Signore e signori, benvenuti alla nuova puntata de
IL QUIZ DI aMARGINE.
Sì, è la prima puntata. Forse l’ultima. Quindi cercate di sfruttarla. Pronti? Avete ventuno secondi per rispondere. Ma se ve ne servono di più, scrivetemi.
Dunque. Ecco il QUIZ di aMargine:
Taylor Swift. Dua Lipa. Travis Scott. Benson Boone.
Cos’hanno in comoone?
Non sono ITALIANI, ok – e Iddio li punirà per questo. Ma cos’altro condividono? Non certo i generi né la provenienza.
Ebbene, ecco cosa: sono gli unici artisti nella top 30 italiana che si presentano con il loro vero nome e cognome completi.
Per dire, la top 10 in questo momento vede furoreggiare Luca D’Orso, Nicolò Rapisarda, Francesco Stasi, Rosa Luini, Gionata Boschetti, Annalisa Scarrone, Jacopo Lazzarini.
Non dei grandi nomi per vendere tute e occhialucci, vero? Tutti noi avremmo optato per nomi più croccanti. Io, di sicuro.
Ma ora, bro, vogliate soffermarvi ora sul primo, perché in effetti è primo: è il
Numero Uno. Per la seconda settimana consecutiva in testa alla classifica dei presunti album c’è il prodotto intitolato dolorosamente – e dolosamente – Ferite. L’azienda che lo ha prodotto si chiama Capo Plaza, associata alla multinazionale Warner. Il fondatore dell’azienda si chiama Luca D’Orso ed è nato a Salerno nel 1998. Come vedete, ha una cosa in comune con Clint Eastwood. Sergio Leone avrebbe detto di lui: “Ha due espressioni. Una con l’orologio, una senza orologio”.
Io ve lo dico, bro: passare per adulto nostalgico che rimpiange il rap di una volta è insopportabile.
Quindi cercherò di dire delle cose a favore del prodotto con suonini e parole giovani che, nel maggio 2024, noi ITALIANI (…sì, anche VOI. Smettetela di chiamarvi fuori) stiamo apprezzando più di ogni altro.
Intanto,
1. Il suo livello di turpiloquio si avvicina al minimo. Vi sembrerà una stupidaggine. Anche a me. Però è una scelta stilistica, e non propriamente commerciale. Non credo la si possa imputare al fatto che D’Orso viene da una famiglia perbene. In fondo tanti altri tra gli imprenditori italiani che siamo soliti chiamare rapper hanno alle spalle genitori che hanno fatto del loro meglio perché i loro figli maschi NON facessero la vita deficiente e putrida che millantano di fare. Poi,
2. L’azienda di D’Orso è associata alla multinazionale Warner ma ciò non lo dissuade dal cercare partnership commerciali con le altre due multinazionali che lavorano per incentivare il cretinismo dei maschi ITALIANI. Che vi sembrerà impossibile, ma ha margini di crescita infiniti, tutti da sfruttare per il bene del nostro PIL. Ora, è ben vero che il brand Capo Plaza, all’interno del prodotto Ferite, sfoggia partnership con altri brand associati alla Warner (Annalisa, Tony Boy, Artie 5ive) ma è altrettanto vero che ci sono anche alcuni brand esterni con i quali evidentemente D’Orso ha un’intesa consolidata, e sono Tedua, Lazza, Anna. Su quest’ultima vale la pena aggiungere qualcosa – ma più giù, al punto 5. Invece, a questo proposito,
3. Tra le 18 ferite di Ferite, solo sette contengono ferite in featuring. E spicca l’assenza di alcuni nomi con i quali D’Orso aveva stretto sodalizi commerciali in passato: Ghali, Drefgold, Emis Killa, Gué Pequeno, Shiva, Sferoso Famoso.
4. Nè ci sono brand della Warner che avrebbero ulteriormente ampliato, col minimo sforzo, la presenza sul mercato del suo brand: per esempio, Baby Gang, Geolier, Rose Villain, Mr. Rain, Simba LaRue. Mentre
5. Con Anna Pepe, che produce suonini e parole e mossette per la multinazionale Universal, Luca D’Orso grazie ai buoni uffici del prodücer Ava è stato protagonista del caso più eclatante di hit realizzata invertendo il canone storico dell’hip-hop ITALIANO per la joint-venture maschio-femmina: Plaza vi era apparso come accessorio per imbellire un pezzo, Vetri neri, dove la relazione urbanica è narrata dalla donna, e non il contrario.
