Un mese fa, l’album è uscito sulle piattaforme di streaming, facendo numeri così contenuti da permettere a Tutta Vita di Olly di inerpicarsi nuovamente al n.1. In base a qualche strategia estremamente sottile, credo dettata da un’operazione di comunicazione pensata per intrattenere il gregge di cui faccio parte, l’uscita dei cosi di plastica tondi di Lucio Corsi è stata rimandata di due settimane, portando solo ora al Pierrot Lunare maremmano, grande WTF dell’ultima Sacra Kermesse…
IL NUMERO UNO. Spiego cosa intendo perché solo due mesi fa ho visto l’ultimo (forse) film di Nanni Moretti, e magari qualcun altro, come me, non ha sentito particolare urgenza di vederlo. Nel film c’è una di quelle scene in cui il venerabile regista ricorre all’espediente di far pronunciare agli esponenti di un mondo che deplora una certa espressione, che si stagli come prova inconfutabile della loro turpitudine. In Palombella Rossa era una giornalista che diceva “trend negativo” (e veniva punita con una pacca in faccia. Erano altri tempi). Ne Il sol dell’avvenire (2023), sono due papaveri di Netflix che approvano una sua sceneggiatura e si dicono disponibili mettergli a disposizione il loro strapotere, purché inserisca nel film un Momento WhatTheFuck.
Benché il cinema di Moretti non sia estraneo a scene riconducibili a un desiderio di lasciare interdetto il pubblico per vedere di nascosto l’effetto che fa, la scena termina col regista che viene via sillabando velenosamente «…Momento WhatTheFuck!» – e lo spettatore capisce l’antifona.
Stando a Daniela Cardini, prof di Linguaggi della TV presso l’Università IULM, «Moretti ha semplicemente istituzionalizzato l’espressione, che esisteva già – in effetti è molto calzante, in diverse occasioni». Il suo uso è piuttosto comune nei social network, così come lo era nei blog di cinema e tv. Già 15 anni fa MTV, in uno dei suoi tenerissimi tentativi di rimanere in sintonia con il nuovismo, aveva inserito la categoria “Best WTF Moment” nei suoi MTV Movie Awards.
Ed eccoci (come sempre) a quel noto programma di RaiUno. Perché anche se va verso la consacrazione a Religione di Stato, pure il Festival di Sanremo è a suo modo un TV Award. E diversi suoi officianti, a partire da Pippo Baudo, hanno sempre tenuto in gran conto l’importanza del Momento di cui sopra.
Reputo che per l’edizione 2025 della Santa Kermesse, Carlo Conti abbia puntato forte su Lucio Corsi come Momento WhatTheFuck. Di sicuro, la nazione lo ha vissuto in questo modo. Forse anche voi, sui social o in conversazione tra amici, siete stati testimoni dell’ingresso di Corsi tra gli argomenti di discussione su cui dire la propria. Anche se pubblica album dal 2017, nel giro di poche ore del febbraio del 2025 #LucioCorsi è diventato uno di quegli argomenti che si infilano tra l’antipasto e il primo, facendosi largo tra i pareri sull’influencer demente e il dittatore stravagante, la ministra insolvente e l’imprenditore preoccupante. Il vuoto lasciato dall’estinzione dei pareri sui Maneskin è stato finalmente riempito.
Ovviamente nella ricerca di spiegazioni si tenta di ricondurre il soggetto a qualcosa di già noto, anche per facilitare lo schieramento pro o contro. Il criterio cui l’Italia non sa resistere è quello ideologico. Su un famoso giornale con più contributi statali che lettori, Saverio Raimondo ironizzava: «A Sanremo la sinistra si presenta divisa con due cantautori, disperde il televoto fra Lucio Corsi e Brunori Sas favorendo così la vittoria di Olly». E non è una boutade, visto che nei giorni della Sacra Kermesse Il Giornale riportava come «Nel Pd, il più attento al Festival sanremese è il deputato romano Matteo Orfini che in questi giorni su Instagram ha pubblicato una serie di post con indicazioni di voto sempre più precise e chiare. “Compagne e compagni, mi raccomando. Le indicazioni di voto sono: Brunori e Lucio Corsi. Più avanti nella serata valuteremo il ricorso al voto utile”».
(…no, QUESTO non è un MomentoWTF. Perché siate sinceri: nulla che venga dal PD può più stupirvi)
Però, malgrado Corsi strategicamente rimbalzi tutte le domande a sfondo politico (per esempio quelle di Silvia Bombino di Vanity Fair), l’odore malvagio di Sinistra non sfugge, per esempio, a un’insegnante che su Twitter è solita scagliarsi quotidianamente contro “neri” e “islamici”: dopo la prima apparizione all’Ariston ha subito avvisato i suoi follower: «La canzone mi piace, ma io annuso da lontano un prodotto commerciale confezionato ad hoc da ex centro sociale che ci farcirà di cazzate inclusive e woke». È la stessa allarmata sensazione dell’arciduca dei reazionari, Antonio Ricci, che su Striscia La Notizia ha immediatamente lanciato un imitatore che in uno sketch raffigura Corsi come tipico emblema della Sinistra ZTL. Finge di dare dei soldi a una zingara, invece le porta via il bambino («Tanto l’hai rubato anche te, zingara di m***a»), infine la riempie di bastonate nel tripudio di risate finte che è Canale 5.
