AMARGINE

(The RollingStone Files) Gianni Morandi vs Led Zeppelin

“Ma io che cazzo c’entro con Rolling Stone?” ride Gianni Morandi. Non gli rispondo coi Beatles e i Rolling Stones, Lady Jane e Ticket to ride – sarebbe troppo facile. Gli faccio un altro nome. Led Zeppelin. “Uh! 5 luglio 1971”. Wow, che memoria. “Eh, me la ricordo bene, quella sera…”. 
A quanto ne so, il 5 luglio 1971 il Cantagiro era una roba già fuori tempo massimo, era un residuo di boom economico negli anni della contestazione, no?
Decisamente. Ma in alcune zone d’Italia funzionava ancora bene, portava i cantanti al pubblico. Nelle grandi città era un’altra faccenda. Ma quel matto di Radaelli, patron del Cantagiro, pensava in grandissimo. E aveva deciso di avere grandi ospiti internazionali. In altre città c’erano stati Sam & Dave, Ike & Tina Turner, Donovan. E per la data del Vigorelli di Milano, i Led Zeppelin. Che cazzo c’entravano? Sta di fatto che tre giorni prima dello spettacolo c’erano già ragazzi che dormivano coi sacchi a pelo davanti al velodromo. Io ero perplesso, cercai di informarmi un po’ in giro grazie anche al fatto che all’epoca ero iscritto al PCI, avevo amicizie a cui chiedere cosa poteva succedere – perché si nasava che ci sarebbe stata contestazione. Già davanti ai locali dove andavo a cantare io da un po’ di tempo si vedeva gente che veniva solo per gridare “Ladri, il biglietto è caro – gli operai…”. Partivano le prime uova. Così nei giorni prima io ero un po’ preoccupato.
A cosa pensavi?
Soprattutto: “Ma che cavolo canto quella sera lì? C’era un ragazzo che amava i Beatles e Rolling Stones? Prima dei LED ZEPPELIN??? Ma no, non passa. Comunque arrivo lì e trovo Milva, i Vianella, Lucio (Dalla, ndr) che aveva fatto Sanremo pochi mesi prima, quindi in quel momento era assimilato alle canzonette… E i Led Zeppelin. Quando tocca a me, vengo annunciato: “E ora, Gianni Morandi!”. Sento un boato fragoroso. Radaelli mi fa: “Vedi? E dire che avevi paura”. Solo che una volta sul palco capisco che il boato era al contrario. C’erano un sacco di ragazzi a torso nudo che mi gridavano “Vai a casa!”. E non ti dico cosa gridavano a Milva e a Dalla. Le altre date ci eravamo salvati, eravamo in provincia, e poi Sam & Dave o Donovan erano tutto sommato riconducibili alla canzone italiana dell’epoca. Ma i Led Zeppelin! Finì male. C’era troppa gente, tutti volevano entrare, tanti volevano entrare gratis. La polizia usò i lacrimogeni. La gente sfasciò il palco. E quasi distrusse il velodromo, danni per 40 milioni di lire dell’epoca, quanti soldi saranno oggi? Forse poco sotto il milione di euro.
E dire che all’epoca Joan Baez cantava il tuo pezzo. Ti sei mai sentito snobbato?
No, io cerco di essere onesto con la mia carriera. E so che dal ’62 al ’71 quello che ha funzionato è stato il personaggio, più che il cantante Morandi. Anche se le canzoni avevano un grande successo. Anzi, forse vendevano anche troppo facilmente. In compenso se finivo sui giornali era per cose che non riguardavano la musica: la famiglia, la moglie, i bambini. E poi io ho legato molto con un mondo che poi è stato cancellato: i musicarelli al cinema, Canzonissima. Era un mondo in cui non venivi giudicato realmente come cantante. Penso che chiunque seguisse davvero la musica all’epoca potesse vedere che ero un ragazzo guidato per mano da Morricone, Migliacci, Zambrini, Bacalov: mi dicevano “Canta questa canzone” – e io cantavo. Poi ci sono stati gli anni 70, che per me sono stati complicati, si sa. E certe scelte oggi sembrano un po’ goffe, come Lo prendi papà. Che però vendette parecchio e si ricorda ancor oggi, quindi evidentemente non fu questo suicidio professionale, anzi.
Ma sicuramente poi c’è stata la rimonta: sei stato quell’uno su mille che ce la fa.
Credo che dal 1981 sia cambiato anche il giornalismo, iniziarono a valutarmi come un cantante pop – magari un po’ vintage, ma ancora in grado di raggiungere il pubblico. Io tra l’altro avevo fatto anche sette anni di conservatorio, un po’ mi è servito, ho imparato a usare meglio la voce, a porgere meglio il testo. A quel punto io stesso ero passato da testi scritti molto rapidamente, subordinati alla musica, alla consapevolezza che le parole di una canzone sono importantissime. Se il testo è sbagliato, il pubblico non fa sua la canzone. Mi viene da dire che da quel momento in poi sono stato addirittura sopravvalutato. Sono stato… (annuisce, guarda altrove) fortunato.
Gianni, non buttarti giù. Evidentemente quelli con la voce perfetta non avevano la tua comunicativa, la tua capacità di rivolgersi al pubblico. Però quando hai annunciato i tuoi concerti all’Arena hai detto una cosa: “Torno a fare il mio mestiere”.
Sì, sono sette anni che non incido un album di inediti. Ho presentato due edizioni di Sanremo, girato un film, fatto teatro, parecchia tv…
Ecco, appunto. Pensi che aver fatto così a lungo il personaggio televisivo abbia tolto qualcosa al peso che ti viene attribuito nella canzone italiana?
Non so, io credo che fare televisione, come fare tutto quanto, mi abbia arricchito professionalmente e personalmente. Ho sempre vissuto ogni cosa come un’occasione per imparare. Perché la verità è che quando sono partito avevo 17 anni ed ero un dilettante allo sbaraglio. Sì, è vero che c’è tutta una generazione di ragazzi che mi conosce come presentatore, e non sa che andavo benino in classifica. Però anche come presentatore, e dai e dai, penso di aver imparato qualcosa.

