AMARGINE

TheClassifica 43. Ricordati di odiare i Coldplay

Se doveste chiedermi (spontaneamente, sia chiaro) chi c’è al centro della musica di quest’epoca, chi tra 20 e 30 e 60 anni dovremmo ricordare per aver colto lo spirito di questi tempi, io non avrei dubbi. E darei questa risposta anche dopo essermi quasi sganasciato al primo ascolto di Ghost stories, disco al quale il titolo Lament non avrebbe reso giustizia.
Posto che è stato già preso tanti anni fa.
Dimenticatevi le canzoni incise quando il matrimonio di Chris Martin andava a gonfie vele, quei brani che andavano dal mogio all’inconsolabile. Ora che il suo matrimonio con Gwynetha è imploso in un “disaccoppiamento consapevole”, siamo al capezzale di un uomo in frantumi: il tono e i testi sono così sconsolati da sembrare caricaturali – e, come tali, strappare la risata al gaglioffo di turno

(…e chi, meglio di me, può rappresentare costui)

Pare di vederli, durante l’incisione, i tre Coldpartner che subiscono i lamenti del Martinitt con gli occhi al cielo, rassegnati, che annuiscono come amici al pub mentre il capobanda esala le sue geremiadi sull’amore giunto al capolinea. Il disco è un mondo di languido strazio e Chris Martire ci si aggira come un gatto che miagola nella notte, esponendosi al rischio di beccarsi una scarpa da una finestra. Che i rocker duri e puri vorrebbero lanciargli da tempo: lo odiano in quanto antitesi di sesso, droga e rock’n’roll. Laddove gli hipster ovviamente girano al largo per la tonitruante mancanza di coolness.

C’è un disprezzo diffuso nei confronti dei Coldplay, ma non riesce a esplodere. Ho letto più di un recensore ammettere con imbarazzo che l’ultima band da grandi numeri non è facilmente attaccabile se non per una questione di gusto personale. Per tanti altri il comandamento è ignorarli. E d’altronde, è difficile pensare a una critica che affili le sue armi senza tagliarsi, avendo fertilizzato le proprie barbe con una musica piangiosa – multiforme e levigata, ovviamente, ma piangiosa da prendersi a gomitate sui denti da soli (Bon Iver, John Grant, James Blake, Frank Ocean), che da anni la rifornisce di piantini cool con i quali riscattare le miserie di una generazione e mezza.
(“Vedete, sembriamo dei fantoccini, ma abbiamo sentimenti, Governo bastardo”)

E però, lui ci era arrivato prima. “I know I’m dead on the surface – but I am screaming underneath”, cantava nel 2002.

È che Chris Martin è il Napoleone Bonaparte della canzone triste. L’ha esplorata, sottomessa, e poi esaltata. Alcune sue hit (Viva la vida o Clocks) sono trionfalmente tristi. Mentre le canzoni più ottimiste del passato (Paradise o Every tear is a waterfall) premettono molto chiaramente che la vita è una valle di lacrime in cui sguazzare. Fatico a pensare a qualcuno che abbia descritto lo zeitgeist di questo secolo
(guarda mamma, ho detto zeitgeist)
meglio di un uomo che ha dolcemente rantolato:

“Ero perduto. Ero perduto. Oh, yeah”.
“Non so dove sto andando. Non so da dove vengo”.
“In che direzione andiamo, nessuno lo sa”.
“Le luci si spengono e non posso essere salvato”. 
“A casa, a casa è dove avrei voluto andare”.
E su tutto ciò, il suo marchio di fabbrica:
“Ooooh, ooooh…”. Il dolce gemito che si affaccia di continuo nelle sue canzoni, ripetuto in coro da migliaia di fan altrettanto smarriti, nell’era delle popstar sovraeccitate.

Ma Ghost stories più che alzare l’asticella, toglie il materasso che sta al di là. Già prima di questo disco, Martino era considerato l’emblema della virilità sconfitta: il maschio che entra in contatto con la sua parte femminile – e le dà sempre ragione. Ma ora che è letteralmente schiantato, in ogni brano regala le frasi tipiche dell’uomo investito dal tir della separazione.
“Ti amo così tanto che fa male”. “Dimmi un’ultima volta che mi ami, e se non è vero, menti. E chiamalo vero amore”. “La sera tardi guardavamo la tv, le tue braccia attorno a me. Ora il mondo non significa più nulla per me”. “Sono spezzato in due. E non voglio, non voglio, non voglio nessun altro che te”. “Incontriamoci ancora nella pioggia, amore”. “Sei un cielo pieno di stelle, non importa se mi fai a pezzi, ti darò il mio cuore”…