D’altro canto, malgrado i continui accenni di Corsi ai genitori, alla nonna e ai suoi tortelli, alle solide radici maremmane, e l’ostentata passione per le virili motociclette – e malgrado le foto con i suoi cani, che hanno l’aria di incarnare valori canini tradizionali senza colpi di coda arcobaleno, è ben vero che la Sinistra lo endorsa con slancio.
Per Francesca Angeleri del Manifesto, Corsi è “magnifico”. Perché «Fa esattamente ciò che dovrebbe fare un artista ovvero ricercare, azzardare, mettersi in gioco, illuminare la strada dei suoi coetanei (…) Un artista CREA. E per creare si rifà ai grandi prima di lui, magari Bowie, Rino Gaetano and so on. Voto 10. Per la musica, ma soprattutto per l’esempio»”.
AND SO ON. Repubblica rincara la dose, titolando che «Corsi, l’anti-TonyEffe, piace a tutti» (uno di quei “plurali mai stati” che punteggiano la storia del giornale) perché è un modello di mascolinità non tossica, come spiega “la sociologa”, che sia nel titolo che nel sottotitolo è lasciata anonima – pertanto lo faremo anche noi, basta con la cultura dell’apparire. Altrove una pregiata firma del quotidiano, Massimo Giannini, auspica che il testo di Volevo essere un duro venga (…wait for it) insegnato nelle scuole. Perché «Nel tempo dei bulli e delle pupe, dei rapper che non devono chiedere mai e dei trapper che svaccano sempre, dell’hip hop aggressive e dei gruppi selvaggi che si fanno chiamare Truceboys o Noyz Narcos, Lucio ci regala il suo commovente inno alla normalità. Per questo Volevo essere un duro bisognerebbe metterla nei programmi dei licei (…). È vero che Corsi è arrivato secondo a Sanremo. Ma in fondo tutti noi “non siamo altro che Lucio”. Faremmo bene a ricordarcelo».
Ci faremo un nodo al fazzoletto, si diceva ai tempi dei fazzoletti. Di sinistra o meno, Rolling Stone (che è un amico che salutiamo) sta ampiamente sul carro di Corsi: “questo Gianni Rodari cresciuto con Bowie e Dylan, questo cantautore che trasfigura il mondo con una fantasia sfrenata e fanciullesca ma non infantile, questo cantastorie che ti fa vedere un’altra realtà perché questa fa schifo”.
Rollinstòn è tra quelli – e ci tiene – che “L’ho visto prima io”. Non sono pochi. Siti, radio o YouTuber che sfoderano interviste di 10 anni fa, o ci sgridano perché siamo arrivati con il gregge: «La verità è che vi siete accorti solo con Volevo essere un duro a Sanremo del talento cristallino di Lucio Corsi” (MowMag). Rockol cala l’asso e interpella il primo manager, Nicolò Zaganelli: «La magia vera era che Lucio piaceva alle nonne e allo stesso tempo ad Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, che lo vide in apertura al concerto di Roma dei Baustelle e il giorno dopo mi fece chiamare per invitarlo a partecipare alla sfilata che si sarebbe tenuta a Firenze pochi mesi dopo. Dal mio punto di vista questo indicava già allora un potenziale pop enorme». Su Open, Daria Bignardi afferma che per prima lo portò in tv: «Lo chiamai per il suo mondo interiore». Però Carlo Verdone, nella sua serie tv su Carlo Verdone, ha fatto molto di più: in una scena fatidica, come la figura del Mentore nel Viaggio dell’Eroe di Vogel, esorta il giovane recalcitrante Corsi a fare come lui: accettare il suo destino di grandezza, e quindi donarsi al popolo tramite quel cavolo di Festival.
Rivendica un’intuizione anche Radio DeeJay che ha puntato su di lui come “inviato speciale” al Festival, e Linus, che non è solito negarsi compiacimenti, se ne compiace mentre lo ospita poi in radio – ma su YouTube, l’utente RaffaleCavalieri3181 commenta l’intervista rimpiangendo: «Già sta diventando commerciale… Essere ospite di Radio DeeJay vuol dire essere commerciale – o vuoi dire il contrario?» Ehi, non sia mai.
Milita in un campionato a parte il crescendo tranchant di Guia Soncini su Linkiesta, che individua in Corsi “la quota freak” e “il ricatto della dolenza”. Perché è «Quello che lo fa strano, quello con la faccia pittata, quello che a scuola lo bullizzavano sicuro. E in più con la carta Anima mia del duetto con Topo Gigio, perfetto nel secolo che ha rimosso la memoria e l’ha sostituita con la nostalgia. Ma alla fine, se dobbiamo avere un David Bowie in sessantaquattresimo, meglio lui di Achille Lauro».
