AMARGINE

In laude delle bollicine (1983, Amarcocacord)

(questo l’ho scritto dieci anni fa, come post su un forum, ad uso e consumo di un gruppo di amici – perché 10 anni fa non c’era facebook, ci pensate? – ed è per questo che mi sono permesso certi toni e un titolo smaccatamente bertoncelliano) (lo ripesco perché anche se è scritto in modo un po’ arcaico – preironico, mi viene da dire – dieci anni dopo continuo a pensare che Vasco Rossi sia stato importante) (dopo di che, altrove dirò quanto il KOM è stato deleterio) (ma ora, seguitemi: sto per portarvi…)

Sto per portarvi nel 1983.

Diciamo che gli anni di piombo sono appena finiti. Sono finiti quando Nando Martellini ha gridato “Campioni del mondo” tre volte. Quando lo strano paese ha guardato in faccia alcuni degli individui più loschi di sempre, ovvero

1) il venduto alias Paolo Rossi
2) l’isterico alias Marco Tardelli
3) l’uomo che mena alias Claudio Gentile
4) il vecchio cecato alias Dino Zoff
5) il primate alias Ciccio Graziani
6) l’uomo che si lecca il sedere da solo alias Fulvio Collovati
7) il burino da bar alias Spillo Altobelli

e altri scombinati, da anni incapaci di azzeccare una partita decente, allenati da

8) l’interdetto alias Enzo Bearzot.

Lo strano paese li ha guardati in faccia e ha detto: “Ossignùr, ma questo insieme di ladri di polli che poi è l’immagine perfetta di quello che siamo, ha vinto i mondiali“. E quindi: “Ma allora forse TUTTI NOI valiamo qualcosa!” 

E quindi, tutti in piazza.

Sapete, non ho mai più visto nulla di simile, e chi c’era ve lo potrà confermare. Dovranno passare cent’anni e un senso di inferiorità speciale, prima che gli italiani festeggino così, come ora potrebbero festeggiare i turchi se vincessero qualcosa, come festeggiano gli africani quando il Senegal o il Camerun vincono due partite e tutto un popolo si sente improvvisamente degno di stare sul mappamondo. Magari Trapattoni o Lippi o Vialli faranno vincere la Nazionale, un giorno. Ma non sarà la stessa cosa. Sono stato fortunato a vedere quella festa. E ce l’ho fatta per poco: secondo mia madre ero troppo piccolo per uscire di casa coi miei fratelli, la sera della finale. Avrei dovuto guardarla con mio padre e i suoi amici. Che palle. Sapete, i padri di allora non erano come quelli di adesso, che giocano alla playstation e vanno ai concerti di Ligabue. No, erano adulti. E soprattutto non erano nemmeno diventati adulti negli anni 70, ma addirittura negli anni 50 e 60. Ecco, io per la prima volta mi sono battuto per uscire la sera al seguito di quei fighetti dei miei fratelli maggiori. Forse perché sentivo che era un momento importante, e non volevo stare con gli anni 60 e gli altri decenni: di quei decenni non me ne fregava niente, non erano miei.

Quindi, col grido di Tardelli e l’esultanza di Pertini sono cominciati gli anni ’80, e anche i 90 e mi sa anche questi dopo. Ottimismo. Gran sorrisi. Italiani, ce la si fa! Basta col terrorismo, gli scioperi, il clima da Albania. Avanti, su: Democristiani, Comunisti, Socialisti, tutti assieme.
Socialisti, soprattutto. Loro sì che sono avanti. 

Quindi siamo nel 1983 e si parla con sempre maggiore insistenza – in un paese che per anni è andato avanti a eskimi, espadrillas e gonnellone alla caviglia – di moda. Oh, badate bene: l’ombelico a vista ve lo sognate, e le tette stanno ancora ben coperte. Però noi maschi cominciamo a rinforzare le giacche con le spalline (ah, che cosa simbolica). Come si chiama quel tizio delle giacche? Armani. E poi ce ne sono altri due o tre, li chiamano stilisti, e girano sempre coi socialisti – appunto. Ah, poi ci sono anche dei nuovi canali tv. Uno della Mondadori, uno della Rusconi, e uno di un tale che nessuno sa ancora come si chiami. Poi c’è da qualche tempo il terzo canale Rai. Non è di sinistra, perché il canale di sinistra si chiama “il secondo”. Mica Raidue: “il secondo“.

