Mmh. Spiace per Gasparri, ma Fedez è ancora n.1.
Gasparri! Io ci ho un debole.
Nato nel 1956, figlio di un generale dei Carabinieri. E nipote del n.2 dei Carabinieri, nel senso di Vice Comandante di Corpo d’Armata. Dopo la maturità classica fa una intensa carriera universitaria. Nel senso che ci rimane fin dopo i trent’anni: lo si deduce dal fatto che a fine anni Ottanta diventa leader della Destra Universitaria. A dire la verità è una mia illazione, basata su elementari conticini sulla sua età: magari invece ha fatto solo tre anni di università – ma ne ha fatti sedici alle elementari.
Io considero il nostro vicepresidente del Senato una specie di emblema del peggio della nazione. So che qualcuno reputa più deprimente Giovanardi: i gusti son gusti. Però è un fatto che in vent’anni di Servizipubblici e Ballarò e Ottoemezzo e Giornidapecora e Zanzare (solo qualche giorno fa sentivo Cruciani che lo ospitava, alla radio del Sole 24 Ore, tutto un AhMaurizié, e noi je famo e noi je dimo, e sticazzi, noantri quanto ride, ennò?), ci è voluto Federico Lucia, 25 anni appena compiuti, da Corsico, per dare pubblica visibilità alla pochezza di entrambi. E questa cosa mi turba un po’.
In ogni caso non è di questo che volevo parlare.
E neanche di Fedez. E di nessuno che si trovi sul podio della classifica italiana degli album: di Fabi Silvestri Gazzé (n.2) e Subsonica, vi ho già detto. Le uniche novità in top 10 sono Chiara Galiazzo (n.4) e Tokio Hotel (n.5). Sì, poverini, i Tokio Hotel, quelli che si prendevano strilletti ma soprattutto insulti 6-7 anni fa. Con il NME a candidarli come “peggior gruppo”. Mi chiedo se i Tokio Hotel ci abbiano guadagnato o perso, ad arrivare prima del boom di Twitter (…in effetti è inutile che mi faccia questa domanda, non ho intenzione di rispondere) (la regola è che se non c’è movimento sul podio, si parla d’altro)
(“Da quando abbiamo questa regola?” “Da stamattina”)
E quindi, fatte salve le rubrichine finali – Pinfloi e cari estinti eccetera – saltate a bordo, che si fa un giro per le classifiche del mondo!
GRANDE SATANA
Album. Entra al n.1 Jason Aldean, 37 anni, nato in Georgia, in copertina ha il cappello da cowboy, perché la gente non abbia dubbi. Cioè, è un po’ come la bottiglia di succo di pera, che sopra c’è la pera.
Aldean non è su Spotify. Una delle canzoni del suo nuovo album è intitolata “Se il mio camion potesse parlare”.
(LOL)
Al n.2 c’è Hozier, irlandese, ma ve ne parlo dopo perché è in classifica anche nel Regno Unito. Poi, dopo Streisand e Gaga&Bennett, al n.5 entra il nuovo disco dei Weezer. Jackson Browne con Standing in the breach entra solo al n.15 (da noi, n.70): i babyboomers si sono buttati tutti sulla raccolta di Stevie Nicks, n.7. Ha finalmente un piccolo tracollo la colonna sonora di Frozen, dal n.11 al n.18. Faccio presente che è uscita nel novembre 2013.
Singoli. Al n.1 c’è All about that bass, pezzo MOLTO rétro – con ammicchi all’epoca Shirelles, Crystals, Ronettes – scritta e interpretata da Meghan Trainor, 20enne di Nantucket, isola per balene. E anche Meghan è un po’ tanta – sicché ha deciso di replicare al pop bootylicious delle culiziose divine del pop con un pezzo che sostiene la maggiore corposità dei bassi rispetto alle note alte (…una delle migliori metafore sulla ciccia che io abbia mai sentito). “Yeah it’s pretty clear, I ain’t no size two – but I can shake it, shake it like I’m supposed to do, ’cause I got that BOOM BOOM that all the boys chase, all the right junk in all the right places”. A un certo punto della canzone manda a remengo le skinny bitches – al che le magre si sono inviperite, e giù commenti. Su YouTube, 156 milioni di visualizzazioni; in classifica, è andata al n.1 praticamente ovunque. L’Italia è uno dei posti dove è andata peggio, solo n.5, forse perché un verso della canzone irride uno dei capisaldi della cultura italiana contemporanea: Photoshop.
