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Lazza, Montanelli e il contesto che ci assolve tutti – ClassificaGeneration, stagione III ep. 8

Re Mida di Lazza entra al n.1 della classifica FIMI dei presunti album.
Devo dirlo, Re Mida di Lazza mi piace.
Devo dirlo, Re Mida di Lazza mi è insopportabile.
Devo dirlo, Re Mida è musicalmente piuttosto eclettico e inventivo e nel rap italiano non capita più così spesso; gioca con gli stili sia nelle basi (gran lavoro di Low Kidd, iscritto al partito Machete di Salmo) che nel flow e pare dimostrare che chi è cresciuto col rap non è indifferente alle esigenze di rinnovamento di cui la trap è (anche) un sintomo.
Devo dirlo, Re Mida è pieno di rime irritanti e prevedibili che mettono nel mirino un 13enne maschio più ottuso della media dei coetanei, molto felice della propria relazione birichina con le prime droghe, e incline ad annuire come un idiota quando, per distinguersi dagli altri rapper, Jacopo Lazzarini (Milano, 1993) nomina

Gucci, Rolex, Netflix, Burberry, Crystal, Nike, Balmain, Supreme, Off-White, iPhone, Cazal, Moschino, Montblanc, Spotify, Fendi, Louboutin, Rolex (ancora), Dom Pérignon, Dior, Hermès, Margiela, Gucci (ancora), Vivienne Westwood, Armani, Goyard, Audemars Piguet, Heron Preston, Maharishi, Patek Philippe, Cartier, iPhone (ancora), Dior (ancora), Adidas, Céline (la griffe), Coelho (no, questo invece è lo scrittore).

(ma non mi posso far abbagliare dalla comparsa di un Coelho come se scrivessi su) (nome di giornale di sinistra)

Devo dirlo, Re Mida non è solo product placement: passo a sottoporvi cinque esempi di liriche Lazziane.

«Baby, non voglio che piangi, lo so, amo le donne che s’offrono (eh), con l’apostrofo (eh)» (Gucci ski mask)
«Troia, lo so, volevi superman: sono cresciuto senza supereroi; sai che ho puntato tutto su di me, e ho fatto bene con il senno di poi» (Superman)
«Voglio un Audemars Piguet, oh, perché sto tempo è dinero e io lo spendo con te, oh» (Porto Cervo)
«Non è obbligatorio avere un diploma per fare storia; ho un paio di iPhone, vuoi dimostrazioni?» (2 cellulari)
«Parlo a bocca piena pure se ti fa schifo, ho una iatro di fianco: te lo dice il mio polso che lei non è il mio tipo. Ti alzo un dito medio come in Piazza Affari (ehi)» (Povero te)

Avrete notato il termine iatro: tra le varie troie e pute dev’essere una ragazza a cui tiene se la chiama iatro perché a Zzala, vedete, piace parlare riocontra. Voi lo facevate alle medie? Che ridere, vero?
Ora.
Come è possibile che Zzala mi vada al n.1 dicendo sempre le stesse tre cose che altri ci dicono da anni, cioè che ha fatto il dinero e ne vuole ancora di più, che è pieno di troie e che noi possiamo solo invidiarne l’assoluta grandezza? Come è possibile che il pubblico del rap non si annoi come a un campionato mondiale di Scala 40? Mi posso dare due risposte.
La prima è che come pesci in una boccia, abbiano imparato ad apprezzare le microvariazioni formali nel contesto. Perché tutto alla fine si giustifica col contesto. Se sei in quel contesto, si fa così. Tipo Montanelli negli anni 30 in Etiopia, quando ha sposato/comprato una ragazza abissina 12enne. E in effetti è vero, il contesto era quello: colonialismo e gas e vite umane che non valevano niente e bulli in nero che menavano chi non era d’accordo e popoli spinti a tornare in trincea a sbudellarsi per anni. Poi il contesto è cambiato ma lui 40 anni dopo invece di dire “Ok, era così ma ora sono un po’ imbarazzato a ripensarci”, sottolineava che non bisogna contestare i contesti.
La seconda è che non esista più realmente “un pubblico del rap”. Che ormai il rap sia diventato una fase di passaggio, per un’età media scesa così tanto che semplicemente non si possono aver già sentito altri che già si baloccavano con troie, canne e Rolex (e battute un po’ migliori).
Devo dirlo, Re Mida mi ha anche indotto a chiedermi se questa coesistenza tra l’immenso niente da dire con le parole e le molte cose che prova a dire con la musica dipenda dal fatto che frequentando il Conservatorio, il giovane Jacopo Lazzarini ha finito per maneggiare benissimo il puro fatto musicale dell’hip-hop. Tanto bene da mettere in secondo piano la necessità che le frasi stiano in piedi – se non come suoni, come adesione stilistica ai paletti che il rap italiano ha fissato per se stesso e nei quali sbatte continuamente il naso (ma convinto che sia una figata). Forse non sono il solo a pensarlo: in uno dei featuring, Fabri Fibra precisa che il suo sponsor è artisticamente preferibile (“Adidas è migliore di Nike, eh”), e subito dopo ci va giù ineffabile: “Questo pezzo neanche so di che parla”. (LOL)
(il LOL è mio, non di Fibra)