(dal Corriere della Sera)

Tu hai lavorato con gente diversissima, da Elio & le Storie Tese a J-Ax, da Lucio Dalla a Tozzi e Ruggeri nel Trio. E per due anni hai valutato le canzoni da portare a Sanremo. Che impressione hai avuto della musica italiana che c’è in giro?
Sai, molti hanno detto che non abbiamo lavorato in buona fede, siamo stati criticatissimi. È molto difficile fare scelte, accontentare tutti. Posso dire che non mi sembra affatto che la musica italiana sia spenta. Insieme a quella inglese e brasiliana abbiamo sempre avuto una nostra originalità… I francesi invece detto tra noi mi sono sempre piaciuti molto meno, penso abbiano dato più alla musica classica. Noi invece siamo la patria del melodramma, abbiamo sempre avuto in mente la canzone. Poi, per forza sta prendendo molte influenze esterne, a partire dall’hip hop. Perché alla fine, quando un coreano su YouTube fa un miliardo di visualizzazioni, è ovvio che troverai la sua influenza in qualche canzone italiana. Oggi tutto si mischia. Però la musica italiana ha una sua forza. Specie se non imita inglesi e americani. Ci sono belle cose in giro, Negramaro, Bersani, Cremonini, Tiziano Ferro, Jovanotti…
Ma loro sono cantautori. Gli autori, come li trovi?
Ma i cantautori sono autori anche loro. E per me hanno scritto Cocciante, De Gregori, Dalla, Battiato che ha scritto per me Che cosa resterà di me: “Io sono nato in Emilia figlio di un pensiero rosso e partigiano”… Quelle parole le ha messe specificamente per me. Io non sono un autore. Cosa che da una parte è un dispiacere: ho firmato 40-50 pezzi – i peggiori del mio repertorio! Ma i giovani autori credo ci siano: magari se ne parla poco perché oggi tutti cercano di cantare i propri pezzi. Io da qualche tempo ho invitato i giovani a mandarmi pezzi su Facebook, naturalmente mi è arrivato di tutto… E ci sono cose davvero notevoli, che penso di incidere nel disco che sto facendo. E un po’ credo di intendermene, io ho cantato l’80% degli autori italiani. Forse anche il 90%. Migliacci, Zambrini, Mogol, Morricone, Bacalov, gente che ha vinto premi Oscar. In tutto, più o meno sono seicento canzoni. Sai com’è.
Una o due buone, le avrai pure cantate.
Eh, infatti, doveva capitare… Anche perché con così tanti pezzi e tanti anni e tanti autori, è inevitabile che io mi sia ritrovato a spaziare su parecchi generi. Fatti mandare dalla mamma è una fotografia di un’epoca. C’era un ragazzo, è di pochi anni dopo, ma apre un’altra epoca. Bella signora, di Malavasi, un’altra ancora. Come tutti i pezzi cantati con Dalla. Come Stringimi le mani di Pacifico. E anche le cover, spesso erano d’autore: Neil Diamond – Accendilo tu questo sole che è spento. I Turtles di Scende la pioggia. Poi magari qualcuno dice Morandi è antico, vecchio. Ma allora rappresentavamo qualcosa di molto nuovo, io e Rita Pavone, io nel giugno e lei nel settembre 1962 con La partita di pallone. Con i nostri 45 giri ci hanno costruito la RCA.
Sai che la giuria di Rolling Stone ha messo un tuo album tra i più importanti album della storia della musica italiana.
Davvero?
Gianni Morandi, del 1963. È al n.75
Ah, il primo: Andavo a cento all’ora, Fatti mandare dalla mamma, Go kart twist, scritta da Ennio Morricone. C’è da dire che io non l’ho mai concepito come album. Anche se è vero che era la raccolta di quello che io ero in quel periodo: all’epoca si facevano i 45 giri, poi quando ce n’erano abbastanza, li si metteva tutti assieme. Però mi ricordo quando me lo sono trovato davanti. Un giorno Ettore Zeppegno mi disse: “Vieni alla RCA che abbiamo una sorpresa per te”. Mah, chissà cosa poteva essere. Arrivai e mi dissero: “Questo è il 33 giri!”. In copertina c’era una foto che io avevo fatto davanti alla RCA su un caterpillar o una ruspa che stava realizzando il Raccordo Anulare a Roma. La strada passava lì ma non era ancora completo. Costarelli ci disse “Pijamo ’a machina, famo un giro, poi vediamo”…Il fotografo, Cortini mi sembra, mi disse “Boh, mettiti lì, magari viene bene…” Mi misi sul caterpillar un po’ storto, e quella fu la copertina. L’artwork si faceva alla svelta! Ma quella foto, a ripensarci, è il segno di un’epoca anche lei.

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