Occhio che la top 5 dei singoli americani brulica di femmine: dopo Meghan, al n.2 Taylor Swift, n.3 Iggy Azalea & Rita Ora, n.4 Tove Lo, al n.5 Jessie J, Ariana Grande, Nicki Minaj. Otto donne pigiatissime in cinque posti, nemmeno fossimo da Tezenis. Che peraltro potrebbe sponsorizzare la maggior parte dei loro videoclip.
FISH AND CHIPS
Album. Al n.1 George Ezra, 21 anni, britanno, il nuovo re del “Tuttinsieme!”. Il suo album si chiama Wanted on voyage – e coerentemente, dopo la hit Budapest, ha inciso anche Barcelona e Blind man in Amsterdam. Al n.2 un altro britanno, Ed Sheeran, 23 anni; al n.3 Sam Smith, britanno, 22 anni.
(…avrete notato il trend) (si può dire trend, nel 2014, o vige ancora il veto morettiano?)
Al n.4 resiste eroica Barbra Streisand, mentre al n.5 c’è Hozier, 24 anni, irlandese, quello che avevo bypassato mentre eravamo in America. Vi ricordate? No? Stavate comprando le cartoline?
Hozier su Spotify raggiunge i 32 milioni di ascolti per Take me to church. Io gli sto un po’ girando attorno, ho come la sensazione che per lui si possa apertamente parlare di “Genere Letterman”, ovvero quei tipi che con chitarra elettrica e voce in primissimo piano, e discendenza ipotizzabile da Jeff Buckley, fanno un figurone soprattutto esibendosi live in tv. Dico questo non perché il disco mi dispiaccia, ma perché sono abbastanza sicuro che si sia ormai affermato un Genere Letterman. Così come è sempre esistito un Genere VincitricediSanremo. Entrambi (Nella Mia Umile Opinione) perdono un po’ di momentum quando li senti, per esempio, alla radio. Putacaso, Hozier la settimana scorsa è passato anche al Saturday Night Live. È da quei posti lì che devi passare per vendere i dischi.
(Fedez da Fazio non ci è andato. Durante Sanremo non è stato carino con lui e con i suoi ospiti, a partire da MiticoLiga)
(“Ehi” “Che c’è?” “Mi pare di notare un endorsement per Fedez” “Rimedio subito: la canzone Pop-hoolista che dà il titolo all’album fa schifo” “Ma come, c’è Elisa” “C’è SEMPRE Elisa”)
Singoli. Anche qui, n.1 Meghan Trainor, All about the bass. Tra l’altro, la Trainor è stata la prima artista ad entrare in classifica solo grazie allo streaming: era al n.33 una settimana prima di essere acquistabile – grazie a Deezer, Napster, Spotify, che da quest’estate fanno numero (100 ascolti sono conteggiati come un download). Anche in questa classifica è pieno di fi – di donne, perlomeno fino al n.5: al n.2 c’è Bang bang di Jessie J, Ariana Grande & Nicki Minaj; quest’ultima è anche al n.3 da sola col suo indifendibile Anaconda; n.4 Taylor Swift, e n.5 l’unico uomo, Jeremih, di Chicago, che come i Bastille va a rispolverare Rhythm is a dancer, dei todeschi Snap. E questo dove ci porta? Sì! Tutti in Tomania.
