AMARGINE

TheClassifica 62 – O’ Paese d”o blues

Quando io vi dico che la classifica degli album più venduti dice un po’ di cose sul Paese in cui viviamo, voi non mi credete. Sorridete benevoli, e pensate “Il solito Madeddu, e i suoi espedienti per farsi notare in mezzo agli altri tre miliardi di critici rock italiani”.

(vi vedo)

E lo so che mi volete quasi bene, altrimenti non sareste qui a dedicarmi un po’ del vostro tempo. Però so anche che questa litania della classifica come cartina di tornasole assurge a leit motiv quasi come l’espressione “cartina di tornasole”. Che non saprei dove comprarne una – e se non avessi avuto in casa il Piccolo Chimico di mio fratello, non avrei mai visto una cartina di tornasole in vita mia. So che dite che ci credete anche voi solo per farmi piacere. In modo che non mi metta a correre per strada a fermare la gente dicendogli “Nessuno mi crede? Dovete credermi! Perché nessuno mi crede?”

Lo so.

Così, in un angolino del mio cuore, soffro senza farvelo vedere.

(ehi!) (guardatemi!) (soffro)

Però siccome chi diventa un Piccolo Critico tende al rancore vendicativo come i serial killer, ecco che approfitto immediatamente dell’opportunità datami dall’ultima classifica, nella quale

1) non succede niente

2) c’è un terremoto.

E il terremoto sono i dischi di artisti deceduti in classifica: da Whitney Houston a De André, da Frank Sinatra a Bob Marley, sono venticinque, esattamente ¼ del totale.

Come è successo? Eh, dai. Facile.

Migliorvita. Del lutto “social”, espresso postando e condividendo canzoni o ricordi di una personalità appena scomparsa, si sta discutendo (e, inevitabilmente, polemizzando) da un po’. Anche in questo spazio marginale. Molti, esasperati da questa attitudine al rimpianto estemporaneo, ironizzano evocando la striscia di ZeroCalcare, “Quando muore uno famoso”. Ma nel caso di Pino Daniele, c’è da dire che ai post sono seguiti i fatti: la classifica FIMI è stata letteralmente invasa da album e raccolte. In totale, quindici titoli, che se non vanno a intaccare le primissime posizioni, bloccate da tempo sulla triade TZN – MiticaGianna – MiticoVasco, rappresentano comunque un record. In occasione della morte di Lucio Dalla, i dischi entrati in classifica erano stati dodici. Tra l’altro, particolare singolare, l’ultimo possibile numero uno in classifica (con l’album La grande madre) fu negato a Daniele proprio dal cordoglio per Dalla, il cui 12000 lune andò al n.1 nel marzo 2012, pochi giorni dopo il suo funerale. Sicché Daniele dovette accontentarsi del n.2. Peccato perché il n.1 non lo vedeva da un po’, forse dagli anni Novanta.

(mi perdonate se non vado a controllare i dati di Medina, quei dischi lì?) (dai, fidatevi)

Va detto però. Che il grosso dei suoi dischi di platino, Pinone lo aveva portato a casa ai tempi del vinile – perciò non c’è da stupirsi se in top ten, insieme alla Collection Pino Daniele (n.6), e entrato (al n.8) anche Nero a metà, disco che presumibilmente è stato molto ri-comprato da chi lo possedeva già, anche sull’onda della recentissima rivisitazione in concerto – nonché ripubblicazione in versione extended con inediti.

Momento pignoleria. Gli altri titoli entrati in top 100 sono: Ricomincio da 30 (n.11), Pino Daniele (n.19), Bella ‘mbriana (n.20), Napule è (n.21), Tutto Daniele (n.26), I grandi successi (n.28), Terra mia (n.41), The platinum collection (n.45), Vai mo’ (n.47), Tutta n’ata storia (n.55), Sciò (n.58), Successi d’autore (n.83), 3CD Collection (n.88). Le etichette discografiche che saltano sul carro

(ops)

sono un bel po’: Warner, Rca, Universal, CGD, Rhino Records, Capitol, Blue Drag (quella che aveva fondato lui di recente). Non manca quasi nessuno.

Momento pinoleria. Gli album in classifica dell’altro Pino venuto a mancare, Mango, sono due.

Aneddoti personali su Pino Daniele. Non ne ho. Mi spiace. Sono stato a una sua conferenza stampa, una volta. E a un suo concerto. Però fondamentalmente, non ho niente di semirilevante da raccontare in merito.

(…avrete notato che non mi sto sbilanciando. Ho scritto cose anche spietate su Pino Daniele, quello degli ultimi anni. Ma è ovvio che non è morto QUEL Pino Daniele, no? Quello che suonava gomito a gomito con Gigetto D’Alessio) (no, è morto il Pino Daniele bravo. Lo dimostra il fatto che i dischi in classifica sono o raccolte, o album della parte rilevante della sua carriera) 

Devo dire che sono stato abbastanza sorpreso dalle dimensioni del lutto. Ho chiesto ai suoi addetti stampa: “Ma voi vi sareste aspettati tutto questo?” E loro: “No. Così, no”.

(fermi un attimo) (ci ho ripensato) (è il contrario: con la morte, muore la parte scema di noi, e chi ci ha voluto bene tiene in vita la parte che valeva la pena conoscere) 

(messa così pare un affarone, vero?)

Intanto che prendevo tempo mi è venuto in mente l’aneddoto. Piaceva a mio padre, ecco. A partire da una volta che sentì I Say I’ Sto Cca che veniva dall’autoradio, mi guardò e mi chiese “Tu, questa, ce l’hai?” Io: “No”. Avevo tipo 14 anni. “Ma non ti piace?” Non sapevo bene cosa dire. Io in quel periodo lì ascoltavo il pop elettronico come tutti i ragazzini. Pino Daniele era un treno già passato, e non per me. Che poi, faceva il blues. E io al blues avevo già dato nella mia pur breve vita, con un insegnante di chitarra che insisteva che tutti dovevano saper suonare il blues. E allora io giù, a farmi pere di blues. Per tutti gli anni 80, c’erano quelli che sentivano la musica sconveniente – perché vendeva. E quelli che ascoltavano il blues. Io, mentre nessuno mi vedeva, saltai sul carro dei primi.

Chissà se oggi

(no, non oggi che è morto Pino Daniele e quindi tutti a comprare quindici dei suoi dischi)

Chissà se oggi qualcuno ascolta il blues.

Chissà perché lo fa.