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TheClassifica 56. La vera storia di Fiorella Mannoia

Pensavo che la 60enne Fiorella Mannoia fosse la donna più (si può dire?) vecchia ad essere andata al n.1 in Italia, ma ho sottovalutato Mina, che a 65 anni decise di regalarsi un primato pubblicando Bula Bula (2005) a gennaio. Gli irriducibili Minatori (cioè i Miners) (o comunque si chiamino i fan di Mina) (Minestroni?) affrontarono la brina in numero sufficiente a far superare al disco le vendite dell’ancora più improbabile n.2 (Push the button dei Chemical Brothers).

Questo mi fa saltare tutta una prolisseide sulla Mannoia come entità necessariamente anziana, fin da Come si cambia (brano di 30 anni fa).

E invece no!, mi ribello e prolisseggio lo stesso. Perché sono così, dolcemente eccetera. 

Fiorella Mannoia ha inciso il primo disco nel 1968. Per dodici anni circa è rimasta nel sottobosco della musica leggera italiana: persino Scaldami (1978), pezzino disco music in stile Rettore, in cui voleva che i suoi fianchi cantassero come fianchi di animali, restò fuori dalle classifiche così come il precedente singolo Tu amore mio, firmato dal Califfo in persona, sulla copertina del quale esibiva accattivanti trasparenze.

(“Ma chi, Califano?” “No, la Mannoia”)

Dodici anni dopo il suo esordio, il suo discografico le trovò una particina di moglie vogliosa nel Pescatore di Pierangelo Bertoli, il quale non sapeva chi fosse e non aveva nemmeno pensato a un duetto ma abbozzò: la incontrò di persona solo tre mesi dopo l’uscita del disco. Fu un primo passo verso la luce. Poco dopo, portò a Sanremo quel suo primo personaggio di panterona inappagata, scandendo forte e chiaro: “Ma io come Giuda so vendermi nuda, da sola sul letto mi abbraccio, mi cucco… perché io non ho bisogno delle tue mani, mi basto sola”

(era il 1981, Gianna Nannini si era già toccata l’America, persino Amanda Lear si era amata da sé – su testo di Cristiano Malgioglio, nientemeno) (che comunque non avrebbe mai scritto “mi cucco”)

Il pezzo in questione, Caffè nero bollente, la fece un pochino notare, ma in classifica arrivò a un tutt’altro che bollente numero 40. La verità è che non aveva ancora 30 anni e quindi non era ancora Fiorella Mannoia. Perché la Mannoia che tutti conoscono inizia col canto di donna italiana vissuta e (di conseguenza) amareggiata: nel 1984 con l’assaggio di Come si cambia per non morire  (“Quante luci dentro ho già spento, quante volte gli occhi hanno pianto”), e poi nel 1987, vent’anni dopo la sua partecipazione al festival di Castrocaro, con l’apoteosi della fremente disillusione della donna matura, Quello che le donne non dicono, con l’anelito per i complimenti dei playboy, nuove rose, e per qualunque ex amante si presenti sotto casa per colorare le sue notti bianche. Pezzo scritto da un uomo, come tutte le migliori lamentazioni femminili sulle miserie maschili.

Sta di fatto che la Mannoia che conosciamo oggi è iniziata negli anni Ottanta, e non ha mai ritenuto di cambiare registro: entrata prepotentemente in sintonia con una massa di donne italiane disilluse, ha sempre cantato quel tipo di canzone e sempre con quell’approccio vocale all’amaro Averna. Non ha mai cantato una canzoncina allegra (la sua voce darebbe una sfumatura di sofferenza anche a La bamba). I tanti anni di musica precedente, li ha fondamentalmente ripudiati. Quel che sto cercando di dire è che Fiorella Mannoia non è mai stata giovane – perlomeno, non per il pubblico italiano, e sicuramente non per il SUO pubblico, che si identifica nel suo tono di adulta ferita dalla vita (e soprattutto dai maschi, ca va sans dir). E non è mai stata altro che quel tono, visto che come autrice si è cimentata per la prima volta a 58 anni, co-firmando due canzoni per l’album Sud. In pratica Fiorella Mannoia è l’espressione di un (ri)sentimento che appare credibilissimo al pubblico, ma che in realtà lei si fa prestare da qualcun altro. 

(potrei anche infiorettare) (o infiorellare) (il tutto con una considerazione sulla trascurata romanità di Fiorella: il suo tono di voce ma anche il suo aspetto sono un trionfo del tipo matronale capitolino) (sarebbe stata perfetta nella serie Rome scritta da John Milius)

Curiosamente, Fiorella spende la sua amareggiata saggezza personale più nell’ambito politico che in quello creativo: nel 2013 ha dato il suo amareggiato appoggio a Ingroia, mentre quest’anno ha espresso il suo amareggiato apprezzamento per il Movimento 5 Stelle (“meglio di questa sinistra”). Salvo poi, pochi giorni fa, lanciare a Beppe Grillo un amareggiato invito a farsi da parte.

