AMARGINE

30enni italiani e industria del cretinismo – TheClassifica 18/2025

Perdonate la prolungata assenza. Sapete, tutti quei ponti, e tutta quell’acqua che ci passava sotto – ma come dice il Papa, “Servono ponti”. Questa rubrica vi deve una settimana, sicché oggi doppia dose. Eccovi il primo dei due

NUMERO UNO: ACHILLE LAURO (l’altra settimana). Credo che sia uno dei pochi numeriuno che non ho bisogno di spiegarvi, e gliene sono grato. Il suo target è largo, i brand ai quali si è noleggiato nella sua carriera di testimonial imbragano più generazioni, dalla storica partnership col marchio Gucci (prima di passare a Dolce & Gabbana) al recentissimo contratto con McDonald’s. Non sacrificherò righe per accennare al suo album Comuni Mortali: le sue canzoni, fin da quando si proponeva come rapper, sono sempre state degli spot, rutilanti di claim sgangherati, sia nella fase rapper che in quella da erede di MiticoVasco, tutto un abuso di parole iconiche a caso (“Rolls Royce! Sì come Marilyn Monroe! Chitarra in perla, Billie Joe! Non è musica, è un Mirò! È Axl Rose, uh, Rolling Stones! Non è un drink, è Paul Gascoigne!”).

 

In questa sua fase “Renato Zero da Vecchio” (…diranno che sei vecchio), Lauro è noiosissimo e si prende sul serissimo – cosa che lo mette finalmente in sintonia con i mille consulenti di marketing pagati per posizionare ogni cosa che fa. Il risultato principale, è una quantità infinita di comunicati stampa che scolpiscono l’iconicità di Lauro De Marinis, 35enne di ottima famiglia cresciuto a Roma (ma da casa mia vedo il palazzo dove abita ad Affori). Per esempio, lo spot per McDonald’s lo vede “protagonista di una narrazione intensa e ispirazionale, ambientata in una cornice notturna e accompagnata da una soundtrack unica: uno dei brani più profondi dell’album appena uscito. Nello spot, comunicazione ed espressione artistica si fondono per restituire una visione di ciò che oggi può essere considerato un’icona: sono gli sguardi e il gusto degli altri – della collettività – a eleggere ciò che è destinato a durare nel tempo. La tensione narrativa culmina con un gesto semplice ma emblematico “Cortesemente, un Crispy McBacon”, un ordine che si carica di significato. Ed è in questo momento che il panino si afferma come icona”.

Sì, lo so. È in questo momento, che vorreste condannare tutti i professori delle scuole di marketing e comunicazione a pulire diuturnamente i marciapiedi, specie quelli preferiti dai cani. I comunicati che preferisco sono quelli che emana lui personalmente: sembrano scritti da Michael Scott di The Office, una cornucopia di concetti pomposi per un mondo che non dispone di ironia (“Non c’è da aver paura di essere ridicoli”, affermò tanti anni fa Adam Ant, e anche lui ci aveva gli scarbocchi in faccia). Mi spiace offrirvene solo una piccola selezione.

Però la cosa interessante è che Lauro, cercando di accreditarsi anche tra gli adulti, ha perseguito la sua ricerca della visibilità usando modalità di comunicazione tipiche dei decenni scorsi. Uno di questi, è la continua produzione di manifesti con cui si candida a fare da intermediario tra gli adulti e le giovani generazioni – perché a sessant’anni da Nessuno mi può giudicare, a questo paesino torna a servire un Caterino Caselli che spieghi i giovani a chi ce li ha in casa, oppure a chi basa il suo mestiere su di loro, dagli insegnanti agli opinionisti ai produttori di bevande imbevibili. Altrettanto interessante (e involontariamente ghignosa) è la sua continua ricerca di benemerenze sociali e civiche, una modalità Fonopoli incessante, che attua in ogni sede istituzionale possibile, incluse le Nazioni Unite, con legioni di brand che lo comunicano comunicandosi. E tutto questo messo assieme, rende la sua strategia opposta a quella degli altri due Numeri Uno.

NUMERI UNO (di questa settimana ma anche tre settimane fa). Sferoso e Shivoso non sentono alcuna esigenza di spiegare quello che fanno – del resto il loro prodotto è destinato a 13enni per i quali una lobotomia sarebbe un grosso progresso intellettuale. Nessuna intervista, giusto una strategica foto all’uscita dal tribunale (…birbe birbe birbe). La loro attività di imprenditori delle rimine sulle pistoline e le droghine e i vestitini costosini, destinate a maschi mediamente cretini (nel senso delle scuole medie) vive dell’appeal sfidante dei due 30enni milanesi – una volta li si sarebbe chiamati yuppies, oggi forse sono rappies. Se Lauro ha fa quello che crea ponti tra i ragazzi e i loro genitori, Shiva e Sfera Ebbasta giocano il vecchio game di fornire al loro target brufoloso tutto quanto li può fare sentire minacciosi e ribelli nei confronti dei loro genitori. Il loro album congiunto Santana Money Gang è andato immancabilmente al n.1, poi ha ceduto il posto ad Achille Lauro, poi anche dopo che gli ascoltatori di rap curiosi e un po’ onnivori se n’erano andati basiti, è risalito in vetta per inerzia grazie alla fondamentale massa critica di utenti di Spotify che – siccome uno vale uno – non hanno la capacità di riconoscere nel cretinismo rappato di Shivoso e Sferoso quelle 30-40 rime su bro, brand e barrio già sentite in miliardi di altre tracce trap. E come potrebbero riconoscerle? Oggi ascoltano rap, ma 3 anni fa nel saggio di fine anno delle elementari cantavano Vivere a colori di Sandrina Amoroso.

