtà l’attenzione verso la sua intenzione, la costruzione, l’operazione, la dimensione, l’ambizione. E infatti nessuno è riuscito a giudicare realmente FAMO$O come disco. Ogni recensione, ogni valutazione da parte dei detrattori come degli entusiasti, partiva dal posizionamento, dal ragionamento commerciale su scala internazionale. Per quelli che hanno una certa età, il ricordo può andare a quando eravamo tutti servi, volenti o nolenti, di Gianni Agnelli, e la presentazione di una schifosa, insulsa Fiat Uno mobilitava ogni forza disponibile affinché nessuno affermasse che era in primo luogo un aggeggio con quattro ruote che doveva andare dal punto A al punto B. Allo stesso modo, FAMO$O non è stato giudicato come un aggeggio che trasporta musica (il fattore più irrilevante e superato, quello che non porterebbe niente nell’equazione). Non solo nessuno ha osato rischiare l’imbarazzo del ricorso ai basici, obsoleti concetti di “bello” e “brutto”, nemmeno declinandoli secondo l’imperante egolalia del critico contemporaneo (in sostanza: “Mi piace”, “Non mi piace”). Ogni aspetto delle canzoni che lo compongono è stato valutato in base a una domanda: “L’operazione funziona?”.
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FAMO$O ha chiesto, ha imposto di essere valutato in base all’operazione, alla dimensione, all’ambizione. Se ne è parlato come di un telefono, di una playstation, di una app. E quindi l’interrogativo vero non è mai stato: è un buon disco? No, è sempre stato: funziona? È performante? Otterrà i risultati previsti su scala mondiale? E all’uopo, parecchi quotidiani – anche grossi, qualcuno ancora convinto di avere una dignità – e radio e tv si sono lietamente prestati, forse persino gratis, per inserirsi nella scia a fare da majorettes della macchina promozionale messa su da Sony e Spotify, diffondendo il dogma di FAMO$O “quarto disco più ascoltato nel mondo”. Beninteso, quarto negli ascolti su Spotify – gli stessi attendibilissimi stoccafissi svedesi che hanno messo soldi per la piccola carnevalata della piazza di Cinisello.
Già ci sarebbe da strabuzzare la faccia intera, ma voi capite che sono tempi in cui la credibilità dell’informazione vacilla in ben altri ambiti – così me lo sono fatto andare bene, ma sì, accetto tutto: evviva questo giuoco piacione di mandare bacini a Spotify o alle tre major, magari poi domani ci andiamo a lavorare come il collega Piffo o la collega Poffa, e vediamo finalmente i soldi veri. Ma personalmente, essendo estremamente miliardario, posso farmi qualche remora in meno – così sono andato a vedere in quali Paesi esattamente FAMO$O fosse decollato in classifica.
…Non l’ho trovato da nessuna parte.
Cioè, nemmeno in Belgio.
O in Grecia. Che una faccia, una razza.
Voi direte: ma in Spagna – come Raffaella Carrà e Tiziano Ferro, sarà andato bene in Spagna o in Messico, no?
No.
Non è in nessuna dannata top ten (o top 20 o 30). Ma pazienza, non è un mio problema. Il mio vero problema è che non solo io e i miei colleghi non abbiamo alcuna utilità nel valutare un prodotto attribuito a Sferone. Il dramma è che siamo noi, a essere valutati per quello che scriviamo di Sferone. Perché grazie alla concettuosità di un disco che non è bello, non è brutto, NON E’ (ebbasta), l’attenzione si sposta ulteriormente, e stavolta su quello che ho scritto. Perché l’avrò scritto? Perché questa valutazione laconica di Sferone? Cosa c’è dietro? L’ho scritto per anzianità galoppante, per ostilità al rap, per far parlare di me, per snobismo? Mi farà guadagnare punti presso la old school, me ne farà perdere altri presso la perennemente eccitata fazione nuovista e giovanilista? Ecco, questo intendo: è tutto talmente inconsistente, che persino le gnagnere di chi ne scrive diventano più interessanti.
