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TheClassifica 97. Green Day, la fine del rock e del pànc, eccetera

Poche volte, negli ultimi anni, sono stato in difficoltà come davanti alla persistenza dei Green Day nel 2016. C’è qualcosa in loro di spaventosamente incongruo, di fuori sincrono con questa fase di ogni cosa – e a spaventarmi ancora di più è il ritrovarmi accattivato (senza esagerare, eh) dal loro nuovo disco Revolution Radio, album più venduto in Italia nella passata settimana. Fa sentire incongruo (e spaventoso) anche me. Ammetterete che non è il tipo di cosa che uno accetta facilmente. Green-Day
Il fatto è che ho passato più di vent’anni (da Dookie, 1994) a deplorarli, a cogliere al volo la loro pochezza e i loro limiti sbandierati come virtù (sì, proprio come nel pànc), a mal tollerare la loro perfetta capacità di interazione con Mtv o con Virgin Radio o con ********* (pubblicazione piaciona a vostra scelta). Il loro recuperare il pànc come pura matrice estetica, come mandante – ma d’altronde, dove sarebbero mai arrivati senza quella sfumatura ostile che tutto fa vendere?

E tuttavia, una parte di me ha sempre pensato che le canzoni di Billie Joe Armstrong, sfrondate della grezzaggine loro conferita dai suoi due manovali con le creste tristi, venissero da qualche posto migliore di quelli dove andavano. C’era la pasta per fare delle canzoni fantastiche, l’ha usata per fare le ultime megahit della storia del rock. Okay, detto così è ovvio chi sia lo scemo tra me e lui, anche al netto del loro crollo dopo la trilogia Unodostrés, e dopo il periodo in rehab del cantante, che gli ha alienato tantissimi fan (e già ‘sto fatto dice molte cose sia su di loro che sui tempi che corrono).

Però quello che non mi spiego davvero è come mai nonostante tutta la mia stizza, queste canzoni piene di soluzioni prevedibili e frasi a effetto sulla società contemporanea (“You’re dead, I’m well fed, give me death or give me head”) non mi suscitino alcuna indignazione. Revolution Radio non mi irrita come dovrebbe. Anzi. Suona gradevole. Potrei anche tenerlo su in sottofondo per un’ora e poi farlo ripartire, farebbe il suo dovere come una partita di Europa League o un film di supereroi – lasciando poco o nulla, ma in fondo chi gli chiedeva niente: sono un po’ scemo, ma non così scemo da cercarci la verità.   green day
Forse il fatto è che tutto questo (come l’Europa League e i film di supereroi) sa di finito. Il rock, il panc, i tre accordi, la sedizione in salotto, i beautiful loser. Posso persino apprezzarlo come espediente a beneficio di una minoranza di nostalgici di una certa idea di ribellione spendibile negli spot delle camicine, idea della quale il video di Bang bang (girato peraltro dal suo omonimo Tim Armstrong dei Rancid) è un esempio perfetto: due belle giovani ragazze e un bel giovane ragazzo rapinano una banca mascherati da Green Day in esplicita citazione di Point Break, poi vanno a una festa in casa di bei giovani ragazzi dove suonano i Green Day proprio loro!, e tutti pogano belli e ribelli e giovani ragazzi, e appena entrati gettano i soldi della rapina per aria con didascalico romanticismo pànc, nell’esaltazione del gesto antisistema che rende stupendi tutti i giovani ragazzi.

