Sentite, lo so. Di musica brutta e scema ce n’è sempre stata. Lo so perché ascolto musica da più tempo di voi. A meno che non siate più vecchi di me.
Poi, so anche che c’è in giro nuova musica che mi si insinua dolcemente o mi sbaraglia di soprassalto. Però devo cercarla, non è più lei che gira intorno (semicit.). Devo mettermi lì come un rabdomante e attraversare tundre di pop cretino, canyon di hip-hop cavernicolo, giungle di cantautorato umidiccio e malsano, steppe di rockettino flebile quanto compiaciuto, tunnel di elettronica illuminati da mille led ma mai da una vera fiammella – il tutto resistendo a folate di revival gelide come dita di fantasmi. E soprattutto, alla musica brutta che fa i caroselli ovunque, gridando furiosa e vendicata che aveva ragione lei, e che voi e io abbiamo finito, finalmente, di portare l’Italia alla rovina.
Insomma, mainstream, lascia che te lo chieda una volta ancora: non hai più niente da darmi? O non sei più così mainstream come sostieni di essere? Non importa, non ti lascerò mai. Eccomi adunque alle prese coi cinque presunti album più venduti in Italia.
n.1 Ultimo.
(di nuovo) (ma ne ho già parlato) (passiamo oltre) (alle quattro new entry) (tre di loro in altri tempi avrebbero potuto ambire al n.1) (e invece)
n.2 Fabrizio Moro
Versione 40enne di Ultimo. Non vorrei nemmeno prendermi la briga di stroncarlo, perché lui se ne bullerebbe con la stessa retorica usata da quei politici dalla parte del POPOLO. Ho ascoltato il suo album perché una possibilità di stupirmi la do veramente a tutti. E poi dura 39 minuti, meno di un primo tempo di una brutta partita. Ma lo trovo peggiorato rispetto agli anni scorsi. Cionondimeno, sottopongo a quanti si dilettano di linguaggi contemporanei il crescendo gridante di Figli di nessuno:
«Tu non devi giudicare mai nessuno se non vivi i cazzi suoi. Se non sai che nei talloni sono nate le vesciche per la strada fatta a piedi, che ogni metro di successo ha un caro prezzo (…) Figli di depressione nel bene e nel male, di odio e rabbia nei confronti di ogni forma istituzionale. (…) Figli di sette Peroni alla vigilia di Natale, di percorsi di recupero per alcolismo adolescenziale, di porte chiuse in faccia, di le faremo sapere, di panni stesi la notte mentre ripeti, che ti sei rotto il cazzo. (…) Rispetto a te pezzo di fango siamo vivi e tu non sei opportuno, noi siamo figli di nessuno, noi siamo figli di nessuno (…) Io non mi spezzo: la mia bellezza nasce dal vostro disprezzo».
Se a leggerla è stucchevole, ad ascoltarla è peggio. Ed è il pezzo migliore dell’album. Se volete male a qualcuno, colpitelo alle spalle con Me ‘nnamoravo de te.
n.3 Achille Lauro
Il suo album dura 30 minuti, e 31 sarebbero troppi. Sta tentando di candidarsi a MiticoVasco per le nuove generazioni, oppure (come anche altri) in questa fase sta tentando di farsi un giro lontano dal rap italiano e dalle sue strettoie. In realtà Lauro De Marinis (Roma, 1990) si porta dietro un bel po’ di rappismi, a partire dal tipico elenco di macchinine con cui vorrebbe giocare (Ferrari, Cadillac, Rolls Royce, BMW M3, Porsche – ma attenzione, niente Lamborghini) eppure le mie orecchie pur dubbiose sentono che qualcosa è al lavoro nella sua capocciona stolida. I suoi testi sono di un’ottusità elaboratissima, le parole sono altisonanti quanto insulse ma suonano bene, diventano riff:
«È Dakar, è rally
È Bohemien, è trendy
È Baudelaire, è Fendi
È Fight Club, è Brad Pitt
È tragedia, è Shakespeare
Glamour, dealer
Skinny, Diesel
Angel, dreamer
Money, killer».
