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Riki, Thomas e il sadismo di Maria – ClassificaGeneration, cap. VIII

Sono passate tre settimane dacché Riki, capo degli Amiki, è andato al n.1 nella sedicente classifica FIMI degli album. Prendendo il posto di Thomas, Amico pure lui. È da tre settimane che questa rubrica viene rimandata – e non per mancanza di argomenti o di ispirazione. Anzi! Questi sono i tre incipit che avevo pensato, uno per settimana.

1)         “Ogni tanto mi chiedo: se, poniamo, The Good Wife oppure Justified fossero su Netflix e Stranger Things su Italia Uno e Narcos su RaiTre, per cosa le brave élite avrebbero versato mari di bava – ma proprio da uscire di casa con canoa e pagaie? Forse non avrebbero dato incontenibilmente di matto per gli zozzoni di Chicago o i farabutti del Kentucky, troppo poco iconici, ma scommetto del danaro contante in valuta pregiata (o Travelers’ Cheques, come preferite) che pochi si sarebbero filati i Goonies citazionisti o la piattissima e trita epica di drogheria.

(…riuscite a capire dove volevo arrivare? Cosa c’entrava tutto questo con Riki?) (troppo pindarico?) (okay, vi do un aiuto con l’incipit della settimana successiva)

2)         “Lasciate che ve lo dica, ogni opinionismo sull’ennesimo, giovanissimo, straordinario e inascoltabile campioncino di vendite uscito da Amici è, in effetti, un opinionismo su Mariadefilippi e, nel contempo, opinionismo su X Factor – che occupa i media sociali e asociali con la sua figueness inifinita ma non vende un bastardo di disco da anni, costringendo i suoi propugnatori a ostendere ogni anno il santino di Mengoni o, esponendosi al rischio di risposte taglienti dai giornalisti (rischio inconsistente, quindi) de LaGiusy nel decennio scorso, o i decenti risultati di Franceschina Michielin o di Lorenzino Fragolin”.

(l’idea cui andavo parando era quindi, come forse avrete capito – ma ammetto che il coefficiente di fumosità era cospicuo – che se spostassimo gli Amici su Sky e i mister X su Mediaset, invertendo in pratica l’ordine dei Factori, il prodotto potrebbe cambiare. Forse durante le dirette Riki sarebbe stato paragonato ad artisti della Detroit anni 60 o della Berlino anni 30 ma per contro, forse i dischi li avrebbero venduti i Soul System o Giosada)

(mentre cortesemente obiettate che la Storia non si fa coi “forse”, ecco il terzo incipit, altrettanto saccente)

3)    “Il dibattito sulle voci, lo svisceramento della credibilità del gorgheggio sta superando il dibattito sul calcio e lo svisceramento del pressing sul portatore di palla. Ma c’è un inganno. Mi spiego: mentre indulgo in queste oziose riflessioni sono in un bar della provincia rinuclearizzata, e un gruppetto di giovani donne, appena entrate, ha subito preso a commentare la canzonequalunque diffusa dai diffusori. Una frase mi ha colpito.

“Lei c’ha una canna della Madonna, sì, però…”.

Tono e gergo (“la canna”, mon Dieu) che vent’anni fa si sentivano tra i discografici o critici musicali o comunque altri addetti ai lavori che ne sapevano tantissimo (e oggi hanno dei blog in cui recensiscono centrifughe e sorbetti detox). E con quella legittimazione al commento che un tempo avevamo noi che parlando di calcio dicevamo che un giocatore di serie A non sapeva controllare il pallone (chiunque abbia giocato per caso, per 5 minuti, anche al mare, con uno che ha fatto la riserva in serie A, sa come stanno in realtà le cose).

