AMARGINE

TheClassifica 69. Provincia e negri

Negrita n.1.
Jovanotti n.2, Il Volo n.3, poi Marco Mengoni, Madonna.
E dal n.6 al 10, Tiziano Ferro, J.Ax, Mark Knopfler, Dear Jack, Nek.
Con un certo sbigottimento, mi ritrovo spesso a scrivere dei Negrita. Fa strano, perché sono volutamente ignorati dal bel mondo medianico. E dal mondo #hashtag. 
Poi però ogni volta che pubblicano un album (e non succede spesso: in questo secolo la loro cadenza è estremamente rilassata, ogni 4 anni circa) vanno al n.1. Continuando ad essere ignorati. Cosa che me li rende abbastanza intriganti, e colpevolmente simpatici.
Ma non solo.

Io confesso. I primi tre pezzi del nono album, al quale hanno dato l’enigmatico titolo 9, mi piacicchiano. Sono oggettivamente disarmanti, nella musica e nella scelta delle parole: nessuna, nessuna pretesa. Il mezzo – cioè un rock semiarticolato, apertamente rétro – è il messaggio. Così, in omaggio a questa fiducia nella propria formula, peraltro giustificata da tutti ’sti numeri uno ottenuti senza tanta fanfara, dedico un remix di me stesso, un rimestamento di articoli già scritti, come fossero dei giri di chitarra già rodati.

Greatest Considerazioni sui Negrita, 2008-2013. I Negrita, dunque. Che segnale dà al mondo contemporaneo, un n.1 dei Negrita?
(perché mi faccio queste domande?)
Io ho una certa stima di Pau, se non altro per il fatto che è uno che picchia i giornalisti musicali; se mi desse una voce, io potrei anche raggiungerlo e tenerglieli fermi. Ma finisse qui! Il giornalista da lui menato, che all’epoca scriveva per Il Giornale Duro e Puro Nel Quale Qualcuno, HaHa!, S’Intascava Il Danaro Del Contribuente, era nientemeno che il futuro opinionista politico Figuccio Fighetti (che anche oggi, tohguarda, scrive su un quotidiano duro e puro). E anche se la giustizia lo ha condannato, giustamente (immaginatemi mentre pronuncio “giustamente” con lo sguardo fervido di Cary Grant in His Girl Friday), ebbene, per me Pau is da man.
Certo, i Negrita negli anni 90 mi suscitavano un levigato fastidio, erano il rock come potevano concepirlo Aldo Giovanni & Giacomo. Ma nell’ultimo decennio hanno virato verso un approccio meno vorreimanonposso, e più potremanonvoglio. Alla fine, negli ultimi 10 anni ci hanno azzeccato più dei Litfiba, separati o matrimoniali che fossero.
Che vi posso dire, non so nemmeno bene cosa pensare dell’acquirente dei Negrita. Me lo figuro un po’ come un rocker di provincia, un randa discendente dal Vasco Rossi di Fegato spappolato. Nessuna spocchia: lo dico sapendo cosa significa vivere nella sterminata provincia di questo cavolo di Paese che è tutto una provincia. Che poi, non è che chi vive in città sia così sveglio: si parla di gente che a suo tempo ha votato Alemanno e la Moratti. In realtà, alla fine il rock italiano è provincialissimo, non è mai stato un rock urbano: il primo gruppo rock a San Siro sono stati i Negramaro. La metropoli europea dove vivo, oh, lei ci ha dato Grignani e Antonacci, Modà e Le Vibrazioni, e quindi, “De che stamo a parlà?”.
(…come dicono nell’altra metropoli, quella dove in pieno 2015 non si parla italiano perché sticazzi ahò, parla’ cafone fa ride forte) (e che di gruppi rock non ce ne ha mai, mai dati) (manco li Cani)
Sono così accondiscendente nei confronti dei Negrita che gli perdono tutti i cliché sulla strada e il vento e la vita di corsa – si corre un casino, nei dischi dei Negrita – e le melodie scritte col Manuale della Ballata in mano. Perché
(e qui rientro in diretta, aprile 2015)