E forse quest’ultima è una delle tante cose di Luca D’Orso che la chiesa maschia e tatuata dell’hip-hop italiano ha considerato con un certo sospetto. Perché sapete, Plaza è street, yeah – ma non gode di, cioè, rispetto unanime, bro. Non che sia mai stato apertamente stroncato, NESSUN rapper viene mai messo in discussione: quella del rap è una lobby anche più compatta della Destra ITALIANA. Però se uno non gode della generale approvazione lo si fa capire, con piccoli segnali tipo: parlarne il meno possibile. Sicuramente molto meno di quanto i suoi 47 dischi di platino suggerirebbero.
(tranne quei casi in cui ci sono altri motivi) (tipo quella volta che un mio collega mi avvisò: “Guarda che l’artista indiscusso X c’ha gli amici nervosi e vanno sotto casa alla gente”) (..ma sono certo NON sia il caso di Capo Plaza, che saluto con un sorriso: 🙂 )
Comunque stiano le cose, lui, impenitente, Capo ha incluso in Ferite un bel po’ di tracce apertamente sentimentali. Non proprio pop, ma quasi. Finora lui e la Sacra Kermesse sanremese si sono ignorati ma sembrano due che si ignorano per farsi capire quanto si vorrebbero saltare addosso.
Qui, altresì, vi comprovo che ha 47 dischi di platino. Mica mi invento le cose.
Ad ogni buon conto, ora che ho detto tutte le cose positive che potevo su Capo Plaza e nessuno sarebbe così meschino da accusarmi di avere dei pregiudizi, posso anche ostendere la mia umile opinione.
Nella Mia Umile Opinione. Ferite di Capo Plaza ha forti ambizioni di riposizionamento. Plaza vuole mettere un punto a Capo (lo so, potevo risparmiarmelo) di un percorso ammiccantissimo, da #FrescoDiZona, iniziato a 19 anni con Giovane Fuoriclasse, che branchi di manager 30enni in cerca di cocaina cantilenavano giulivi nel 2017. E parlando di manager, qualunque spin doctor con almeno sei giorni di esperienza nello showbusiness ITALIANO, dopo la sovraesposizione tormentona di Vetri Neri, avrebbe consigliato a Capo Plaza la Strategia Del Dolore: sventolare le proprie Ferite per posizionarsi nel solco dei prodotti conscious e real che guadagnano respect.
Il problema dei suoi tormenti è che sembrano confessati mentre qualcuno gli fa massaggio e manicure. Capo continua a dare interviste in cui rivendica di soffrire un casino ed essere depresso, e questo sicuramente si estende alla depressione ritmica che affligge le 18 tracce. È un viaggio nel torpore peraltro non isolato, in questa trionfale era post-trap. È buffo che una generazione così incline a menare le mani abbia una colonna sonora così priva di nerbo – ma immagino sia sempre valido il Paradosso di Gomorra, ovvero più il maschio è intensamente aggressivo e prepotente, più si compiange frignettando in una melassa neomelodica.
Ma il problema del prodotto Ferite non è nei BPM o nell’assenza di echi della drill di Chicago. No, la macchina del Capo Plaza ha un buco nella cred.
E ve lo devo dire, bro: io credo che accusare un rapper di essere fake invece che real, o di scarsa originalità nelle rime, sia altrettanto insopportabile che la pregiudiziale adulta con cui eravamo partiti. Ma è difficile non cogliere un senso di mossa calcolata in questo mostrare le proprie Ferite. Esattamente la mossa calcolata di tutti i rapper quando vogliono assicurare al proprio elettorato che non sono dei freddi imprenditori che sviscerano algoritmi e profili come fa una multinazionale dei suonini e delle parolette. Multinazionale che saluto, e con la quale mi devo congratulare: da due anni ha adottato un approccio analitico aggressivo ai big data, e grazie a ciò è passata dall’essere la Cenerentola della discografia italiana a raddoppiare la propria presenza nelle charts, superando la Sony. Cosa gli vuoi dire? Producono prodotti, e i consumatori li consumano ghiotti. Io produco questi articoli totalmente real, e mi leggete in nove. Ammettiamolo, mica posso dire di aver ragione io.