Ma ecco qui l’inganno. Chi segue il calcio, pur annebbiato dal tifo quasi quanto chi segue la musica, ha un vantaggio: chi è in testa alla classifica, per quanto spesso esecrabile e turpe, lo vedono tutti. Nella musica, invece, ognuno può rinchiudersi in un guscio di noce e dichiararsi re dello spazio infinito – perchè primo su Spotify, su iTunes (dico davvero), sui social, agli MtvAwards, nei sold-out, nella annuale classifica di Rolling Stone degli ottantamila album irrinunciabili o nella settimanale classifica di Pitchfork dei sedicimila artisti che domineranno gli anni Trenta (perché gli anni Venti sono già tutti appaltati, tranne l’ottobre 2028 sul quale il dibattito non accenna a chetarsi). Decine, centinaia di mondi e TL e bolle nelle quali Fedez è più importante di Laura Pausini, o Ghali di Marco Mengoni, o Nina Zilli di Baby K, o i Ramones dei Sex Pistols. Ognuno vince in qualche campionato, nessuno retrocede mai, alla peggio risorge in qualche modo impensato come Marco Carta a Tale e Quale. Non va in classifica? Può darsi, ma ha più visibilità e forse più bonifici di Coez, in fondo che ne sappiamo noi. Alla fine l’unica misura è il denaro, e infatti Billboard USA sta per darci finalmente la classifica che ci interessa VERAMENTE, quella di chi fattura di più. Perché o genti, è ora di aggiornare quel vecchio, tenero slogan con cui noi anzyani siamo cresciuti. E quindi,

FUCK ART, LET’S MAKE MONEY.

Detto questo, non ho ancora detto nulla su Riki e Thomas (LOL).

E li ho pure ascoltati, eh.

(per quanto mi riguarda preferisco Thomas) (se non altro, c’è del Tiziano Ferro) (tipo in Il sole alla finestra) (Riki è proprio pop poppone) (enfatico e impeccabilmente finto, fragoleggiante e valerioscaneggiante)

E mi sono fatto domande sui cliché dei giornalisti giovanilisti (sapete, quei motivetti che fanno: “Ma i ragazzi non comprano i dischi, ascoltano la musica in streaming”) di fronte alle loro magre cifre Spotifesche: solo tre pezzi di Riki hanno più di 50mila ascolti (per l’ultimo album di Caparezza cinque pezzi ne hanno più di 800mila).

E ho fatto cose che nessuno dei preziosi giornalisti italiani fa, specie quelli che alle conferenze stampa danno di matto perché non gli è stata tenuta la seggiola davanti a tutti gli altri. Quelli che peraltro di Amici sono amicissimi.

Tipo: indagare sul produttore del 25enne Riccardo Marcuzzo da Pessano con Bornago, ovvero Riki.

Voi sapevate chi è, questo amichevolissimo Rick Rubin?

Io no. Però, ora sì. Si chiama Riccardo Sciré, si autodefinisce “Produttore e songwriter multiplatino, classe 1987. Ha prodotto il disco d’esordio di Riki, Perdo le parole (3x platino, disco più venduto in Italia del 2017) e scritto brani per Michele Bravi, Riki, Dolcenera, Raige, Gemeliers; ha lavorato ai jingle di svariati spot per Trussardi, Radio Deejay, Radio Montecarlo e Swiss Kubik. Le sue produzioni hanno complessivamente più di 50 milioni di visualizzazioni su YouTube. La versione inglese di Replay – The musical, da lui co-scritto con Fabio Ingrosso, intitolata Crossf8, è attualmente in lavorazione a Broadway, NY”.

Qualche anno prima, quando non poteva sventolare platini, la sua autoscheda diceva: “Volevo essere De Gregori che voleva esseere Bob Dylan. Insomma, volevo essere stronzo”.

Vi segnalo altresì alcuni suoi titoli di quand’era cantautore (non molto tempo fa) perché li trovo interessanti, se non altro perché ambiziosi. “I ragazzi dei giorni di pioggia”, “I migliori danni della nostra vita”, “Beati voi che non capite un cazzo” “Meriteresti le molotov”. Quanto al titolo dell’album, lo vedete da voi qual era l’idea generale.