Resto della top ten. Al n.2, Il Volo con Notte magica – A tribute to the three tenors. Un altro trio che si rifà a un genere che era già revival negli anni 90. Al n.3 L’ultima notte insieme dei Pooh, che come ricorderete, hanno annunciato il loro scioglimento il 28 settembre 2015. Nel mese di novembre 2016 si esibiranno per altre sedici ultime notti insieme – su dicembre il sito ufficiale non anticipa nulla. Al n.4 Briga, romano, rapper, cantautore. Amico di Maria. briga emmaNel 2015 alla Universal, nel 2016 roster Sony. Ospite in concerti di Dear Jack, Antonello Venditti, Elisa; un duetto con Gigi D’Alessio (nel brano Guaglione). Alle tappe del suo tour sono intervenuti Lorenzo Fragola, Gianluca Grignani e Alessio Bernabei. Briga, rispetto il tuo pelo sullo stomaco, zio.
Al n. 5 Bruce Springsteen, che finora ha scherzato: la vera promozione per la sua autobiografia è iniziata in questi giorni. Senza promozione, è solo nella top 10 dei libri più venduti. Per Feltrinelli, al n.7. Dietro Harry Potter, Stephen King, Elena Ferrante. Ma davanti a Baricco (n.10).
Dopo Raphael Gualazzi (n.6), tre nuove entrate: Norah Jones, Alter Bridge, OneRepublic. Infine, al n.10 i Coldplay. Che sono un po’ ovunque: sono anche al n.39 (Ghost stories), al n.60 con una raccolta quadrupla che non so cosa sia, al n.75 con Viva la vida. Ve lo dico perché quattro album in classifica ce li hanno anche i Pink Floyd.

Escono dalla top ten. Zucchero, Eterno Agosto di Alvaro Soler (ineccepibile: ha fatto caldo fino a metà ottobre), Shawn Mendes, Alessandra Amoroso e Bon Iver – dal n.9 al n.45. Ma dire che non è piaciuto è prematuro: secondo me i veri fan di Bon Iver ne testimoniano la grandezza non già acquistando i suoi dischi – che cosa volgare – ma intristendosi al pensiero che qualcun altro li acquisti. E credo che valga anche per lui.

Altre nuove entrate. Dente al n.12, Enzo Avitabile n.13, Placebo n.17, Sum41 n.18. Al n.42, In The Now, secondo album solista di Barry Gibb, unico superstite dei Bee Gees – aveva pubblicato da solo Now voyager, nel 1984. Non era andato benissimo neanche quello, comunque. Barry GibbVi dico tutto questo perché ero curioso di vedere che faccia avesse Barry Gibb a 70 anni. Questa. C’è dell’Umbertotozzi, direi.

Miglior vita. In classifica ci sono sette album di artisti o gruppi guidati da artisti che hanno lasciato questa valle di cene con Obama; li guida Amy Winehouse con Back to black al n.37. Mentre Black cat di Zucchero è al n.11, Back in black è al n. 59, Blackstar al n.80.

Pinfloi. Meddle perde una trentina di posizioni e scende al n.78, ma Atom heart mother contiene le perdite, e il suo n.2 tra i vinili vale il n.46 complessivo (al n.1 tra i vinili ci sono sempre i Green Day). Poi, The Wall al n.48, e The dark side of the moon al n. 86. Ma è chiaro che tutti noi stiamo aspettando l’uscita del vinile di Wish you were here. Mi sbilancio: non escludo il podio (primo posto magari no, ma tra i primi tre sì) (guardate chi lo sponsorizza) (ottomila like e rotti, eh. Mica i miei dodici)

scanzi floyd

2 Risposte a “TheClassifica 97. Green Day, la fine del rock e del pànc, eccetera”

  1. Io non lo so se tutto il discorso che fai sui Green Day lo capisco. Nel senso che credo mi manchino proprio gli strumenti per collocare il prodotto nel punk e avere un problema etico legato al punk degli anni 70.
    Io sono nato nell’81 e il punk che ho vissuto io è fatto di ragazzini del liceo che prendono le distanze dall’eurodance e dalla vita medio borghese che li circonda (e di cui in buona parte dei casi fanno parte) senza però avere addosso la voglia di massacrarsi i coglioni col metal. Sta tutto lì, in serate all’arci a bere birra in lattina invece di andare a ballare. In questo tipo di panorama, i Green Day sono tutto tranne che fuori contesto e, piaccia o meno, il punk di cui stiamo parlando è questa roba qui.
    Mi sono rivisto recentemente un documentario sulla scena della bay area nel 1994, da cui è venuto fuori un po’ tutto. Si parla di inizi negli anni 80, di risse con i coltelli durante i concerti, ma poi si arriva a gente che tutto sommato stava bene e che suonava per altra gente che stava bene.
    Non dico che la cosa debba piacere, però è così che credo vada letta.

    Scusa il pippone, sempre bello leggerti. Il pezzo su Ebbasta in almeno due punti mi ha steso. 🙂

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