(“Uff. Sono stanco. Non possiamo fare una pausa?” “No, è l’Europa che ce lo chiede”)
BUNDESBANK
Album. Al n.1, i Sunrise Avenue, ovvero i Modà finlandesi. La loro raccolta Fairytales: Best Of 2006-2014 torreggia in modo sospetto sui prodotti locali, e non c’è uomo sano di mente che non vi intuisca una qualche camarilla del gruppo Bilderberg. A dire la verità anche qui da noi Fairytale gone bad si è sentita timidamente per radio, ma la Merkel li ha fatti piazzare ad arte in ogni bundesprogramma tv generalista, dal Grande Fratello in giù. Al n.2 i Tokio Hotel, che non vanno al n.1 nemmeno in patria, poverini; al n.3 Helen Fischer, una delle regine dello Schlager, il neomelodico tedesco. È nata in Siberia, dove furono deportati i nonni quando Stalin ha sistemato a modo suo la parte di Germania che gli competeva. Sapevate che nel giro di cinque anni Stalin fece condannare a morte senza processo quasi mezzo milione di dipendenti dello Stato?
(“Mmmh” “Dai, su” “Ho detto solo mmmh” “Lo so. E io ho detto solo dai, su”)
Al n.4 c’è il rapper alemanno Clueso, e al n.5 Bryan Adams. Non molto diverso, per quanto mi riguarda, dal n.8 di Lenny Kravitz (n.8 anche in Italia, mentre Adams da noi è al n.22).
E con questo può bastare. Ora superiamo con agilità la Maginot, ed eccoci lì, dai mangiarane. Vi ricordate Donald Rumsfeld, il miglior guerrafondaio che gli Stati Uniti abbiano avuto dai tempi di Eisenhower? Beh, politicamente era veramente una piattola, però a chi tira fuori una buona battuta io perdono molte cose (troppe) e la migliore battuta di Rumsfeld è stata: “Andare in guerra lasciando a casa i francesi è come andare a caccia di anatre lasciando a casa la fisarmonica”.
(“Una battuta gratuita sui francesi ci sta sempre bene, no?” “Sì, è vero, hai fatto bene”)
PARBLEU
Album. Sento aria di Sorbona. Quindi basta ciarle, e fatemi salire in cattedra. Vado a formulare un’ipotesi.
Ovvero.
La musica che non si vende, sarà anche un prodotto globalizzato. Ma quella che si vende, evidentemente, è molto “local”. Intendo dire che la classifica francese è terribilmente franciosa, così come la nostra e le altre viste finora sono ampiamente indigene. Al n.1 c’è Kendji Girac, 18 anni, da Bergerac (oh la la!), vincitore del The Voice gallico. Gli album che uniscono la top ten francese a quelle del resto del mondo sono Lenny Kravitz, Prince, Leonard Cohen. Aggiungendo Barbra Streisand (n.54 in Italia) verrebbe da dedurre un mutamento generazionale tutt’altro che cosmopolita, perlomeno tra chi apre il portafogli per la musica. Per i più giovani, la canzone pop americana è divertente, e la ascoltano in continuazione – ma che se ne rimanga pure lassù nella nuvola: sono più disposti a spendere per il prodotto a chilometro zero. In Europa la musica nordamericana è un retaggio degli anziani.
(“Quali conclusioni ne trarresti?” “Nazionalismo strisciante?” “O incapacità degli americani più giovani di dirci cose interessanti che non riguardino la culiziosità” “Che rimane comunque un’istanza cruciale” “A chi lo dici”)
TIKI-TAKA
Album. Nella top ten, tutti spagnoli, tranne Leonard Cohen (n.5)
(“Ma da noi, Leonard Cohen?” “N.12. Però aveva debuttato al n.8”)
Al n.1 ci sono gli Auryn, boy band che canta in inglese, ma i componenti vengono da tutte le parti d’Ispagna e sono una specie di selezione di nonvincitori di talentshow, come se da noi Ics, Roberta Pompa e Nevruz facessero un supergruppo irresistibile.