Visto così – senza nulla togliere per carità – non ha l’aria di quello che la sa lunghissima, vero? Quello col polso della situazione insomma. E però.

Ecco, questo è il punto. Il music business italiano ha successo – quando ce l’ha – senza un piano metodico. Dietro le quinte non si scoprono cinici alchimisti che sanno esattamente quanti secondi deve durare la boiata in autotune che dà il sapore “urban contemporary”. No, nonostante l’aria scafata di default di tutti quelli che si incontrano nell’ambientino, nessuno ha il polso della situazione. Non ce l’hanno gli addetti. Non ce l’hanno i media. Non ce l’hanno i musicisti e i produttori (no, nemmeno Michele Canova e Takegi e Kendra, anche se sarebbe confortante pensarlo – e certo a loro piace farlo credere). Non ce l’hanno Spotify, TIM o quell’altra cosa, comesichiama, quella delle mele.

(e non ce l’ho certamente io!, ci mancherebbe)

Ad averlo apparentemente è la Maria – e non lo dico per quella fascinazione dell’uccellino sventato per il serpente che ogni tanto mi sembra di cogliere in alcuni amici. Lo dico perché la differenza tra lei e gli altri è importante: tutti gli altri pensano di sapere cosa vuole il pubblicone, o quanto meno cercano di capirlo, di interpretarlo con sforzi sovrumani. La Maria no, non si cura di quel che vuole il pubblicone, sa solo quello che vuole lei, ma sa anche che il pubblicone di ogni età le obbedirà. Così, nel momento di gloria di X Factor ovvero il momento in cui massimamente se ne parla e twitta, al n.1 in classifica per un mese ci sono andati gli Amici. Se non è sadismo questo.

 

6 Risposte a “Riki, Thomas e il sadismo di Maria – ClassificaGeneration, cap. VIII”

  1. usti difficile questo articolo Madeddu! 🙂
    comunque, tempo fa ho cercato cose sul web su Thomas e ho trovato video amatoriali di lui che suona piano, chitarra, canto, ballo e entertaining da quando ha boh…6 anni?
    cioè questo qui ha più gavetta di tutto il panorama indie attuale.
    se gli arrivano/o scrive pezzi decenti (finora è troppo Titty Iron-eggiante) potrebbe davvero impattare bene. a prescindere di Amici.

  2. Pezzo bellissimo.
    Io sono arrivato a conclusioni simili parlando di XFactor 8 e facendo un raffronto con Amici nel finale del pezzo (se ti va, lo trovi qui: http://www.manq.it/index.php/2014/10/28/una-su-x-factor-8/).
    E’ un post ancora abbastanza attuale direi, tolta la parte su Fedez, però leggendo oggi quel che scrivi tu la mia autostima ha avuto un breve ed euforico lampo di gioia, tipo “ehi, ma non sei proprio uno scemo allora…”.
    Mi passa subito, comunque.

    Scusa per l’intervento da quindicenne, ma non ho resistito.

    1. Forse non sei uno scemo, forse siamo due scemi 🙂
      Cionondimeno, anche se condivido quello che scrivi tu, c’è una banalità un po’ spiacevole in fondo al pezzo del Fatto, e questo è un fatto:
      “La domanda è: come si fa a parlare di futuro discografico di qualcuno, quando è la discografia stessa che ha smesso di averne uno?”
      Questa è una banalità da Fatto.
      Cifre alla mano, l’industria discografica si sta ripigliando, anche se è ancora tranchant dire che è finita.
      Il modo in cui si stia ripigliando può non piacere. Ma d’altra parte, dai cilindri di Edison a oggi pare che non sia mai piaciuta a nessuno.

  3. 🙂
    Sì, l’ultimo paragrafo l’avevo escluso anche io dall’analisi perchè oggettivamente indifendibile. Come dici tu, è pur sempre il Fatto e una banalità la deve infilare nei pezzi.

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