Vabbè, facciamo un breve elenco di cose delle quali nel 1983 sostanzialmente non avete mai sentito parlare:

– la Lega;
– Berlusconi;
– telefoni che non siano quelli di casa: grigi e col rotellone;
– il rap. Tranne un disco di 3-4 anni prima fatto sulla musica degli Chic, ma era stata una moda passeggera;
– Madonna;
– programmi televisivi dopo mezzanotte;
– i computer;
– i videogiochi: se vuoi giocare a Pacman, devi uscire di casa e andare alla sala giochi. Sì, c’è quella roba, il Vic 20 in giro, e si parla di un nuovo computer – 64, mi pare si chiami. Ma costa una cifra, e come convinco mia madre a prenderlo per poi fare quel gioco di calcio con gli omoni enormi e rettangolari? Me lo posso scordare;
– la fiat Uno. sono ancora tutti in giro in 127 e 131 e girano un sacco di 500 e di Dyane. ma un giorno il primo dei miei amici avrà 18 anni e prenderà una Renault 4. Wow;
– la Croazia. E l’Ucraina. E la Lituania. Perché gente, il muro là a Berlino è in piedi e regge che è un piacere e io nel 1983 sono oltremodo convinto che l’URSS esisterà sempre e sarà sempre comunista;
– donne nude in televisione e l’uso della parola indicante il pistolino in ogni film e programma tv. Quando accadeva (una volta l’anno in qualche film), tremava il palazzo;
– i videoregistratori;
– Mtv;
– l’Islam. No, davvero. Perlomeno: se siete ragazzini, non ne avete mai sentito parlare. E certamente non avete visto gli immigrati dal nordafrica. Nessun nero sulla linea 91, riuscite a crederci?
– i PUB. Si chiamavano ancora birrerie;
– i paninari e i dark. Però sono in rampa di lancio;
– il campionato a 18 squadre, i 3 punti per la vittoria, il divieto di retropassaggio al portiere, gli stranieri in numero superiore a due per squadra;
– gli scudetti del Milan, che fa un allegro andirivieni dalla serie B;
– gli scudetti dell’Inter, a dire dei miei compagni di classe troppo straordinaria per sporcarsi le mani e arrivare davanti a Juve, Roma, Verona.

Okay, se avete cancellato tutta questa roba, siete nel 1983.
Ma non ci siete riusciti, vero? Certo, nemmeno io a pensarci mi figuro come cavolo passassimo il tempo io, Noè e Tutankhamon in quell’epoca preistorica. Immagino sia per quello che noi sopra i trenta ancora ci ammazziamo a ricordare stupidi programmi tv o sigle o canzoni o personaggi: è che ce ne davano pochi, e noi ce li sorbivamo ognuno nella sua casetta perché non c’era zapping possibile e non c’era il PC in camera e insomma non c’era molto da fare se eri un adolescente. 

Parentesi: è stato molto tempo fa, ma non moltissimo. Con questo voglio dire: guardatevi attorno, e sappiate che tra vent’anni, il mondo sarà duecento volte diverso da come è ora. chissà quali apparecchi occuperanno le ore della vostra vita, chissà quale nazione inesistente vi darà preoccupazioni, chissà quale attuale cruccio non esisterà più.
Solo la musica non sarà cambiata granché.

Ad ogni buon conto, veniamo a noi. Anzi, a me.