Resto della top ten. CapoPlaza in queste due settimane ha tenuto lontano dal n.1
a) Una nota femmina, per di più non ITALIANA – DuaLipa ha perciò dovuto accontentarsi del n.2, e pedalare.
b) Un noto duo della primissimissima ondata del rap dei boomer. Sicché gli Articolo 31 col loro album dal titolo ammiccante hanno dovuto anche loro sistemarsi al secondo posto, con tutti i loro ospiti, mentre Dua Lipa veniva eiettata dalla top 10.
Vi devo rendere conto che anche Ermal Meta si è affacciato in top 10 ma ne è uscito subito.
E poi che il resto della top 10 dal n.3 al 9 è costituito da Tony Effe, Baby Gang, Rose Villain, Kid Yugi, Taylor Swift, Sferoso Famoso, Annalisa. Quanto al n.10, lì c’è Lazza con Sirio, pubblicato più di due anni fa, e mai uscito di classifica. Cosa che ci porta agli
Altri argomenti di conversazione. Oltre a Sirio, ci sono altri tre album fermi nella top 30 con tigna d’altri tempi – a volte, proprio di un altro decennio. Fuori dall’Hype dei Pinguini Piacioni, in classifica da più di cinque anni di seguito (267 settimane) e Persona di Marracash, che è entrato in classifica nel novembre 2019 – e anche lui, non ne è più uscito, facendo da balia al più recente disco di Marracash, Noi, loro, gli altri, che ha passato in top 20 più di due anni).
Tra il n.30 e il n.40 altri lungodegenti: Marco Mengoni (album di 2 anni fa), raccolta dei Pinguini Piacioni (tre anni e mezzo in classifica), Rkomi (tre anni puliti).
E ce ne sono altri! Sferoso Famoso con Rockstar (177 settimane di fila), e Famoso (182 settimane), The Weeknd (unico straniero, 217 settimane), e ovviamente l’album dei record, il Dark Side of the Moon italiano: Re Mida di Lazza, che batte il suo stesso primato arrivando a 272 settimane (attualmente, è al n.42 in classifica).
Vi comunico poi chi è durato molto meno, uscendo di classifica in questi giorni: Mark Knopfler dopo 4 settimane, Ragazzi Madre di Achille Lauro dopo una sola settimana (passata al n.26). Beh? Cos’è questa faccenda che non ascoltate Achille Lauro, testimonial provetto? Va beh, non vi ha persuasi nemmeno Pastiche di Francesco De Gregori e Checco Zalone, durato 3 settimane. Non parliamo poi di Nonetheless dei Pet Shop Boys: solo sette giorni, passati al n.49, actually.
Sedicenti singoli. Come un tuono di Rose Villain featuring Gué (Pequeno) si conferma la hit di questa piovosa primavera – gli ha detto bene, veh. Al n.2 c’è la altrettanto resiliente 100 messaggi di Lazza, e al n.3 bivacca L’ultima poesia di Geolier & Ultimo, quest’ultimo (Ultimo) tra qualche giorno n.1 dei presunti album. Non sono riusciti a salire sul podio Anna & Lazza con Bbe (n.4) e in effetti nemmeno El pibe de oro di Geolier (n.6). Resiste e resilie tra i primi dieci il cileno Floyymenor, unico non ITALIANO con Gata only, n.5. Già che ci sono ve lo mostro. Eccolo.
Vedete? Ha un orologio anche lui. Tutti ragazzi che hanno fatto la prima comunione.
Infine, forte della performance al pazzo, pazzissimo pazzoregino Eurofestival, La noia di Angelina Mango sale dal n.19 al n.10. Ma bando alla noia, è il momento di spassarsela coi
Pinfloi. L’iconico prisma dell’iconica band è all’iconico n.71 – anno dell’iconico Meddle, che decisamente non gode delle stesse simpatie. Però sarebbe stato affascinante vederlo alle spalle di Carlo Conti, che con San Tropez dovrebbe avere un feeling. Ma d’altro canto, anche con il Brain Damage.
Grazie per aver letto fin qui, a presto.