AMARGINE

ClassificaGeneration Stagione III ep. 3. Fedez e Di Maio: guardando dal trono

Allora, Fedez n.1, con Paranoia airlines. Primo album solista a 4 anni da Pop-hoolista. Che differenza anche tra i titoli, vero? Nel 2015 Fedez si schierava a favore dei NoExpo, e già in qualità di ragazzo-copertina del Movimento, avendone scritto l’inno Non sono partito: “Non ti fidi più di nulla ma tu prova! Tu prova! Dalla marcia su Roma fino al marcio su Roma. C’è solo un movimento che va avanti all’infinito”. Esplicitamente, diceva «Nella non scelta della politica italiana, la scelta migliore è il M5S».
Quel Federico Lucia cresciuto a Buccinasco (MI) era un giovane che si sentiva sagace e inarrestabile, sferzante e compiaciuto del proprio essere il Soggetto Nuovo proprio come una buona fetta di sostenitori dell’attuale partito di maggioranza relativa.
Venerdì scorso, 3 secondi dopo l’uscita di Paranoia airlines, sono subito uscite stroncature cruente – in diversi casi, temo, un po’ in malafedez. Da notare un paio di stroncature un filo dispiaciute, e di conio illustre: Claudio Todesco su Rockol, Elia Alovisi su Noisey. E tuttavia, non ne ho trovata alcuna che si gingillasse col fattore politico.
Bene.
Campo libero.

Paranoia airlines è cupo e malmostoso. Pare il disco di uno che medita di spararsi come Kurt Cobain ma lasciando, invece che un biglietto che cita Neil Young, un tweet che tagga Travaglio. Su 15 brani, solo due sono vagamente divertiti. Se qualcuno ricorda il Fedez di Mr. Brainwash o anche solo quei titoli che scriveva ghignettando (Voglio averti account, Non c’è due senza trash, Cardinal chic, Veleno per topic) stenterà a riconoscerlo.
Perché guardandosi attorno potrebbe facilmente buttarla in caciara con un po’ di trappismo (come tutti), invece in Che cazzo ridi concede solo 28 secondi a testa per Tedua e Trippie Redd (cosa che ricorda un po’ quando per Roger Rabbit la Warner impose che Bugs Bunny avesse lo stesso numero di secondi di Mickey Mouse). Oppure (magari con qualche beat tizianoferrico del nuovo produttore Michele Canova) potrebbe andare verso il pop come aveva già fatto nei duettini con Francesca Michielin; ma lui no, costringe Annalisa (ripeto, Annalisa) nella mugugnosa Fuck the noia. Non che manchino le frasi piacione per mandare in brodo la sua base elettorale, ma sono poche e buttate lì a casaccio come se il suo spindoctor Matteo Grandi fosse entrato in studio a scuoterlo:

“Le porte che apri, le bocche che chiudi
Le notti ubriache, si fotte da nudi
Le botte che paghi, le volte in cui sudi…
Ci estingueremo noi prima dei mutui”
(Paranoia airlines)
“Sono cresciuto, non entro più nel personaggio
Tanto sto parlando ad un bambino scemo
L’Italia va cambiata, il pannolino è pieno”
(Buongiornissimo)

In tutti i pezzi o quasi, affiora una delusione, un vuoto esistenziale che lo mettono tra il Tony Montana di Scarface e il Max Pezzali de Gli anni – in pratica, dopo aver crivellato di colpi Mauro Repetto. Di colpo, senza che qualcuno glielo abbia chiesto, smette di bullarsi del proprio successo e di infierire su noi rosikoni, e anche se ogni tanto prova a inscenare una narrazione jovanottescamente dolciaftra e folare della vita in due – pardon, in tre (“Separati siamo stelle, ma abbracciati siamo il sole, yeah”) tra La donna, il sogno e il grande incubo, sprofonda nel terzo. “La voglia di tornare a girare in motorino in tre senza casco, ritornare a far gli scemi come tutto era iniziato”. “Il cuore che ho lasciato sulla 91”. “Cosa fai di venerdì? Dai fatti bella, passo a deluderti”. “Non tornerà la primavera. Non tornerà la prima media”.
(capite cosa intendo dire?) (sembra uno che è stato mollato sia da Rovazzi che da J-Ax nel giro di sei mesi, e gli sono rimasti solo la moglie e la mamma) (e Michele Canova)

