Immagino che quanto segue sia interessante solo se fate anche voi uso intensivo di Spotify, come me e altri 100 milioni di utenti (nel mondo, non in Italia) (quanti siano in Italia l’ho chiesto a C.S., Senior Account delle Media Relations e Communication. Ha risposto “Numeri scorporati non ne diamo mai”).
Un po’ di cose che immagino sappiate comunque. Spotify è una di quelle cose che ogni tanto succedono, e il mondo si adegua. Gode di consenso e diffusione enormi, mai raggiunti da ciò che era venuto prima – compreso quanto donato da Steve Jobs agli hooligan della mela. Forse ci è riuscita perché è svedese. Tutto ciò che è svedese piace a tutti, chi non ama la svedese Svezia? Sta di fatto che in pochissimi anni Spotify è diventata fondamentale per l’industria discografica e le si concede tutto: è too big to fail. Ogni tanto qualche musicista fuoridalcoro rampogna (David Byrne, Neil Young, Thom Yorke) poi entra nel coro (David Byrne, Neil Young, Radiohead). Chi manca più? Taylor Swift, Peter Gabriel, King Crimson, Lucio Battisti, la Lemonade di Beyoncé. Ma ormai i grandi assenti elencati dagli articoli di 2-3 anni fa sono arrivati: Led Zeppelin, Pink Floyd, AC/DC, Beatles, Prince… Come anticipato, queste cose forse le sapevate già. Quindi, passiamo a un po’ di cose che forse troverete interessanti. Per me, lo sono. Per gli altri non so. In effetti noto che non ne parla nessun altro.
Cose che forse non avete notato. Ogni singolo artista o gruppo su Spotify viene presentato agli ascoltatori con 10 brani che sono definiti “popolari” (“Popular songs”), con gli ascolti totalizzati fin dal loro debutto sulla piattaforma in bell’evidenza. Non sempre l’elenco è in ordine di streaming ottenuti. Ogni tanto quella più ascoltata in assoluto è al secondo, quarto posto. Ma questa è un’inezia. Il fatto è che questa specie di “Best of” rappresenta un misto tra quello che il pubblico effettivamente ascolta in massa, e quello che Spotify vuole che ascolti. Perché nella top 10 – chiamiamola così, via – sono sistemate in modo strategico canzoni che magari al pubblico piacicchiano, ma non così tanto. Oppure, proprio poco. Lo so perché essendo un po’ maniacale, ho seguito due Spotify Stories dall’inizio.
(chiedi chi erano i Beatles)
Il Natale 2015 ha sancito l’arrivo dei Beatles sulla palla verde di Spotify. Da subito, Come together è risultata in testa alle canzoni più popolari. Non so quanto siate Beatlesiani – però ecco, a me è parso strano. Non Help, e Ticket to ride, o Lady Jane e Yesterday (…scusate, era per alleggerire la tensione spasmodica). È ben vero che è il pezzo che apre l’album che ci ha su la foto famosa, e che in quanto tale per le moltitudini è IL disco dei Beatles per eccellenza (anche se escludo che le moltitudini saprebbero nominarne quattro canzoni). In ogni caso, i media hanno tempestivamente sottolineato la circostanza. Allora le radio (e le tv) hanno puntualmente trasmesso Come together. E nei giorni successivi – being there – la gente finiva per ascoltarla. Perché mica tutti sono come voi che magari andate a cercare Revolution 9 (2,1 milioni di ascolti). O come me, che vado a cercare gli altri pezzi piuttosto noti, per scoprire se per caso…
Ed ecco – wow! – la piccola scoperta. A sinistra potete vedere le canzoni “popolari” per Spotify. Tra loro si nota While my guitar gently weeps (George Harrison, 1968) (interessante che Harrison e non i Fab Two sia anche l’autore del brano dei Beatles più ascoltato, cioè la solare Here comes the sun) che ha un po’ meno ascolti delle altre. A destra vi ho invece elencato canzoni che potrebbero, numeri alla mano, essere nell’elenco se questo fosse l’elenco delle più ascoltate, ma NON ci sono.
…Cos’hanno in comune le escluse? Cos’hanno di diverso da alcune di quelle che invece sono state inserite?
Io faccio un’ipotesina. Spotify e i detentori dei diritti (casa discografica e Beatles medesimi, Yoko inclusa) hanno piacere che in bella vista ci sia una mini playlist di pezzi più spendibili, più mediatici, diciamo – che non altri meno contemporanei, un po’ vetusti, a volte un po’ malinconiche… All the lonely songs – where do they all belong?
Cosa dice Spotify. M.H dell’ufficio stampa mi ha spiegato (dopo una settimana di consulto interno su cosa dirmi) che “Per quanto riguarda la top 10 degli artisti, la popolarità è basata sugli streaming ma con un peso maggiore per quelli più recenti, per mettere in luce le più popolari al momento. Per questo a volte non corrispondono al numero di streaming totale”.