Tuttavia, constato che molti tra i colleghi che – per la mia esasperazione personale – in questi anni avevano dato un qualche peso specifico a uno dei due o entrambi, finalmente di fronte alla Gang Santana Denaro hanno espresso, e con una trasparenza che non avevo mai visto prima, le loro (eufemismo) perplessità: “Qui sembra essere terminato un ciclo storico-musicale” (Claudio Cabona, Rockol). Certo, quasi nessun adolescente legge recensioni musicali. Ma anche nel mondo più teen-friendly delle recensioni-reazioni, tipo quella degli autorevoli Arcade Boyz o di LowKey, non c’è traccia del giustificazionismo che ultimamente, ritengo in nome della solita Difesa Della Scena, ammorbidiva le mazzate. In quasi 10 anni, Santana Money Gang è il primo disco trap che si becca stroncature. Sogno, e son desto.

Ma i segnali di insofferenza per un prodotto difficilmente influiscono sulla produzione, come succede quando un programma di Mediaset imbecille quanto tutti gli altri viene giubilato. Verranno presi accorgimenti, calibrati gli ingredienti. Là fuori ci sono brand che hanno bisogno di Sferoso, Shivoso e Lauroso, e non di velleitari che mettano strane idee in giovani teste.

ALTRI ARGOMENTI DI CONVERSAZIONE. A dire la verità, era previsto che al n.1 dopo Sferoso e Shivoso (Universal) e Lauroso (Warner) ci andasse Rocco Hunt (Sony). La turnazione tra le 3 megamultinazionali che ci danno le canzoncine aveva individuato lo slot (non è magnifico l’oligopolio?), lui è anche andato al Concerto del Primo Maggio con tutte le altre celebrities di Sanremo (però per RaiTre). Ma tutti quei ponti hanno accidentato lo slot scelto, e i cd e vinili non sono bastati. Sta di fatto che Ragazzo Di Giù, malgrado il titolo che sa di chiamata alle armi per la South Area, si è fermato al n.2. Sull’ultimo posto del podio risale Artie 5ive con La Bellavita, in modo da avere comunque una spartizione perfetta, n.1 Universal, n.2 Sony, n.3 Warner.

E poi, e poi, il resto della topica diecina? Ma sì, i soliti uomini maschi ITALIANI. Al n.4 c’è Lauro, al n.5 c’è Olly, seguito da Geolier. Al n.8 i Pinguini Piacioni, al n.9 il regalo di compleanno di MiticoLiga al suo disco Buon Compleanno Elvis, al n.10 Gué (Pequeno). Sarebbe tutto santamente ITALIANO, se non ci fosse ancora, anche questa settimana, il n.7 di Bad Bunny. Faccina triste.  Lascia subito la top 10 Neffa, e ne esce anche (di nuovo) Lucio Corsi.

SEDICENTI SINGOLI. Niente di rilevante nelle zone alte, con Neon di Sferoso e Shivoso sempre al n.1, davanti alla canzone regina della Sacra Kermesse (Balorda Nostalgia di Olly, ovviamente), e l’altrettanto sanremese Incoscienti Giovani di Achille Lauro n.3.

Sconcertanti novità invece nella parte bassa della top 10, con le impennate improvvise di ben due canzoni provenienti dall’indegno mondo che sta al di là dei nostri sacri confini: sale dal n.30 al n.7 Ordinary di Alex Warren, sale dal n.35 al n.10 La Plena di W Sound, Beéle & Ovy On The Drums. Il primo è un 24enne californiano al suo 15esimo singolo. Se ho capito bene qualche giorno fa è stato ospite di Maria De Filippi e la sua canzone, che somiglia a un altro miliardo di canzoni stupende e meravigliose, ha folgorato il pubblico del bellissimo programma. Il secondo invece è una produzione colombiana straordinarissima, uguale ad altre ventiquattromila produzioni colombiane fantastiche e irresistibili. Tutte e due erano in classifica da più di un mese, tutte e due sono distribuite dalla Warner, dove vengono prodotti gli algoritmi più ricolmi di bellezza della nostra epoca. Correte ad ascoltarle, ma non fermatevi al centesimo ascolto: solo al millesimo capirete di amarle da sempre.

Tra i lungodegenti della classifica, si allunga il primato di Re Mida di Lazza, giunto a 322 settimane consecutive di militanza (qui è dove vi ricordo che è uscito il 1 marzo 2019, sotto il governo Lega-Cinquestelle. Il presidente del Consiglio era uno sconosciuto pugliese, proposto da Di Maio). Re Mida è al n.61, alle spalle di Fuori dall’Hype dei Pinguini Piacioni, che vanta 317 settimane di permanenza essendo uscito ai primi di aprile sempre del 2019. Quante ne ha combinate il 2019, vero? Poi però è arrivato il Covid e ne siamo usciti migliori.

PINFLOI. The Dark Side Of The Moon è al n.88. Quando è stato pubblicato, John Francis  Prevost in arte Leone XIV aveva 17 anni. Secondo me ce l’ha sicuro. Prima o poi glielo chiederanno – anche se essendo americano, la prima domanda che gli faranno i giornalisti è se conosce i Maneskin. Grazie per aver letto fin qui e a presto, come vi ho detto anche l’ultima volta, tanto tempo fa.