Devo dirlo (e concludo): sarebbe interessante allora se Lazza facesse il passo successivo e inventasse un linguaggio che non esiste, inventato e insensato se non per fini musicali, tipo Sigur Ròs o Cocteau Twins. Oppure, ancora meglio, se togliesse soggetti, verbi e complementi ed elencasse semplicemente tutti i prodotti significativi della nostra civiltà. O viltà-ci.

Resto della top 10. Mahmood scala al n.2, Ultimo scala al n.3, e in fin dei conti la top 10 non conosce alcun tipo di rivoluzione eccetto quella prevedibile della celerissima uscita dei Dream Theater (dal n.4 al n. 25). Restano quindi in alta classifica la Sanremo Youth (Mahmood, Il Volo, Ultimo con due album), i Queen (due album), Salmo, Lady Gaga e Marco Mengoni.

Altri argomenti di conversazione. Prima diecina mancata per un pelo per Canova (n.11), ingresso al n.15 per Eugenio In Via Di Gioia.
L’album da più tempo in classifica è SEMPRE Hellvisback Platinum di Salmo che compie 161 settimane passando dal n.56 al 58; lo seguono The dark side of the moon (122 settimane) e l’ultimo Ed Sheeran (105 settimane).
Album distribuiti o pubblicati da Universal: 48 su 100.
Escono di classifica Umberto Maria Giardini aka Moltheni (dopo 1 settimana), un altro contingente dei settecento cantanti in gara a Sanremo ovvero Einar (dopo 2 settimane), la raccolta dei Zen Circus (dopo 3 settimane), e soprattutto Arisa (dopo 3 settimane). Federica Carta tiene, ma crolla dal n.13 all’84.
Esce invece dalla top 100 di Andrea Bocelli, dopo 18 settimane. Ed è uscito anche dalla classifica USA e da quella UK. Nella quale Tom Walker (l’Ed Sheeran scozzese, ancora più blando) è n.1 e tre album in top 10 sono colonne sonore. Il collasso della musica britannica in questo decennio è un fenomeno nascosto a malapena da Sheeran e Adele: un giorno qualcuno ve ne parlerà (ok, temo che sarò sempre io, gli altri non hanno tempo da perdere con queste cose).

Sedicenti singoli. Alle spalle di Soldi di Mahmood vincitrice di Sanremo sale di una posizione Shallow di Gaga e Bradley Cooper vincitrice dell’Oscar, e si inerpica al n.3 il tormentone estivo Con Calma di Daddy Yankee feat. Snow. Niente singoli degni di nota per il capo degli album Lazza, la cui Netflix se ne sta al n.19. Prestigioso ingresso al n.10 per la task force Takagi & Ketra feat. TommasoParadiso feat. Jovanotti feat. Calcutta con La luna e la gatta. Ma va anche peggio a un paio di nomi che non sono più tra i primi cento: Anastasio, il cui secondo singolo Correre – presentato a Sanremo – ha resistito due settimane, e Fedez, n.29 tra gli album, mentre per quanto riguarda i singoli è proprio passato a

Miglior vita. Nove album su cento sono di artisti o gruppi guidati da artisti che hanno abbandonato questa valle di Anni Novanta. Grosso calo di consensi per Mia Martini, la cui raccolta è passata dal n.23 al n.80. Mai, mai uscire dalla televisione, se lo fate siete morti. A meno che ovviamente non siate i

Pinfloi. The dark side of the moon (SI’ TAV) beccheggia dal n.50 al n.46, mentre The wall (NO TAV) scende dal n.79 all’89. E voi sapete meglio di me che è tramite questi due dischi che il POPOLO parla agli uomini eletti dalla GENTE. Quanto a me, gente, vi saluto e ringrazio per aver letto fin qui. Bacioni.