“Ora che la realtà è distante
Qui non c’è niente da invidiare
Ora che ho una casa più grande
Ma meno gente da invitare”.
(Fuckthenoia)

Vorrei andare avanti con gli esempi ma sono troppi. E oltre a non esserci più politica, non c’è nessuna delle gag scemone con cui buffoneggiava spalla a spalla (o spalla a ombelico, più realisticamente) con Gué Pequeno quando non si schifavano (“Sei venuto con una escort? No, una panda station wagon”). Soltanto, alla fine, TVTB, pezzo da maschi pubescenti lobotomizzati con la Dark Polo Gang, tipo lo zio che invita i nipoti e si sente tornare il cretinone 13enne che era, ulteriore momento-nostalgia mentre altrove

“Non so nemmeno mai davvero dove sto
Mi piace più il mondo se lo guardo dall’iPhone
Perché posso spegnerlo se mi va per un po’
In fondo è una pillola il tasto con scritto: off”
(Un posto bellissimo)

Voi direte. Sta cercando di riprendere una credibilità con la vecchia gherminella della fama e del denaro che non danno la felicità. Sta disperatamente invocando radici musicali nobili e rock (i Blink-182 di Adam’s song o “i Green Day con quella canzone che poi ti svegli ed è già ottobre”). Sta prendendo tempo in vista di una transizione a un qualche discorso adulto? Sta buttando fuori un album alla svelta prima che la pacchia finisca? («Non penso ci sarà un tour estivo perché la vita di questo disco non deve andare troppo in là»). Sta cercando di mostrarsi tormentato per recuperare punti – e ne ha persi, sapete – dopo la gaffe antipopulista della festa al supermercato? Con la quale entra in gioco la questione politica. Come direbbe il sommo Venditti.

L’appoggio di Fedez al Movimento. Era stato un ottimo affare per ambedue, visto che per quanto possiate detestarlo, Federico Lucia è un filo più lucido di Piero Pelù nell’argomentare (…e anche di diversi ministri e sottosegretari, se è per questo) (il vostro “Ci vuole poco” è previsto quanto ineccepibile).
Ma ora, raggiunto il governo, la fama, i ministeri, la celebrità, le leve del comando e il matrimonio più glamour possibile, la stima di Putin e il trono di Vanity Fair che prima le lettrici semigiovani conferivano a Biagio Antonacci, ecco che arrivati in cima alla montagna Fedez e una parte consistente dell’elettorato grillino, quella non fanatica, avvertono che qualcosa non va. Che sembrava tutto più facile, durante la salita (“Siamo rivoluzionari fino alla fine, ma poi infrangiamo più promesse che vetrine”). E addirittura invidiano il fascismo maiale del bulletto degli Interni e il bestionismo cialtrone del vecchio Feltri: gli invidiano quella mancanza di responsabilità perché loro di colpo – sarà il figlio appena nato, sarà la recessione – iniziano a pensare che era così bello, esserne Liberi liberi. E cosa diventò, cosa diventò, quella voglia che avevi in più? Eccetera.
Lo ammetto. Quando un milionario diventa lagnoso mi è difficile infierire, penso che si stia già flagellando costringendosi ad ascoltarsi (io ai Negramaro farei ascoltare tutto il tempo i Negramaro) (ma non escludo che il mio ragionamento sia fallace) (e poi dovrei farlo per tutti – che so, per esempio per Thom Yorke, il cui piagnucolìo caragnante mi ha regalato gli unici momenti di sollazzo del brodoso Suspiria di Guadagnino). Sinceramente non so se Fedez rimarrà al n.1 anche la prossima settimana. I numeri finora non sono quelli di un trionfo, specie nello streaming, e potrebbe arrivare qualcuno con un semplice 17% a togliergli il red carpet da sotto i piedi. Se invece ci resterà, buon per lui. Ma più dell’andamento dell’album, sono curioso di vedere come questo disco musicalmente torvo, faticoso e depresso si concilierà con la narrazione abituale fatta di foto dalle Maldive, ostentazione degli addominali e marchette per capi di abbigliamento punitivi.