(“Ehi” “Ah, eccoti. Ero preoccupato” “Non hai detto una cosa che io ci tenevo” “Sarebbe?” “L’ho trovata su Wikipedia” “Va bene, sentiamo” “Nel 2006 Fiorella Mannoia ha vinto il Premio Simpatia” “Beh, e a chi altri darlo, del resto” “Guarda che è un premio importante, lo conferivano in Campidoglio” “Conferivano?” “Sì, dal 2011, non so perché, non si tiene più. Quell’anno lo ha vinto Roberto Vecchioni” “Ma ovviamente”) 

Songs of Innocence degli U2 scende al n.2, e Pop-hoolista di Fedez slitta al n.3. Al n.4 e al n.5 due nuove entrate: una raccolta di Eros Ramazzotti, e Taylor Swift, unica artista quest’anno a vendere più di un milione di copie. Strategia impeccabile la sua: è partita dalla nicchia americana più redditizia, il country, e si è espansa verso il pop – senza sbracare, rimanendo la brava all-american girl di cui c’è tanto bisogno. Su Taylor Swift in questo momento sono in corso fervidi dibattiti, specialmente nel mondo yankeebritanno cui siamo semper fidelis. Però mi sono già dibattuto sulla Mannoia. Taylor Swift può aspettare trent’anni.

Al n.6 c’è Paolo Conte, al n.7 la Nostalgia di Annie Lennox; chiudono la top ten i ragazzi degli anni Novanta: Francesco Renga, Fabi Silvestri & Gazzé, Cesare Cremonini. A proposito, dopo l’ospitata a X Factor c’è stato un balzo di ogni cosa cremonina: Logico è salito dal n. 20 al n.10, il Greatest hits dal n.70 al 32. Il che va a dimostrare che XF fa vendere i dischi. Basta non partecipare.

Escono dalla top ten. Subsonica, Giorgia, Slipknot, Modà (primo vero segno di cedimento, dal n.9 al 18, da parte di un album che comunque è in classifica, mioddio, da novanta settimane).

Heyheymama. Entra al n.13 la nuova ristampa rinnovata deluxe speciale rimasterizzata e impestata di lapislazzuli di Led Zeppelin IV, ma sorprende un pochino di più l’ingresso al n.17 di Houses of the holy. Attualmente in classifica ci sono più album dei Led Zeppelin che dei Pink Floyd, considerando anche I al n.76, III al n.88, II al n.91. Se non ci credete, ecco:

Pinfloi. La vibrante incertezza attorno al Patto del Nazareno fa scendere The dark side of the moon dal n.42 al n.45, mentre Wish you were here (n.61) si cimenta in uno dei suoi odiosi e ontologicamente inaccettabili sorpassetti ai danni di The wall (n.77); la stupida raccolta A foot in the door chiude la classifica (n.100).

Migliorvita. Solo tre gli artisti che entrano in classifica dall’alto (dei cieli); la circostanza inusuale è compensata da un’eclatante avanzata delle raccolte (24), e da album contenenti, a tutti gli effetti, materiale del secolo scorso (21).

Eh? Al n. 82, seconda settimana in classifica per Rush, album di Raffaella Fico.

5 Risposte a “TheClassifica 56. La vera storia di Fiorella Mannoia”

  1. ora mi stai dicendo che qualcuno è andato da qualche parte (fosse pure la tastiera del piccì o del tablet) e ha comprato il disco di raffaella fico?
    conosci qualcuno al cern in grado di provocare un buco nero che ci risucchia tutti verso il nulla?
    secondo me è ora che succeda
    comunque su fiorella m’annoia hai ragione, ma parla piano che mia moglie non deve sentire, sennò so guai
    un giorno ho rischiato il divorzio quando ho detto che fiorella m’annoia canta le canzoni di vasco rossi molto peggio di vasco rossi, non le sa interpretare…

  2. gran roba il nuovo della Fico! La titletrack sembra un mashup fra Baby Boy e Jai Ho cantato da una Beyonce senza voce ed un Rahman ubriaco.

    Lei si è ricreduta e la verginità ha deciso di venderla a rate.

  3. Houses of the holy? Anni e anni a costruire teorie su teorie sui riti di passaggio nella crescita musicale (tutte volte a giustificare la presenza in classifica di wishyouwerehere, peraltro), e poi Houses of the holy si mangia in insalata I, II e III?

    1. Beh, non è precisamente così, I-II-III sono usciti mesi fa, e sono già usciti e rientrati in classifica: questa era la prima settimana per IV e HoH, ed è chiaramente quella in cui l’assalto dei fan è più consistente. Però mi aspettavo un distacco maggiore tra il monumento IV (n.13) e il cadetto HousesoftheHoly (n.17). Ma si vede che ho sottovalutato l’appeal di The Rain Song in questa fase storica.

      1. Grazie della specificazione, allora sembrerebbe chiaro: nel mondo dei fan patologici dei Led Zeppelin abbiamo un 80 per cento di completisti e un 20 per cento che dopo lunghe notti insonni ha deciso di saltare il turno HotH risparmiando i soldi per Physical Graffiti.

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