Oppure:
«Cresciuti nel parco, Hyde Park
Sto mettendo benzina, Irish Pub
Da una stalla alle stelle, al bar delle star
La giacca di pelle, in paradiso con Kurt».
La prima tentazione è evidentemente quella di percuoterlo con un segnale stradale, ma poi mi metto una mano sul cuore, penso ai testi dei primi Led Zeppelin e dei primi (e ultimi) (e medi) AC/DC, e a interi album dei Rolling Stones senza una singola frase salvabile, e lo assolvo: in fondo sta provando a fare qualcosa di diverso. Sta provando a essere divertente, vitale. A far confluire edonismo e romanticismo in quello che per altri è diventato un namedropping privo di un reale significato. Non sempre ci riesce: a tratti sembra semplicemente i Maneskin fatti da un solo uomo. Forse anche per quell’idaliano strascigàdo da burino di lusso – ma anche qui dev’essere al lavoro la manfrina della lingua del POPOLO. Poi il POPOLO lo punisce lasciandolo al n.3, ma per uno in predicato di fare il giudice a X Factor è un buon viatico, in fondo da Morgan a Levante ad Agnelli, la maggior parte di loro il n.1 lo vedeva col binocolo.
n.4 Massimo Pericolo
Paiono tornati di moda i nomi d’arte facilifacili di scuola cecchettiana, vero? Però “Ultimo” in fondo è peggio. Se l’album di Lauro è breve, quello di Pericolo è brevissimo: 23 minuti, otto canzoni. Achille si è fatto 15 firmacopie in 8 giorni, Massimo ne ha fatti tre. Poi, A.L. ha il featurez di Coez con le sue rimez; M.P. ha quello di Ugo Borghetti che pare la parodia del Bufalo di Romanzo Criminale. Messo al gabbio nel 2014, rispetto a tanti rapper che millantano delinquenza ma poi sono brodosi come La vita in diretta, il giovane Alessandro Vanetti (Brebbia, Varese, 1992) tra carcere e domiciliari si è fatto, se ho capito bene, un anno e mezzo – ma quel che più conta è che quando lo racconta si fa ascoltare:
«È l’estate più fredda della mia vita, quattro mesi di carcere senza figa
E ho visto uomini piangere tutti in fila dopo il colloquio e l’abbraccio di una bambina
E il lunedì ci si scanna per la partita, il prete quando torna? La posta quando arriva?
Il secondino più bravo è quello che grida
Ero impazzito del tutto quand’è finita».
Insomma, ha la mia attenzione. Ma spesso la spreca facendo il rapper ortodosso («Tu me lo succhi, lo sanno già tutti, qua fate tutti cagare tranne me a quanto pare, fotte un cazzo di fare gli incastri, fotte solo di fare i miliardi»). Perciò non so bene cosa aspettarmi: gli auguro ogni bene, ma ho anche paura che sia un attimo, andare a ingrossare le già folte schiere di rapper della categoria GuardatehoilRolex. Perché non diventano direttamente senatori leghisti non lo so proprio.
(…poi Marra mi dice “Tu odi il rap italiano”) (se parlo da uomo ferito è perché gli voglio bene, invece) (non a caso, di indie non parlo mai)
n.5 BTS
Ah, qui potremmo fare notte. Il loro album Map of the soul: persona consta di sette brani. Dura 26 minuti. Non mi dilungo perché sono solo quinti, anche se non posso dare per scontato che sappiate di chi si tratta: non ho ancora visto in giro gli spiegoni accompagnati dall’inevitabile sottotitolo “E voi siete vecchi!” (…che per qualche motivo che non capisco bene, porta parecchi like) (più di “E voi siete adulti” – che verrebbe percepito come fakenews). Nel resto del mondo sono primi e stanno vendendo veramente tanto; qui per ora entrano pure dietro Massimo Pericolo perché in fondo sono musi gialli sudcoreani e l’Italia è quel Paese sovranista e fatto cor pennello che conoscete. Però la cosa che strappa un sogghigno a chi come me trova sgonfio il pop americano e mortissimo il pop inglese (con la sola possibile eccezione di Dua Lipa), è che questi, nel fare quella roba lì, sono obiettivamente impeccabili. Certo, quando avevano tutti e sette i capelli neri lo erano un po’ meno.