ho la sensazione che la provincia, tramite gente come i Negrita esprima una sua ostilità proprio nei confronti della corsa in avanti della modernità. E siccome la provincia, Dio la benedica, non maneggia ancora la deliziosa arte del cinismo chic, del distacco illuminato, ecco certi testi negriti scritti col più naif dei pennelli:
“Persi nella nuvola blu della gioventù, le mie mani sulle tue… L’incoscienza dell’età, volevamo solo andare via. Sulla via per Marrakesh ballavano a piedi nudi, a Berlino tutto ok mentre il muro andava in briciole” (1989).
Oppure, sentite qui: “L’uomo nasce e cresce in cattività. L’uomo vuole sangue e sempre sangue avrà” (Mondo politico).
Per non parlare de L’eutanasia del fine settimana, che bizzarramente ha qualcosa di Sabatosabato del Jova (“Scende il mostro della sera nell’arena nazionale, ed ognuno si connette al suo sogno artificiale”).
Non è finita, c’è persino il candore da ventenne rapper della traccia 2, Poser: “Non cerco fama in tv, non sono un poser, non voglio sempre di più, I am a loser, io sono un capotribù, non sono un poser”.
E non gli puoi mica dire che stanno cianciando: obiettivamente, “la fama in tv” non l’hanno mai cercata. Non che li rincorressero per dargliela, eh.
Escono dalla top 10. Solo Fabrizio Moro (dal n.10 al n.25). E basta. Per il resto la prima diecina, esclusi i Negrita, è la stessa della settimana scorsa.
Agenzia delle nuove entrate. Unico altro nuovo disco a ottenere un buon risultato è quello di James Bay al n.13. Al n.16 c’è il nuovo dei Toto. Si intitola Toto XIV.
(…mi viene da fare la faccina che fece Sarkozy alla Merkel)
Al n.19 c’è Van Morrison, e al n.20 i Modena City Ramblers. Ah, quanti nomi da annate vintage del Giornale Duro e Puro Nel Quale Eccetera.

 

A proposito di negriti. Il megadisco To pimp a butterfly di Kendrick Lamar scende al n.65 dal n.32, suo apice qui da noi. È stato al n.1 in tutti i Paesi di lingua inglese (tranne l’Irlanda), ha avuto un punteggio di 97/100 su Metacritic, che aggrega tutte le recensioni dei media (sempre di lingua inglese, eh). I voti più bassi (4 stelle su 5, o 8 su 10) glieli hanno dati New York Times e Guardian. E tuttavia, l’album non ha conseguito piazzamenti trionfali nel resto del mondo; benino in Germania (n.7) e Svezia (n.10), malino in Francia (n.17).

In Spagna, n.91. E a giudicare dalle flachissime pagine wikipedia in spagnolo, tutto il mondo latino, dal Messico all’Argentina, di Quendrique ne fa volentieri a meno.
Sapete una cosa? Io sto con i chicos. Perché To pimp a butterfly, come del resto la maggior parte degli album hip-hop americani di quest’era, è terribilmente provinciale. Sì, è così. Che diamine, non si canticchia, non si balla. Tecnicamente sopraffino? Va bene, allora ascoltatevelo voi rappusi: state diventando i geek della metrica, ve ne siete accorti? Pimp ha poco di universale da dirmi, perché musicalmente dà il meglio quando campiona i Radiohead di Pyramid o nel breve esercizio di stile di rap jazzato (non ricordo il titolo, rimembro solo che era discretamente volgare) e il suo susseguirsi di rime immusonito non ha (Nella Mia Umile Opinione) i crismi dell’universalità che dovrebbe sempre avere il disco che fa gridare al capolavoro. Il fatto che oggi l’Impero abbia i megafoni più potenti che mai una koiné abbia mai avuto, non significa che tutto ciò che produce sia da prendere facendo l’inchino. Personalmente trovo l’hip-hop americano in fase di involuzione sonora da anni. Piuttosto che ascoltare ’sta roba da critici, vado a rispolverare Ice-T.
Pinfloi. The endless river scende dal n.20 al n.30. The dark side of the moon precipita al n.90, The Wall addirittura esce dalla top 100. La primavera ha colpito duro.
Miglior vita. La percentuale di artisti in classifica già vicini a Dio è del 10% – gli album di Pino Daniele sono cinque: un’equa spartizione. In questi giorni ricorre il seiennale del quinquennale del decennale di Kurcobèin, e tra il documentario che ricorda lui e il documentario che ricorda Amy Winehouse, possiamo stare tranquilli che le prossime settimane ricorderemo un sacco di cose.
Sempre quelle.

5 Risposte a “TheClassifica 69. Provincia e negri”

  1. Forse il rock, quello liscio, alla fine piace ancora? E chi fa rock in Italia ed ha un minimo di popolarità senza essere bolso?

    Poi boh, tu mi parli del fascino della Provincia, Lorenzo ci vuole passare i sabati sera, in Provincia, ed io che ci lavoro, in Provincia, forse non riesco a percepirne il fascino…

  2. (e che di gruppi rock non ce ne ha mai, mai dati)
    Non ne sono sicuro, Il Rovescio della Medaglia era rock, no ?
    Volendo si potrebbe considerare anche il resto della scena prog dell’epoca

    1. Non ho mai sentito così tanto parlare del Rovescio della Medaglia come a partire dagli anni 00. Nemmeno quando Zarrillo era una star, qualcuno lo citava mai. Negli anni 80, pur non essendo ancora passato al criticismo professionistico, mi impegnavo a leggere giornali musicali ovunque, e non ho mai nemmeno trovato il nome (a differenza de Il Volo) (quelli prog, prima che perdessero il dominio). Mi chiedo se ci sia stato a un certo punto qualche articolo su XL o su Musica! a rimettere il nome in circolo.

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