AMARGINE

Linkin Park, ovvero la verità sul mansplaining

Ammetto di averci messo un po’ ad arrivarci. E credo che ormai sia tardi: il dibattito sul mansplaining è finito, è stato adeguatamente soppesato e misurato e i risultati sono stati depositati nel Bureau International des Poids et Mesures di Sèvres, dove c’è anche il metro dei metri – che ospito in foto invece del mansplaining, la cui vanità non va vellicata. E perciò in fondo è meglio che il mio contributo rimanga qui a margine, perché con quanto sto per affermare, il mansplaining avrebbe aumentato le sue dimensioni (…tipico).

Perché lasciate che ve lo spieghi un uomo (hehe) 😊 , i maschi fanno mansplaining soprattutto ai maschi. Temo di essermene accorto solo quando ho smesso di mansplanare qualche anno fa – mai stato granché come mansplainer comunque, credo che le poche persone con cui ci ho provato tuttora ridano al ricordo. Se non che, quando il maschio sente che l’altro maschio non contrasta il suo mansplaining con altro mansplaining, scatta l’istinto mansgerarchico, e gli spiega la vita, spiega com’è, tutto quanto gli srotola della realtà la pellicola – ma senza il compiacimento narciso e paternalista che userebbe con le femmine. No, il mansplaining dell’uomo contro l’uomo è una continuazione del pugilato con altri mezzi. Ero a un ricevimento (non saprei come altro definirlo) qualche giorno addietro, e sono capitato in mezzo a tre coppie eterosessuali, che conoscevo poco o punto. Nel giro di cinque minuti, le tre femmine hanno indietreggiato rispetto a qualsiasi tipo di discussione, mentre i tre maschi mi hanno preso in mezzo e hanno iniziato a spiegarmi qualunque cosa spiegano i maschi: calcio, politica, automobili, alta finanza, app, sopravvivenza, musica. E anche quando su qualche argomento mi sembrava, sotto sotto, di avere informazioni più corrette o quanto meno più equilibrate di loro (sicuramente per errata cognizione del mio posto nel mondo), i tre uomini mi hanno mansplainato per mezz’ora sino ad esaurimento dei miei monosillabi.

Cosa c’entra questo, vi chiederete, con

I NUMERI UNO. From Zero, il primo album dei Linkin Park senza il suicida Chester Bennington, è entrato  al n.1 della classifica ITALIANA degli album, ed è pertanto il terzo album forestiero, in questo 2024, dal quale siam calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi. I Linkin Park si sono affiancati in turpe triade a Taylor Swift e Coldplay, infliggendo fiero smacco al n.2 Capo Plaza, che pure aveva avuto un’idea così originale: prendere il suo Ferite, uscito sei mesi fa, e aggiungere sette nuove feritine a quel capolavoro torreggiante, intitolandolo Ferite Deluxe – e chi può negare che sia un lusso vivere in quest’epoca impreziosita dal Giovane Fuoriclasse (…oltre che da migliaia di suoi colleghi che illuminano la #scena).

Dovete sapere, se non lo sapete già, che i Linkin Park sono uno di quei gruppi per i quali fareste meglio a non confessare un debole – parlo per esperienza diretta. Io li ho sempre trovati nel contempo interessanti, dico proprio come organismo, nonché piacevoli al mio gusto. E mi sento anche di difenderli criticamente, almeno fino a un certo punto. Poi, per qualunque artista o gruppo non equanimemente approvato che si apprezza per qualche motivo, c’è sempre (anche il critico più scemo lo sa, e lo frequento da sempre) un punto dove fermare la propria barchetta e tornare a riva, per evitare di ritrovarsi in mare aperto in mezzo agli squali.

E i Linkin Park, credetemi, attirano gli squali. Meno dei Coldplay, molto meno dei Nickelback, ma più dei Korn, e forse anche più degli U2. Non so bene cosa unisca band come queste, forse la loro capacità di eccitare gli hater è proporzionale al loro porsi un passo indietro rispetto a una presunta avanguardia dei loro generi. Intendo dire: se i Coldplay fossero molto più pop o i Korn fossero (stati) molto più hard, sarebbero perdonati. Credo sia una percezione del passo indietro, che irrita il vero uomo maschio che si riconosce nel passo avanti, spavaldo e fiero.

