“Middle of the road is trying to find me
I’m standing in the middle of life with my plans behind me
But I got a smile for everyone I meet!”
(The Pretenders: Middle of the Road, 1984)
Benvenuti alla seconda puntata del nuovo podcast di aMargine, Litigare Per La Musica, disponibile anche su YouTube, Spotify, AppleMusic, Netflix, Amazon, Disney, Sky, TikTok, TimVision, DAZN, Paramount, RaiPlay, Kataweb, Jumpy, Second Life, L’Osservatore Romano, Pokemon Go, Adunanza, Fortnite, Clubhouse, Pagine Gialle, Snapchat, Meerkat, Metaverso DC, