AMARGINE

TheClassifica 74. Ovvero, un saggissimo sulla nostra fascinazione per lo spagnolo

Sono anni che in questa stagione mi produco in un tormentato articolo in cui sclero per gli articoli sui tormentoni estivi, sostenendo – archivi alla mano, ARCHIVI ALLA MANOOO – che i tormentoni estivi sono un cliché del giornalista cappone. Che le hit invernali (sulle quali nessuno pontifica) sono ben più fortunate e longeve, e altrettanto farneticanti se è questo che caratterizza l’oggetto del contendere (Ai seu te pego, Dragostea din tei). Sono anni che, per divertirvi signoréssignori!, mi faccio pubblicamente partire un embolo ricoprendo di insulti quei colleghi che, in un trenino guidato da Cosetto del Corriere e chiuso da TgCom (l’ultima vettura è sempre la più pericolosa) confezionano articolotti che trasudano una cialtroneria coltivata con amore, ammiccando quel tanto che basta per tirare su condivisioni e like (oltre all’immancabile citazione da parte delle radio, a partire ovviamente da Rtl 102,5, che resta la peggior radio del pianeta) (…lo riscrivo sempre perché spero che qualcuno che ci lavora mi legga, e ci rimanga malissimo. Cosa che la dice lunga sul mio senso della realtà)

Quest’anno volevo cambiare un po’. Rendermi utile. Proporre uno studio di ampio respiro, scavando fino alla radice di un’idea diffusa tra discografici, artisti e pubblico: quella che il presunto tormentone sia necessariamente in spagnolo. Perché così si è sempre detto – e non risponde al vero (come dimostrerò con ampia profusione di pignoleria).
Ma quest’anno, effettivamente sta succedendo. 

Al n.1 tra i singoli, ADESSO, si trova El Perdòn (Nicky Jam & Enrique Iglesias), al n.2 Maria Salvador (J-Ax & Il Cile) (ovvero: il latinismo wannabe), al n.3 El mismo sol (Alvaro Soler). Nonostante il trionfante comunicato stampa della Warner, non vedo Vamonos de Il Pagante al n.1 su iTunes, e non lo vedo nemmeno tra i primi 100 – però è ben vero che su YouTube ha fatto 926mila pageview in venti giorni, a fronte di 186mila ascolti su Spotify (però Pettinero del 2014 è a 586mila).

E quindi, il fatto che questa estate la perennemente ventilata hispanidad dell’hit parade venga confermata, è interessante. Vuol dire, prima di tutto, che finalmente il Paese risponde ai cliché. Che e dai e dai, alla buon’ora fa quello che i media vogliono che faccia. Abbiamo buttato il sangue, perché questo succedesse. Ora magari un domani l’italiano si rimetterà anche a guidare le Fiat, a guardare la Domenica Sportiva, a trovare argute le pubblicità delle banche, a comprare i dischi di Anna Tatangelo santiddìo.
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Ma questo sciacquare i panni nella sangria non è così scontato né così estivo, anzi. Il progenitore dei rari numeri 1 latinos nella nostra hit-parade, Cuando calienta el sol, si guadagnò il primato nell’ottobre 1962. (okay, volendo ci fu prima Torero di Renato Carosone. Ma non c’era una sola parola di spagnolo, a parte “Torero”, appunto) (e comunque, n.1 da novembre a febbraio 1958). Obsesion degli Aventura fu n.1 a capodanno 2003; Bailando di Enrique Iglesias & Gente de zona imperversò da settembre a novembre 2014.

Facciamo così: per snellire questa lettura, in un commento al termine dell’articolo andrò a postarvi tutti i numeri uno dei ferragosti di questo millennio: vi basti sapere che solo uno è in spagnolo.
E quando sarete laggiù in fondo, avrete anche l’opportunità di osservare che non è del tutto indiscussa nemmeno la stupidoneria del successo estivo: sono anzi spesso brani indicibilmente torvi (da La lontananza di Domenico Modugno a Gli spari sopra di MiticoVasco). Prayer in C, hit massima dell’estate scorsa, è un pezzo tristissimo, con uno dei testi più strazianti che io ricordi nella musica pop. Ma naturalmente il pezzo sui tormentoni viene scritto in ciabatte, e queste considerazioni saccenti ne turbano la natura piaciona: il fatto è che questo tipo di pezzo nasce esattamente col botto di Vamos a la playa dei Righeira, 1983, martello irresistibile e unico “tormentone latino” (ancorché torinese) ad andare al n.1 negli anni 80. Il fatto che il brano fosse un po’ meno scemo di quanto sia stato tramandato non importa: anche il ricordo è in ciabatte. Il tappetone di sintetizzatori su cui si reggeva, tanto per cominciare, era perfettamente coerente non solo con l’epoca, ma anche con l’affresco post-atomico causato dal viento radiactivo e dalle radiaciones. Ci sono voluti undici anni però, perché un pezzo che vaneggiava di vibrar e palpitar andasse di nuovo al n.1 (The rhythm is magic di Marie Claire d’Ubaldo, per metà cantata in inglese). Poi, alla fine degli anni 90, addirittura un’altra hit latina: Ricky MartinLa copa de la vida (maggio ’98). Potrei essere magnanimo e annoverare anche Mambo n.5, (Lou Bega, ottobre ’99). Faccio presente però che è cantata interamente in inglese.

Al nobile scopo di tagliare corto, mi sento di concedere che negli ultimi decenni ci siamo scoperti un po’ più mascalzoni latini di prima. Ma non più di tanto, davvero. E vi prego di non contraddirmi, avete visto come posso diventare ossessivo e maniacale su dati e date.
Quindi, ora viene la domanda: che è successo? Come avrebbe detto José Mourinho: ¿Por qué? ¿Por qué? ¿Por qué?

Io la butto lì. Per me, è una specie di rimbalzo rispetto alla presunta ineluttabilità dell’inglese (rimbalzo del quale Renzi, ancora più che Rutelli, è a suo modo un esponente). Ci stiamo incastonando tra queste due lingue, proprio come gli abitanti degli Stati Uniti d’America, che noi del resto invidiamo perché sono infinitamente più stupendi di noi
(…scusate, improvvisamente mi sono messo a parlare come se fossi di sinistra)
Ci ritroviamo in pratica in una sorta di pendolo linguistico tra due tipi di koiné, che sono anche due tipi di aspirazioni.

Da un lato l’inglese, ovvero la sudditanza all’Impero declinata in ogni tipo di discorso che si vuol rendere autorevole ma anche moderno e cool, ad elevare sia il curriculum che la dichiarazione d’amore che la battuta twitterata (seems legit, anyone?)

Dall’altro, lo spagnolo, ovvero la tamarreide sin verguenza, lo sbraco del ballo di gruppo (“un movimiento sensual”), la pasiòn pasionaria, El Clàsico Real-Barcelona, Miami e Santo Domingo ma anche le gang di latinos. Abitando a Milano, posso percorrere questo pendolo in venti minuti: nel centro si cerca di parlare come Don Draper, in periferia come Tony Montana. Mi chiedo se altri tipi di indoli (plurale di indole. Forse) possano inserirsi nella partita. Per qualche decennio i raffinati e i colti (ma anche le Brigate Rosse, che personalmente ho sempre ritenuto più chic che colte) si sono appropriati di francesismi. Ma dubito che quella fascinazione tornerà. E non riesco a concepire una crescita del russo, del cinese e dell’arabo nel nostro vocabolario aspirazionale. Né tanto meno del greco (…giusto per alludere). Del resto, non ce l’ha fatta il tedesco, che pure tra dominazioni e alleanze e turismo e industria pesante sembrava favorito. 

Sta di fatto che quest’estate, e NON tutte le estati, lo spagnolo rulla. E sbaglierò, ma secondo me c’è nel nostro spagnolo immaginario una qualità liberatoria, di coattaggine impunita, rafforzata dalla trasgressiva, monella sensazione di storpiare la nostra stessa lingua come faceva Maurizia Paradiso con gli amici de las noches. Unita a una facoltà di vivere l’apocalisse come un Mundial, preoccupandosi giusto perché il viento despeina los cabellos. Ma soprattutto, a una fiera insofferenza campesina per regole di qualsiasi tipo, sicuramente pensate da qualche cavròn.

…E più allusivo di così non potevo essere, chicos. A presto.

7 Risposte a “TheClassifica 74. Ovvero, un saggissimo sulla nostra fascinazione per lo spagnolo”

  1. Numeri uno degli ultimi 15 ferragosti:

    2014 Lilly Wood & The Prick feat. Robin Schulz – Prayer in C
    2013 Avicii – Wake me up
    2012 Morgana Giovannetti – Il pulcino Pio
    2011: Maria Gadù – Shimbalaiè
    2010: Shakira – Waka Waka
    2009: David Guetta/Kelly Rowland – When love takes over
    2008: Giusy Ferreri – Non ti scordar mai di me
    2007: Vasco Rossi – Basta poco
    2006: Gnarls Barkley – Crazy
    2005: Ryan Lee – Army of lovers
    2004: Eamon – Fuck it
    2003: Sean Paul – Get busy
    2002: Las Ketchup – Asereje
    2001: Valeria Rossi – Tre parole
    2000: Bomfunk MC’s – Freestyler

    Un pezzo in spagnolo (uno) (tredici anni fa) (Aserejé) (della quale ricordo ben DUE parodie in bergamasco). Poi un pezzo oggettivamente sciocchino (il pulcino Pio). C’è della tormentoneria in Waka waka, nata per essere una hit mondiale – come da manifestazione omonima. E poi naturalmente in Tre parole di Valeria Rossi, in auge pochi giorni prima del crollo delle Twin Towers.
    Ma la maggior parte di questi pezzi a me sembra rispondere a un tasso piuttosto blando di stupidinità.
    (certo, può anche darsi che il tormentone non vada al n.1 perché non deve necessariamente vendere. Basta che esista, per legittimare l’idea platonica, la monade del tormentone. Come la scrittura non pagata: dà visibilità. Ecco, forse questo pezzo che state leggendo gratis, mi permetterà di fare delle serate come Gianni Drudi, già autore di Fiky Fiky) (o magari di mettermi d’accordo con Gianni Drudi e fare un tour congiunto: lui canterebbe Mi piace la foca e Me gusta la prugna, e io darei in escandescenze declamando gli articoli sui tormentoni: posso garantire altrettanto intrattenimento. E altrettanto nonsense)

  2. Non ti vedo molto sul pezzo, Paolo: questa ispanofilia è figlia dei canti da chiesa. Non sto prendendo per il culo, in chiesa apparentemente cantano por el papa venuto da lontano, hanno infilato per un bel pezzo qui e là inni cantati in spagnolo.
    Vedrai, si sgonfierà. Ma, se i responsabili marketing del vaticano impareranno qualcosa da questo, vedremo quelli del Kpop e del Jpop (culture che si fanno passare per castissime, propugnando un’arte stupidinissima) lamentarsi fra qualche estate di essere stati mainstreamizzati di nuovo, o in altre parole: “Aridanghete col gnagna style!”

    1. (Al di là del fatto che mi piaccia un sacco quel giro di fisarmonica? bandoneon? four tet sul bontempi rotto? del mismo sol)

  3. Per me l’Italia ha un rapporto con la musica straniera simile a quello degli stranieri per la musica italiana: amiamo gli stereotipi e le vecchie glorie decotte.
    Così premiamo gli stereotipi latineggianti come “El Mismo Sol” (ha venduto solo da noi!!! https://goo.gl/ZPpWr3) e “Bailando” (In clamoroso ritardo rispetto agli altri, fra l’altro. https://goo.gl/35exlq); ed abbiamo accolto con entusiasmo immotivato le carriere soliste di Skin e Dolores O’Riordan (https://goo.gl/NAUC73); proprio come un russo sa apprezzare Toto Cutugno.

  4. articolo come sempre interessante.
    e mentre lo leggevo mi fischiavano le orecchie, e mi mancava un pezzo.
    anzi, due.
    li butto lì:
    rosana
    jarabe de palo
    confesso:c’è stato un periodo in cui li ascoltavo tanto, almeno quei sei sette pezzi che andavano per la maggiore.
    e, a distanza di anni(wikipedia mi dice 15 per rosana, 18 per jarabe), resto dell’idea:mi piacevano.
    aloha, amigo de la noche(everardo de la noche, per restare in tema di battutone)

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