Ci avevo creduto. Poi, però, questa risposta è stata smentita dall’artista precedentemente noto come Tafkap – defunto nel 2016, risorto su Spotify due settimane fa.
(his name is Prince… The one and only)
Su Prince, non ci sono i dubbi possibili per i Beatles: c’è UNA canzone che è universalmente considerata LA canzone di Prince, ed è Purple rain. Cionondimeno, nell’elenco proposto il giorno del debutto mancavano tra le POPOLARI – a mio modesto parere – alcuni brani piuttosto noti. Tipo Raspberry beret e Sign o the times. Sono andato a dare un’occhiata. Anche loro – numeri alla mano – già in quel momento sarebbero dovuti essere tra i più POPOLARI. Invece di Delirious, per segnalare il caso più ovvio. Raspberry beret dopo un giorno era già a 8 milioni di ascolti volontari su Spotify. Contro 600mila di Delirious.
Altro caso curioso: i numeri bassissimi di Little red corvette. Non perché non sia POPOLARE – ma perché Spotify mette nella top 10 la versione da 3 minuti invece che quella da 5 minuti che è bollata come “Explicit” (versione che è molto più popolare – ma malauguratamente è colpevole di affermare: “Girl, you got an ass like I never seen, ow! And the ride is so smooth you must be a limousine”) (…so che non sarete particolarmente choccati) (ma nel 1983 queste erano parole inammissibili per le radio americane).
Successivamente ho fatto degli screenshot periodici dei sommovimenti della classifica, non ve li sottopongo perché immagino siano da maniaci (se però siete dei maniaci, scrivetemi in privato) (forse non è la frase più sagace che abbia mai scritto). Vi rendo partecipi solo di uno screenshot del 28 febbraio. La situazione è questa: Raspberry beret è entrata tra le POPOLARI, ma Delirious non se ne va. In compenso nonostante 10 milioni di stream accumulati è paradossalmente sparita Stare, data in esclusiva a Spotify nel 2015, e per un anno e mezzo suo unico pezzo disponibile chez la palla verde.
Mentre NON sono popolari, a tutt’oggi, nonostante il quorum superato,
Cream – 3,2 milioni
U got the look – 2,9 milioni
Pop life – 2 milioni
Darling Nikki – 2,9 milioni
Controversy – 2,1 milioni
Sign o the times – 2,9 milioni
Diamonds and pearls – 4 milioni
Breakfast can wait, dall’ultimo album – 2,1 milioni.
Nel caso di Prince, mi sembra di poter azzardare che fatta l’ovvia eccezione di Purple rain, i brani indicati come POPOLARI sono un po’ più funky e forse, come si è visto per iI problema di Little red corvette, meno sconvenienti dal punto di vista del testo (Darling Nikki è il caso più eclatante). Ad ogni buon conto, Delirious in pochi giorni ha tirato su 500mila ascolti che forse normalmente non avrebbe preso, e che certamente non hanno potuto riscuotere altri pezzi di notorietà eguale o superiore cui non è stata concessa questa sorta di raccomandazione (ho detto raccomandazione, non #complotto) (…però che bello dirlo).
E quindi? Brevemente: una percentuale molto alta di chi usa i servizi di streaming è un po’ passiva. E anche un po’ conformista. Oppure, semplicemente, si fida. Le classifiche, specie le top 50, sono estremamente apprezzate. Come per certe radio, c’è un pubblico molto ampio che esige i Grandi Successi. Che siano, possibilmente, contemporanei, moderni e allegrotti (“Che pezzo potremmo mettere dei Beatles? Sono tutte tristi” – affermazione rilasciata privatamente da un direttore della programmazione di grosso network radiofonico prima dell’avvento di Spotify). E ci sono pubblicitari, e consulenti musicali di serie tv, e DJ, e giudici di talent, e forse – tenetevi forte – persino giornalisti che magari, nonostante una cultura pop molte milioni di volte superiore alla mia e forse anche alla vostra, possono essere utilmente influenzabili. Perciò, come le radio, ecco che Spotify e – sospetto – le case discografiche indicano quali sono tali successi. E poi, in pura profezia autoavverante, i brani presentati come successi diventano successi. Sostanzialmente, Spotify ha preso il posto della radio nell’accontentare le case discografiche, che del resto in lei hanno investito, e non a caso non levano i propri artisti nemmeno quando, come l’anno scorso, i contratti di licenza scadono.
È un problema? No. È manipolazione? Un pochino. Ma in fondo, ne subiamo di peggiori, via.
Musica e manipolazione sono vecchi amici.
articolo interessante, come al solito. Ma Lady Jane non è dei Rolling Stones?
Dici bene, Sergio – ma non volevo interrompere la sequenza citata da Gianni Morandi nel ragazzo che come lui – eccetera.
Scusa ma com’è possibile che manca Musicology?
Touché!