Apparentemente.
Perché se vi devo dire la verità, io trovo l’intero balletto sempre più penoso, e non lo dico per stagliarmi controluce come ultimo cowboy della critica italiana, non lo sono (…anche se posso fulminare ancora molti tra i pistoleri delle giovani generazioni) (…ma più per colpa loro. I veri grandi vecchi saprebbero metterci tutti a posto, se volessero. Ma hanno abbandonato il corral quando i pozzi si sono esauriti).
L’unica cosa interessante sarà vedere se oggi MiticoLiga riuscirà a detronizzare Sferone dal n.1 della classifica dei presunti album. L’evento è previsto e pianificato. Ma non è detto che succeda. MiticoLiga ha dalla sua il ritorno con vendetta dello shopping sotto Natale e quindi i cd, il cui peso specifico vale più dei milioni di ascolti dello streaming da parte dei minorenni. Però non credo che andrò dal mio galoppino di fiducia pronto a puntare l’intero Recovery Fund sul primato del vecchio musone. Anche se me lo auguro. Se non altro, nel suo caso si parla di musica.
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Resto della Top Ten. Con le sue fresche meditazioni su se stesso spalmate lungo tre album, Renato Zero è al n.2, e 6, e pure 11, e già basterebbe a farmi pentire di aver dissato Sfera Ebbasta; al n.4 e 5 ci sono gli Italian Songbook di Mina, al n.5 TZN Ferro, al n.8 gli AC/DC. Al n.8 c’è Michael Bublé, e se non me ne vado sbattendo la porta dalla rubrica che sto scrivendo è solo perché al n.9 c’è Miley Cyrus e al n.10 i BTS, insomma se non altro c’è del pop con un pensierino dietro.Tra l’altro, una top ten con ben quattro nomi non ITALIANI, dove andremo a finire?
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Altri argomenti di conversazione. Però fateci caso, nel momento in cui Spotifone ha fatto convergere tutti gli ascolti su Sferone, il rap è sparito dalla top ten che ha invece occupato militarmente per tutto il 2020. “Ma ne guadagna tutto il movimento. Anzi, ne guadagna la nazione tutta”, ci dicono Quelli Che Ne Sanno, sporgendosi dalla loro Fiat Uno. L’unica buona notizia è che l’album dei Negramaro è già sceso al n.16 a 3 settimane dall’uscita – non giudicatemi male, sono un pover’uomo, mi attacco a queste piccole cose.
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Sedicenti singoli. Rispetto alla settimana dell’uscita di FAMO$O con tutti e 13 i pezzi ai primi 13 posti, ora abbiamo qualche brano che si riaffaccia in top ten. Sul podio ci sono gli sferici Baby (con J Balvin), Bottiglieprivè, Tik Tok (con Marracash e Gué Pequeno). Ma al n.5 rientra il Superclassico di Ernia, uno dei veri pezzissimi del 2020, seguito dall’ostinato Gazzelle con Destri al n.6. Recupera anche Bella storia di Fedez, al n.8). Ma tutto questo 2020 si sta facendo pesante, perciò evadiamo leggiadri nel mondo spensierato dei
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Pinfloi. The dark side of the moon, da 213 settimane consecutive in classifica (nuovo record italiano, come ogni settimana da due mesi a questa parte) sale dal n.37 al n.29 – toh, davanti al nuovo album di Fiorella Mannoia. The wall invece sale dal n. 72 al 59. E nell’eterno contrapporsi polare dei due dischi, è il momento di giocarsi la contrapposizione tra Apple e Microsoft: The dark side è ovviamente Microsoft, cioè il mondo come funziona (o non funziona) veramente – mentre The wall è certamente la proiezione paranoica di un’intelligenza malevola almeno quanto quella di Steve Jobs, e voi macintoshiani, sua genìa malvagia, lo sapete e vi pascete di tanta empietà. Ma grazie per aver letto fin qui: a presto.

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