GEOLIER. Avete presente, giusto? Essendo passato dalla Sacra Kermesse, è uno dei sei-sette rapper realmente conosciuti anche al di fuori del quartierone degli ascoltatori di rap italiano.
Geolier. Cioè Emanuele Palumbo, 23 anni. È in fase martello. Tenete presente che solo in questa prima metà del 2024, cioè dopo un 2023 in cui il suo album Il coraggio dei bambini è stato il più ascoltato dagli ITALIANI (ed è tuttora n.22 nella classifica FIMI), Geolier
– Ha partecipato alla Sacra Kermesse. Dove è arrivato (cough, cough) secondo;
– Ne ha ricevuto consistente esposizione mediatica;
– Ed esposizione aumentata di consistenza per le polemiche sistemiche sul veto messo alla sua vittoria da parte dei settantaquattro milioni di giornalisti musicali accreditati alla Sacra Kermesse;
– Ed esposizione aumentata per le polemiche sistemiche sull’eventuale sottinteso veto alla Napoletanità tutta da parte di questa Italia tutta che aaah, i Napoletani – si però eeeh, i Napoletani;
– Ruolo di giudice ed emblema della Napoletanità in uno show di Netflix;
– Imminenza di tre sold out in uno stadio. Putacaso, quello di Napoli;
– Esposizione mediatica causata dalla rottura con la fidanzata – pensate un po’: una influencer. Può bastare? No. Non a
Geolier. Non contento, prima che questo 2024 giri la boa del primo semestre, fa uscire Dio lo sa. Album contenente 21 tracce – a riprova che Geolier è in fase-martello. Dio lo sa va, ovviamente, al
Numero Uno. Ora. Ripetere i pensierini su Geolier apparsi in questa rubrica un anno fa sarebbe utile per chi la legge saltuariamente o mai. Noioso per chi la legge con applicazione encomiabile.
D’altra parte, forse per un problema di autostima, fatico a credere che coloro che la leggono con la citata applicazione encomiabile, si ricordino cosa diavolo ho scritto già due minuti dopo che si sono applicati a leggerla. Quindi, farò un rapidissimo riepilogo dei tre pensierini-base.
1. Ove vi fosse sfuggito, Geolier è di Napoli, rappa in dialetto napoletano, assurge a eroe di Napoli e della napoletanità.
(questo chiama in causa un approccio critico particolare?) (eh, qui vi voglio)
2. I rapper di Milano sono quasi sempre rettili che andrebbero schiaffati in galera e ivi schiaffeggiati a intervalli regolari per la loro turpitudine – e quando non lo sono, in realtà (purtroppo per loro) molto spesso, simulano disperatamente di essere degli schifosi. Geolier, che è di Napoli (ove vi fosse sfuggito) è invece ‘nu buono guaglione. Tutto questo è caso, o necessità? Milano spara e i rapper odiano, Napoli spara e i rapper amano?
3. Se io sono uno che per guardare Gomorra ha bisogno dei sottotitoli, uno che rappa in napoletano mi può arrivare lo stesso ad anema e core? Che poi, io capisco un terzo di quello che dice la triveneta Madame che in teoria rappa in italiano, e un terzo di quello che dice Tony Effe – un terzo, e non solo un sesto, grazie al fatto che chiunque sia cresciuto in Italia va incontro abbastanza automaticamente all’esiggénza adàviga dell’abbitànti dell’Urbe de gambia le gonsonandi o triplicàlle, e toje sillabe perché anvedi che mo e stica e daje.
Dio lo sa non aggiunge niente a questi pensierini dell’anno scorso, ma li rafforza. Ma del resto la sensazione è che Geolier non sia per caso in fase-martello: è rafforzato anche lui, sulle ali di questo ruolo di supereroe col grande potere e la grande responsabilità nei confronti della sua città che è Napoli, ove vi fosse sfuggito. Sono andato a dare un’occhiata ai testi, e non ho niente da obiettare, se non forse il fatto che non mi sembra che la sua poetica sia attraversata da impennate particolari, tranne forse Nu parl, nu sent, nu vec, ma anche lì, meh. Chiaramente Emanuele Palumbo, 23 anni (non così tanti, vero?) si cala volentieri nella parte del buono guaglione che chiaramente gli è richiesta. Geolier non ha nella brillantezza né in una vivace acidità le sue armi vincenti. Musicalmente è piacevole, ma senza esagerare, dopo un po’ diventa ripetitivo come il rapper italiano medio. Il suo album con ventuno tracce totalizza ventuno produttori (non mi ricordo se ho contato Takagi & Ketra come uno o come due). Nelle ventuno tracce ci sono alcuni ospiti che ogni giorno fanno una decina di partecipazioni straordinarie in album di altri colleghi (Lazza, Sferoso Famoso, Gué Pequeno, Shiva), c’è Ultimo al quale somiglia in modo preoccupante nella candidatura ostentata a Eroe Del Popolo, e ci sono i ragazzi della città (che è Napoli) in nome della napoletanità (Yung Snapp, Mv Killa, Lele Blade), e ForzaNapoli, jamm’, eccetera.