Siamo nel 1983 e sapete com’è la musica italiana? Ve lo dico io: ha un colore sospetto e manda un cattivo odore. Cioè, ci sono in giro Gianni Togni e il solito Renato Zero e Tiziana Rivale e tutti i cantanti lagnosi. Gruppi non ne esistono. Il rock non lo fa nessuno. I cantautori hanno cotto il razzo: gira e rigira strimpellano delle ballatone anche se magari con testi carucci. Ecco, la musica italiana è, al massimo, caruccia. Io sono un ragazzino vispo, da grande voglio fare il critico musicale, e mi piace sentire che la musica si muove e fa muovere, corre, salta. Mi piace il rock, ma anche quei gruppi inglesi pieni di sintetizzatori e con un ritmo incasinato.
Insomma è il 1983 e mi pare sia maggio. sono in cucina, mi sto vestendo per andare a scuola. Mi vesto in cucina perché in camera mia c’è mia sorella che dorme, insomma è buio e non potrei vestirmi. In cucina mio padre ha acceso la radio, ma lui non c’è, si starà facendo la barba. Dalla radio viene una musica strana. Strana perché è un riff di chitarra. Cui fa seguito – o suono glorioso – un basso slappato, rendetevi conto: non lo avevo mai sentito così chiaro e impudente. Un giorno sarei stato un bassista e me la sarei tirata anch’io con quel TWANG insensato da tamarro, impossibile da piazzare in un pezzo di degregori o dalla o guccini o gli altri vecchi (erano già vecchi allora) che parlavano ai loro compagni di vecchiaia.

E dopo il basso, le prime parole.

“Piccolo. Spazio. Pubblicità”.
(…’azzo sta dicendo?)
“Piccolo. Spazio. Pubblicità”.
(ma chi…?)
“Radio, superstereoradio!” “Ehi, mister, super, super…”
(è un delirio)
“Co-ca ! Co-la!”
(…EH?????)
“Bevi la coca cola, che ti fa bene”.
(ma questo mi sembra…)

Era lui, quello che tre mesi prima, a Sanremo, era andato, aveva cantato una cosa speciale, mai sentita fino a quel momento. Quello che aveva detto “Vedrai che vita, vedrai” come lo potrebbe dire un ubriaco su un marciapiede, uno che sogna una gloria perduta, che in realtà non ha mai avuto, perché più grande di lui.

Era lui, quello che se n’era andato via prima della fine della canzone, perché quella canzone non meritava di stare in quel festival che io guardavo giusto per ridere dei Ricchi e Poveri e degli altri cantanti rassicuranti. 

Era lui, quello che tutti i giornali gli avevano dato del drogato (ehi, non è che si sbagliassero).

Era lui, quello che Nantas Salvalaggio e Nino Manfredi si erano fatti belli durante il festival dicendo “nonnine che siete a casa, guardate che quel Vasco Rossi non parla di viaggi con il treno, ma di viaggi con una polverina maledetta”. E sor Ninetto aveva detto: “ce sta quello che vole na vita de guai, io je darei i miei”, col suo maglione Missoni dal quale non si separava mai perché l’indimenticato Ninetto Manfredi, tra sigarette e maglioni aveva il copyright della pubblicità occulta, e io ero un ragazzino ma una cosa la capivo: lui tutti ‘sti guai non li aveva. quindi tra lui e quello che sfotteva, io stavo tutta la vita con quell’altro.

Insomma era lui, Vasco Rossi. Con questa canzone da zarro, ma con un riff che in Italia non si era mai sentito.
Vado a scuola, e anche i miei amici non critici rock dovevano averla sentita su una delle radio che c’erano allora – Studio 105, o Radio Milano International.
“Hai sentito anche tu?” “E’ pazzo !” “Ma l’avrà pagato la coca cola?” “Mad, quella è la tua canzone, con tutta la coca cola che bevi”
(Mad ero sempre io) (anche la cocacola è sempre lei, ma non ne bevo quasi più)

Bene, credo che tutto questo abbia a che fare con la filologia dell’opera d’arte e la sua collocazione in un contesto cronologico-sociale. Tesi che non tutti amano, e temo sia molto vicina al materialismo storico. Ma fondamentalmente, non posso permettere a nessuno di ridere di una canzone che voleva far ridere. Che dopo Vita spericolata voleva dire: beh, non prendetemi così sul serio. E tuttavia non è che non dicesse niente, a ben guardare. Perché voleva dire ok, io sarò il drogato, ma a voi vi stanno drogando in altro modo: “bevi la Coca cola, che ti fa bene” “Chi Vespa mangia le mele” “Vi faccio vedere io, care merendine”. “Coca cola, e sei protagonista”. 
Era vero, perché come vi ho detto era il 1983, e ci stavano drogando con una cosa che allora non veniva inserita nei film o nelle partite, non dominava le radio, non veniva inserita ovunque nella nostra vita, non veniva mandata a forza alla gente che aspettava la metropolitana o il treno. Non ancora. Ma avevano appena cominciato a drogarci con quella roba.