Povero Lauro. Tutte quelle partecipazioni al Festival, tutti quei vestiti, tutte quelle performance tempestate di citazioni preziose. Ma mai un Momento WTF.
Comunque, oggi Volevo Essere Un Duro è n.1, e Corsi viene accolto come un vendicatore di quelli a cui fa schifo il chewing-gum urbano prodotto dalle filiali italiane delle tre megamultinazionali. A me onestamente i 31 minuti del suo dischino ricordano l’ascolto di RadioItalia anni 70 in un pomeriggio di stanca (…mica uno di quelli vivaci), nel quale cui Gianni Togni e Riccardo Fogli hanno preso il potere, e hanno messo al bando non solo quel brutto sound straniero che ha causato il tramonto del pop melenso che imperava a Canzonissima, ma anche i cantautori troppo intensi, che so: Claudio Baglioni, Riccardo Cocciante. Gli arrangiamenti sembrerebbero audaci pure a Giancarlo Lucariello, che violinizzava i Pooh di Tanta voglia di lei. Quanto ai testi, alternano sprazzi di brillantezza a parecchi momenti in cui l’esile poeta di Grosseto finisce per strafare nel suo sforzo di stupire il borghese a colpi di colori pastello. A volte, vola e sprofonda nell’arco della stessa strofa: “Questa vita ci schiaccia, ma non ha alcun peso. Siamo talmente tante ombre diverse che formano l’arcobaleno” (Questa vita). Non di rado invita l’ascoltatore a essere suo complice di piccole debolezze (i produttori di nicotina, catrame e tumori hanno ricevuto molte dichiarazioni d’amore dalla musica, ma pochissime del livello di Sigarette). Infine, avendo intuito quanto piace il suo girare tra le favole in mutande, offre ripetute macedonie di favole, libri di scuola e meme pop (“Il re dei rave sembra Paul McCartney o il principe Giovanni; la notte nelle tende, la polvere che prende, d’incanto vede San Francesco che cerca lo Stregatto”). Ma tutti i suoi stratagemmi hanno un filo conduttore: la chiamata a raccolta di coloro che, come lui, sognano. In opposizione a quanti invece non sono in grado.
(…non guardate qui, non è gentile da parte vostra)
Comunque, tutti sembrano contenti di Corsi, e di ciò sono contento. Perché tutto ciò che viene proposto dalla Sacra Kermesse è sacro a tutti noi.
RESTO DELLA TOP 10. Pertanto, Volevo Essere Un Duro si risolleva dal suo anonimo n.16 e va al n.1, e nel farlo scavalca La Bella Vita di Artie 5ive (n.2) e Tutta Vita di Olly (n.3).
Sotto al podio, ingressi che parrebbero un po’ anonimi – ma forse anche qui è tutto astutamente strategico, che ne so io – per Baustelle (n.4) e Mezzosangue (n.5) in una top 10 che per la 14esima settimana consecutiva non è tutta santamente ITALIANA solo per colpa del dazio Bad Bunny (n.7). Se non altro, sono tornati a essere tutti maschi – esclusa, volendo, Rachele Bastreghi dei Baustelle – giacché Rose Villain ha iniziato a declinare ed è ora al n.11. Certo, alla Rose va un po’ meglio che ai Negrita, subito scesi dal n.9 al 78.
SEDICENTI SINGOLI: Artie 5ive piccato per aver perso il n.1 tra gli album si prende la rivincita rompendo il monopolio della Sacra Kermesse sul podio delle canzoncine: la sua Sogno Americano sale al n.3 e depodizza Achille Lauro. Rimangono saldi (da oltre un mese) al n.1 Balorda Nostalgia di Olly, seguito da La Cura Per Me di Giorgia al n.2.
C’è una (sì, una) novità nella top 50, ed è Mi Ami Mi Odi di Elodie, che con il suo dirompente ingresso al n.18 incrina la voglia degli ITALIANI di continuare ad ascoltare sempre le stesse magnifiche canzoni. Peccato solo per le due canzoni straniere in top 30: una di Bad Bunny (ancora) e l’altra è Anxiety di Doechii. Per fortuna sono giù in fondo, ai numeri 24 e 25, e non danno (troppo) fastidio.
PINFLOI. È stato un lampo (celebrativo) ed è già finito: The Dark Side Of The Moon lascia il n.35 per accomodarsi nuovamente fuori dalla top 100, e ovviamente cade anche The Wall che era entrato al n.90. Se non altro è in buona compagnia: escono dalla classifica anche – dopo due anni di permanenza consecutiva – Astroworld di Travis Scott, ma soprattutto il vintage di questo secolo, AM degli Arctic Monkeys. Del resto quando qualcosa di nuovo suona stravecchio, non c’è disputa – e proprio come recita l’etichetta dello Stravecchio Branca, Lucio Corsi ha “un colore ambrato con riflessi dorati e caldi, al naso risulta intenso e con note di vaniglia, il suo gusto è pieno e morbido con sentori di frutta secca”. Arrendetevi, sognando.