Ora. Non so se lo sapete, ma il nuovo cantante dei Linkin Park, è una tipa. Emily Armstrong, non giovanissima, come sostituto di Bennington è insieme un azzardo (ma chiunque lo sarebbe stato) e un colpo di genio. Perché nel contempo, dà agli hater quello che volevano (una FEMMINA, AAAH!!!) ma anche quello che non volevano: una tipa che emette un ringhio sordo oppure lancia il suo grido di guerra facendo roteare il suo spadone vocale come Valeria in Conan il Barbaro. Non è Bennington, che aveva una evidente disperazione nella voce in entrambe le modalità, e non si poteva non coglierla. Però c’è un rancore diverso in entrambi i suoi registri, e che il pubblico dei Linkin Park l’accogliesse con un certo sorpreso entusiasmo era tutt’altro che ovvio, i cantanti subentrati riescono a non affondare solo se inaugurano una nuova era anche espressiva per la band (AC/DC, Genesis… altri?). Cosa che non mi pare affatto stia succedendo con i Linkin Park. Però ho come la sensazione che un gruppo deprecato dai mansplainer del mondo uniti abbia avuto l’istintiva intuizione di fare del mansplaining la propria Stalingrado, costruendo le canzoni con Mike Shinoda che spiega la vita, spiega com’è, finché Emily Armstrong non esplode tutta la sua incapacità di ulteriore sopportazione, come dovremmo fare noi, donne e uomini mansplainati senza pietà.

IL RESTO DELLA TOP 10. Al terzo posto, alle spalle del Capo della Plaza, scende l’ex n.1 Olly, il Max Pezzali della Gen Z. E alle spalle di Olly, un po’ di Stanly e un po’ di big: Lazza, Kid Yugi, Anna Pepe, Geolier, SimbaLaRue, Night Skinny, Shiva. Escono invece dalla top 10 Zucchero, Tananai e The Cure – giacché un gruppo straniero a inquinare la purezza tricolore delle nostre orecchie basta e avanza.

ALTRI ARGOMENTI DI CONVERSAZIONE. Entra al n.47 Christmas di Michael Bublé, perché gli esercizi pubblici hanno bisogno dei nostri soldi e il Black Friday da solo non basta e non avanza. Inizia la discesa NordSudOvestEst degli 883 che scende dal n.27 al 33. A meno che non ci attenda una puntata natalizia con la reunion. Escono dalla classifica Amedeo Minghi, dopo una settimana, e il suo corrispettivo americano Eminem. Che è strano, perché era lì al n.24, si aggirava da nove settimane in classifica con la sua versione deluxe, poi bang – è proprio vero che superata una certa età, può capitare che te ne vai di colpo e senza un perché.

Nella settimana della Milano Music Week le tre megamultinazionali dei suonini si sono accontentate del 90% della musica che ci obbligano ad ascoltare, e io credo che sarebbe giusto da parte nostra apprezzare questo gesto generoso: Universal ha la distribuzione di 37 album in classifica, Warner 27, Sony 24. Sapete, a me questa idea della “distribuzione” porta sempre un sorriso (è qui, vedete? 😊 ). Come quando distribuivano i cosi tondi ai negozianti paesello per paesello. Siccome il termine si usa ancora io mi immagino oggi i messi delle megamultinazionali mentre consegnano con grande serietà i file, in un mazzetto da 30mila al giorno, contenenti album fatti da

SEDICENTI SINGOLI: Islanda è il singolo che riporta i Pinguini Piacioni al n.1, permettendogli di detronizzare Per Due Come Noi di Olly e Manga (n.2), mentre Ora Che Non Ho Più Te ritorna al n.3, con Zèsare Cremonini che ormai è pronto a prendersi, col suo sorriso (questo 😊 ) il primato tra gli album. E quindi ci ritroveremo qui a mirare le gesta di un altro ragazzone degli anni 90, come quell’impagabile Max Pezzali. Chi sarà il prossimo? Io avrei due richieste: i Dhamm e Danilo Amerio

(vedo invece che mi hanno ripescato Giorgia. Davvero vende più telefoni di Danilo Amerio?) (mi pare impossibile)

C’è una produzione indipendente in top 10, ed è Sal Da Vinci con Rossetto & Caffè, al n.8. Ecco, sì, anch’io penso che dovrebbe stare molto più in alto, a chi non piace il romanticismo dei versi “Sei la mia gelosia, sei passione, dolore e follia. Guarda che luna: prima di andare via vuole vederti ancora mia! Un altro bacio, ‘na sigaretta je e te…
Sembra quasi di fumare il tuo profumo”.

(il colpo di coda finale non ve lo aspettavate, vero?) (ma no, il colpo di coda vero e proprio è, e sarà sempre, quello dei)

PINFLOI. The Dark Side Of The Moon sale dal n.63 al 45, direi che sta un po’ scaldando i motori per Natale, che è del resto il suo momento, perché The Dark Side Of The Moon è anche The Dark Side Of The Ferragosto e quindi delle azzeccatissime hit estive. Non so come viviate il Natale, ma se permettete vorrei darvi un motivo per apprezzarlo: è tutto ciò che si frappone tra noi e Sanremo, un fragile velo di speranza destinato a essere travolto da un orrore immondo e brutale. E completamente ITALIANO. Ma ovviamente lo dico col sorriso: 😊 Grazie per aver letto fin qui, a presto.

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