Lo devo ammettere, questo album mi lascia indifferente, non mi infastidisce nemmeno. Ogni cosa in Geolier è troppo caricata di una contestualizzazione partenopea che no, non credo sia inevitabile per forza di cose, per i 99 Posse non lo era ma poi non lo era neanche per Pino Daniele e nemmeno per Edoardo Bennato e – che diamine, non lo era neppure per Renato Carosone. Se per Geolier lo è, ebbene lo è per una sua scelta. Comunque vedo che malgrado il siluro ricevuto dai 99 milioni di nomi di giornalisti musicali a Sanremo, tutti parlano bene di Dio lo sa, nessuno gli trova difetti, quindi immagino sia un problema mio. Lo è? Ho un problema con Napoli? Ma mi faccino il piacere. L’unico problema l’ho avuto con il tipo che a gennaio mentre passavo pe’ Tuledo voleva investirmi sulle strisce pedonali – e infatti quando ha tirato giù il finestrino ci siamo detti reciprocamente: “Problemi?” (sempre utile sintesi dell’espressione “Se vuoi fare a botte davanti a tutti io pur avendo di molto meglio da fare sarei così imbecille da non tirarmi indietro, quindi vedi tu”). Io personalmente posso anche trovare Napoli un luogo fuori dall’ordinario – ma non ditemi che Genova o Torino o Palermo o Milano o Bologna o Bari sono posti ordinari, credo che messo con le spalle al muro indicherei come città italiana ordinaria la sola Varese, e non è certo per caso che sta buttando fuori tutti questi rapper furibondi. Se devo riconoscere a Geolier il merito di aver dato una botta ai neomelodici, per me va bene. Ma è ricominciare da uno.
RESTO DELLA TOP TEN. Alle spalle di Geolier, non succede molto: sul podio ci sono sempre Tony Effe (n.2) e Tedua (n.3), mentre Angelina Mango che era n.1, proprio lei che i trentaduemila miliardi di giornalisti musicali accreditati a Sanremo hanno preferito all’attuale n.1, scende dal podio al quarto posto. Alle sue spalle ci sono Ultimo (n.5) e Piero Pelù che debutta al numero seieuheeehuouh! Chiudono la nobile diecina Capo Plaza, Rose Villain, Kid Yugi e Billie Eilish. Sì, tra i primi dieci presunti album più ascoltati dagli ITALIANI ci sono ben tre femmine, e una addirittura non ITALIANA. Ma forse con questo siamo già tra gli
ALTRI ARGOMENTI DI CONVERSAZIONE. Escono dalla top 10 Baby Gang e, dopo una sola settimana, Madman. Al n.25 della classifica irrompe Bon Jovi – insomma, irrompe con molta discrezione. Mentre esce di classifica dopo due settimane di permanenza l’ultimo album di Lenny Kravitz. Chissà se Bon Jovi dura di più. Poi, come forse prevedevate, Re Mida di Lazza batte il suo stesso record di settimane consecutive in classifica, salendo a 276 e sempre seguito dai Pinguini Piacioni il cui Fuori dall’hype è in top 100 da 271 settimane. Però inizio a preoccuparmi per l’unico album straniero della dozzina di lungodegenti, ovvero After Hours di The Weeknd, che scivola pericolosamente al n.93 e potrebbe lasciarci dopo 221 settimane, insomma poco dopo aver superato i quattro anni in classifica, e che sono quattro anni, su.
SEDICENTI SINGOLI. Credo di avervi già parlato di Geolier. Ebbene, a me risultano numeri piuttosto alti su Spotify, ma forse non è così sulle altre piattaforme, perché di tutti i suoi 45 giri, solo uno si affaccia timido al n.6 (Io t’o giur’, con la tipica partecipazione amichevole – e con regolare fattura, si presume – di Sferoso Famoso). È il suo solo singolo di successo (escluso lui medesimo, per quella faccenda dell’influencer di cui sopra). Tutti gli altri brani di Dio Lo Sa irrompono con estrema educazione dal n.12 al 20. D’altra parte, tra gli ITALIANI furoreggia Sesso e Samba, e nessuno può dirsi granché sorpreso. La prestigiosa composizione di Tony Effe & Gaia precede 30°C di Anna, in salita esponenziale, e la solita Come un tuono di Rose Villain & Gué (Pequeno), che potrebbe aver iniziato la discesa. Ma giugno è agli inizi, e la discesa vera nell’inferno delle azzeccatissime hit estive deve ancora cominciare. Ho finito? No, penso di aver ancora qualcosa da dire. Sui
PINFLOI. The dark side of the moon scende al n.84. Mentre AM degli Arctic Monkeys risale al n.90, e devo confessare che ora che gli ITALIANI hanno abbandonato The Wall, dando l’addio ai cieli azzurri e l’addio al mondo crudele, sono tentato di considerare AM un disco dei Pinfloi – una specie di AMmagamma. Bòn, grazie per aver letto fin qui, a presto.