Wow! Chris, sottone che sei. C’è tutto il catalogo delle frasi imbarazzanti. Nessuna sottigliezza, nessuna metafora, nessuna di quelle ombrose allusioni che lasciavano interdetti nei dischi passati. Nah, ci va giù a piombo (mentre gli amici annuiscono, pacche sulle spalle, birra, ma su, ma vedrai). Eppure, che mossa magistrale. Col mondo intero invitato al divorzio con Gwynetha, con la gente già schierata
(chi con lui)
(chi con lei)
(chi contro entrambi)
il nostro uomo si esime da qualsiasi forma di rancore alla Morissette (o alla Aretha Franklin) (o alla Kelis) (o alla Lily Allen) (o alla Anastacia, alla Pink, alla Shakira) (…notate un trait d’union, o devo andare avanti?); al contrario, attira su di sé tutto il dolore e il rimpianto e l’impotenza del mondo, e tranne qualche sporadica eccezione (la più evidente, la TRIONFANTE A sky full of stars), produce una musica tutta tagliuzzata sulle braccia. E tuttavia, che capacità di creare canzoni con un capo e una coda, e una rispondenza sentimentale evidente, con il proprio stato d’animo e con il pubblico. E quindi, è legittimo ghignare – spero che lo sia, perché è quello che ho fatto – ma più lo sento evocare lo spettro dell’amore, più mi persuado che il modo candidamente imbarazzante con cui lo fa non è ovvio per niente, non in tempi di sbarramento ironico, non per un gruppo circondato da aspettative globali, e non con arrangiamenti così lividi dopo un disco colorato e pop come Mylo Xyloto: devi chiudere gli occhi e fare il salto nella Fede come Indiana Jones. 

Mi sono dilungato sui Coldplay perché è evidente che è uno dei dischi più significativi dell’anno, che vi faccia schifo o meno. Fosse per me, avrei preferito che i Black Keys, avessero fatto un disco emblematico, oppure, che ne so, Paolo Nutini, o gli Arcade Fire – ma pure Skrillex, parbleu. Ma è tutta gente che si ferma davanti all’imbarazzo. Sì, persino Skrillex. Hanno una reputazione. Mentre Chris Martin, con le sue scempiaggini da separazione fa – per l’appunto – scempio di sé come un Iggy Pop del pop. Non ne vedremo più molta, di gente del genere.

Ad ogni buon conto, i Coldplay hanno sette album in classifica. Dietro a Ghost stories, dal n.48 al n.70 si piazzano tutti i dischi precedenti più il Live 2012.

Al n.2 gli ex numeriuno Dear Jack, che ad Amici si sono aggiudicati il premio della critica 

(…non ditemi che vi aspettate commenti salaci)

Al n.3, I postumi di Michael Jackson; al n.4 la vincitrice del TALENT di Canale 5, Deborah Iurato; al n.5 Zésare Cremonini, al n.6 un altro Amico, il milanese Dennis Angeloni, in arte Denny La Home, che non sopporta la mancanza di rispetto e non va d’accordo con le persone superficiali, che vogliono stare al centro dell’attenzione. E aggiungo che Denny non sopporta le ingiustizie e si sente inadeguato in situazioni in cui non può essere se stesso.

Al n.7 Biagiantonacci, al n.8 Caparezza, al n.9 Mannarino, al n.10 la raccolta di Laura Pausini. Escono dalla top ten Black Keys, MiticoLiga (dopo 26 settimane) e Anastacia. Rientra in classifica al n.15 l’album di debutto dei Vamps (mmmh), ed entra al n.18 l’edizione celebrativa di Definitely maybe degli Oasis, che guida un ipernutrito plotone di album usciti almeno vent’anni fa. E ora, le rubriche finali.

Miglior vita. Undici dischi su cento appartenenti a un cantante che ci ha lasciati – o a un gruppo il cui cantante ci ha lasciati. E badate che è uscito di classifica Creuza de ma.

Pinfloi. Qui è successo qualcosa di increscioso, che non credo abbia precedenti. Per la prima volta negli ultimi cinque anni, Wish you were here, n.75, ha superato The dark side of the moon, n.77. Mi domando se c’entrino le elezioni. Sapete, l’invocazione di una figura perduta per sempre: Berlinguer, o Craxi, o Moro, o Pasolini, o Berlusconi, “Come vorrei, come vorrei che tu fossi qui”.
The Wall chiude il terzetto al n.99.

Disco MammamiacheimpressioneCeline…une seule fois. Live 2013 di Celine Dion. Entra al n.34.

Disco NomaloaspettavamotantoUnplugged dei R.E.M., entrato al n.76.

Born to daiBorn to die di Lana Del Rey: n.68, da 121 settimane ininterrotte in classifica. 

Ma per piacere.

6 Risposte a “TheClassifica 43. Ricordati di odiare i Coldplay”

  1. con questa analisi dei Coldplay dimostri di avere dei sentimenti anche tu. Mi piace

  2. Semplicemente, Mr. Martin è un buon compositore ed è un musicista.
    I suoi dischi rispecchiano queste due qualità, così poco fighe, così poco taggabili.

    E dire che questo lavoro non mi sembra il più interessante.
    Del resto, forse il divorzio non fa benissimo ad alcuni musicisti.
    E “Tunnel of Love” è lì a ricordarcelo.

    [seguono botte e insulti]

  3. Mamma mia…
    Hai mai pensato di rivedere un attimino l’uso delle virgole e della punteggiatura?

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