“Piccolo. Spazio. Pubblicità”.

Nel giro di pochi mesi, le radio iniziarono a brulicare di pezzi degli anni prima, che avevano trascurato (tranne forse Vado al massimo): “è andata a casa con il negro, la troia” “le voglio toccaaare! Le tocco tutte quante” “Ti voglio beeene non l’hai mica capito” e naturalmente “Ti piace studiare, non te ne devi vergognare”.

Insomma, era arrivato.

 

 

9 Risposte a “In laude delle bollicine (1983, Amarcocacord)”

  1. cavolo avevo 18 anni… sembra un secolo fa… ops! ERA un secolo fa!
    bellissimo post (a parte che te sei scordato bruno conti) 🙂

  2. (beh, ma Brunoconti (tuttattaccato) non si portava addosso la riprovazione del Paese come quegli altri. Molto meno ad esempio di Antognoni, che mezza Italia non capiva cosa ci facesse in Nazionale)

  3. no no e come avrebbe potuto? non era coinvolto in scandali e giocava da paura (almeno, a me incantava)
    pensa che io da piccola ero laziale (che nel 74 in provincia di roma eravamo TUTTI laziali) poi ho ignorato il calcio per un po’… e ai mondiali mi sono così calcisticamente “innamorata” di brunoconti (tuttattaccato) che son diventata romanista! 😉
    una volta l’ho beccato al telefono (lavoravo in un call center) ed ho avuto occasione di dirglielo persino…
    scusa l’aneddoto 😉

  4. ok allora te lo racconto bene (non volevo annoiarti) 😉
    lavoravo in un call center di assistenza vas per i cellulari (configurazioni roba così) e mi chiamò uno dell’as roma che non riusciva mi pare a mandare email o mms ed eran giorni che chiamava e non aveva risolto. (era tipo il 2003 2004, ancora si configurava tutto manualmente)
    dopo circa mezz’ora di tentativi (nel mentre si chiacchierava e gli avevo detto che ero romanista e soprattutto “tottiana” e anche che il mio giocatore italiano preferito di tutti i tempi era appunto brunoconti) sono riuscita a fargli funzionare il telefono.
    lui aho allora signorì se merita na sorpresa aspè che je passo quarcheduno che je piace… e viene lui al telefono! mi dice qualcosa tipo solo na romanista ce poteva riuscì a fa funzionà sto telefono… e io gli racconto appunto che non sarei stata romanista se non avessi visto lui ai mondiali dell’82!
    è stata una bella conversazione, lui gentilissimo e timidino, sembrava un po’ imbarazzato e m’ha pure invitata a trigoria che m’avrebbe fatto conoscere la squadra e trattata da ospite d’onore ma non sono andata (per timidezza)
    (scusa la prolissità ma quando han distribuito la sintesi ero in ferie) 😉

    1. Bella storia. La morale sempiterna è: “S’è perso lo stampino” 🙂
      (anche lo stampino di quelli che lavorano per le squadre di calcio e hanno di queste piccole attenzioni, mi sento di aggiungere)

  5. Io nel 1983 avevo 16 anni… a volte sembra ieri ed e’ verissimo quello che hai scritto Paolo, i programmi erano cosi’ pochi e la scelta cosi’ ristretta che per forza ce li ricordiamo. Ottimo pezzo, ho scoperto il tuo AMARGINE da poco, ” per colpa” di un tuo articolo strepitoso sul video Last Christmas degli Wham , articolo che mi ha fatto cappottare dalle risate perche’ preciso e chirurgico come un bisturi. Bravo, scrivi bene, mi piaci e leggerti e’ un piacere. Angie

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