Resto della top 10. Tutto questo newentrysmo ha conseguenze: Ultimo ha ora un solo album tra i primi dieci. Tra quelli spinti fuori dalla top ten, Ernia e Salmo e – capitombolando dal n.4 al 55 – En?gma & Kaizen. Resistono Billie Eilish, Coez, Rkomi, MiticoLiga e Bohemian Rhapsody.
Altri argomenti di conversazione. Nella nostra top 20 ci sono tanti americani quanti coreani. I britanni superano entrambi grazie a due band giovani, che ben rappresentano le novità musicali provenienti dalla magica Londra in questi ultimi anni: Queen e Pink Floyd. Ma anche noi abbiamo una categoria in via di estinzione: Billie Eilish (l’americana) è l’unica femmina in top 20 insieme a Fiorella Mannoia (e si somigliano tanto, vero?). Comunque prima o poi una rapper donna ce la piazzano. Non sarà Myss Keta, non sarà Chadia Rodriguez, ma prima o poi ci riescono – magari la fanno passare da un talent o da Sanremo. Detto questo, vi confido che entrano al n.35 i Chemical Brothers. Mentre escono dai primi cento Federico Baroni (era entrato al n.22 una settimana fa), David Guetta (dopo due settimane), Ludovico Einaudi (dopo 4 settimane), Loredana Berté (dopo 9), Gemitaiz e Drake (entrambi dopo 15), Vegas Jones (dopo 20), Negramaro (dopo 73). Album da più tempo in classifica: Hellvisback di Salmo con 167 settimane di permanenza, seguito da The dark side of the moon (128) e quello di Ed Sheeran col segnetto (111).
Sedicenti singoli. Qui invece non cambia niente, tutto molto positive thinking: prima #Calma, seconda #èsemprebello, terza #Perunmilione. Tutta la serenità che serve per una
Miglior vita. Ben 14 album di artisti o gruppi guidati da artisti che hanno abbandonato questa valle di tifosi d’aaaa Lazzzzie. Ma in generale è un attacco senza quartiere da parte dei White Walkers del rock, anche quelli parzialmente vivi: seminano il panico in classifica London Calling, Led Zeppelin IV, Thriller, Appetite for destruction, Hybrid Theory, Mtv Unplugged in New York (dei Nirvana, sapete, quelli di KURTCOBAIN), Legend di Bob Marley, Back IN black e Back TO black. Chi ci difenderà? Beh, chi se non i
Pinfloi. Non solo Wish you were here ricompare in classifica al n.59 (ehi, ma dove sei stato? Come? Davvero? Beh, potevi anche mandare una cartolina. Con scritto… – ok, l’avete capita), ma addirittura A Saucerful of Secrets entra al n.66!! Ma vi rendete conto? “Set the controools for the heart of the suuun”. Nel 2019. Ah, che tempi. Ma veniamo ai nostri indicatori elettorali: The wall balza dal n.57 al 31. E sono soddisfazioni, ma The dark side of the moon sale addirittura al n.20 (…ve l’avevo spoilerato venti righe sopra, vi eravate accorti?) Un evidente segnale che il POPOLO è confortevolmente insensibile e quietamente disperato – sì, beh, e allora il PD?
il disco di Fabrizio Moro nunseposentì!!!
“La prima tentazione è evidentemente quella di percuoterlo con un segnale stradale”
Quando arrivo alla seconda ti dico.