(“Ottimo esempio” “Ih, come sei”)
Ed ora, un Paese scelto in modo assolutamente isterico, per uscire dalla logica brutalmente quantitativa occidentale. Andiamo a conoscere i gusti dei nostri amici ungheresi!
HONVÈD
Album. Al n.1, avete indovinato, c’è Ákos, con Igazàn. Come a inizio carriera, negli anni 90, il suo stile è piuttosto Depechemodiano, il che contribuisce a renderlo rapidamente assimilabile alle nostre orecchie e tutto sommato anche il video non ha nulla in meno rispetto alle produzioni di altri Paesi spocchiosi.
(“Ma come, non è un porno?” “No, è un biancoenero post-industriale”)
Nonostante Budapest, qui George Ezra non è in top ten: sinceramente, l’unico disco che conosco nella prima diecina è Art official age di Prince, n.8. Però mi piacciono molto le copertine dei dischi, come quella di Egyszerű az élet di Gàjer Bàlint, o quelle stile vecchio francobollo del Refòrmatus Korusòk, al n.7 con Református vigasztaló énekek I. – Tudom, az én Megváltóm él, e al n.9 con Református énekek XIII. Al n.2 invece c’è un gruppo con un nome fantastico: Depresszió. Appena posso li ascolto.
Voi comunque non fatevi un’idea folkloristica della musica in Ungheria, la realtà è che anche da loro funziona come si è detto: precedenza al prodotto locale, poi, dal n.10 in giù, i nomi occidentali ortodossi: Slash, Linkin Park, Ed Sheeran, Coldplay. Lenny Kravitz (al n.20). Certo, Kovács Ákos, ex componente dei Bonanza Banzai, è il grande dominatore della top 40, con otto album: fosse la classifica italiana, penserei che gli è appena capitato qualcosa di fatale. Invece per fortuna sta benissimo, e giacché parla italiano magari ci sta leggendo, quindi colgo l’occasione per fargli un beccheggiante saluto – però non mettete via i paramenti funebri, perché stiamo tornando a casa per vedere la situazione da quel punto di vista lì. Prendete due souvenir dementi, e salite su questo preoccupante trabiccolo alato a vedere chi è passato a
Migliorvita. Su cento artisti in top 100, nove non sono più tra noi. Avete notato che sono quasi sempre nove? E non sono sempre gli stessi. Kurt Cobain (Nevermind, n. 84) o Freddie Mercury (Queen Platinum Collection, n.66) rientrano in classifica questa settimana, John Lennon ci fa il suo annuale ingresso al n.50 (in anticipo sul Natale) mentre ne escono Elvis e Lucio Dalla. È una scena con una vitalità tutta sua.
Pinfloi. Sentito il papposo singolo che anticipa il papposo prossimo album di Pink Gilmour, significativa oscillazione nell’umore dei fan: il cupo e Watersiano The wall alza la testa, dal n.79 al n.51, mentre The dark side of the moon perde 13 posizioni e scivola al n.48; Wish you were here rimane inchiodato al n.67, con la puerile raccolta A foot in the door che scende dal n.85 al n.81.
Dimenticavo. Escono (subito) dalla top ten italiana Red Canzian, Leonard Cohen e soprattutto Prince, dal n.9 al n.28 con Art official age, e dal n. 21 al n.74 con l’altro album, Plectrumelectrum, quello con le tre galline. Ora quello si offende, e in tour li suona tutti e due per intero. Oh beh, tanto in Italia ha detto che non viene. Peccato perché quando dice che viene certe volte fa il brillante, rifiutandosi di suonare pur avendo incassato il cachet. E con l’evitabilissima battuta sul cachet e il mal di testa che gli prese ai promoter (Mamone e poi Sanavio), io avrei finito, ciao, a presto, è stato un bel giretto, abbiamo imparato tante cose.
(“Io me le sono già dimenticate” “Ssst, non farti sentire. Pure io”)