Resto della top 10. Al n.2, dopo le prime 4 settimane dell’anno in vetta, Playlist di Salmo, mentre Non abbiamo armi di Ermal Meta entra al n.3 un anno dopo essere uscito. Ovviamente è una nuova versione più gonfia, [3 Cd + 1 Dvd] con il live e due inediti, a 30 euro circa. Slitta al n.4 Peter Pan di Ultimo, resiste al n.5 la Platinum collection dei Queen, presenti anche al n.8 con la colonna sonora di Bohemian rhapsody. Debuttano al n.6 Noi siamo Afterhours, e al n.7 Stanza singola di Franco126. Entra al n.9 (ma al n.1 dei vinili) Adrian, del cartone animato più vecchio del mondo; è ancora superospite della top 10, per quanto al decimo posto, Marco Mengoni.

Altri argomenti di conversazione. Escono dalla top 10 Pianeti di Ultimo (n.15), Capo Plaza (n.13), Maneskin (n.11), Sfera Ebbasta (n.12), la colonna sonora di A star is born, Dani Faiv che piomba dal n.7 al n.51. In un’altra violenta oscillazione nel gusto di noi giovani, Anastasio dal n.11 al n.46 con tutto il mondo di Anastasio nel quale ci aveva fatto entrare. Entrano al n.14 i Backstreet Boys, al n.75 Steve Hackett, al n.79 i Tre Allegri Ragazzi Morti, al n.93 il live degli Skunk Anansie. Escono di classifica ben tre album di Fabrizio De André, il nuovo James Blake (dopo una settimana) e Heart to mouth di LP dopo sole sette settimane. LP incidentalmente è l’altra ospite pop internazionale di Fedez dopo Zara Larsson. Infine ÷ di Ed Sheeran entra nel ristretto club degli album da più di 100 settimane in classifica, proprio la settimana in cui Hellvisback di Salmo festeggia i tre anni di permanenza; lo seguono The dark side of the moon con 117 e Vascononostop con 116.

Sedicenti singoli. Entra al n.1 TVTB di Fedez feat. DarkPoloGang, che forse avete ascoltato a vostra insaputa mentre dormivate, grazie a “un’impattante campagna di advertising su Spotify” (cit.) che sta suscitando qualche sospettino. Scende al n.2 È sempre bello di Coez che precede Calma di Pedro Capò feat. Farruko. Incidentalmente, solo un altro singolo di Fedez, Kim & Kanye, con Emis Killa, è entrato in top 10. Diversi brani – per esempio, Buongiornissimo – sono sotto i 350mila ascolti. Non lo dico per fomentare gli hater. Tra i quali vanno annoverati personaggi eccellentissimi e ripieni di bellezza tracotante.

Sto semplicemente chiudendo la considerazione sul n.1 della prossima settimana. Perché considerata la fanbase che attribuivamo a Fedez, non sta andando benonissimo. Per ora. Poi magari la vita gli risulterà migliore.

Miglior vita. Nove album di artisti o gruppi guidati da artisti che hanno abbandonato questa valle di Netflix. Tenete conto che i Queen ne vantano ben sei (Bismillah!): accanto alle raccolte ci sono A night at the opera al n.33 e addirittura News of the world entrato al n.95. Mi chiedo se A night at the opera diventerà una presenza costante tipo, non so, certi album dei

Pinfloi. Calo quasi parallelo, con perdita di dieci punti per The dark side of the moon (dal n.46 al n.56) e tredici per The wall (dal n.54 al 67). Ma è colpa della casa discografica precedente.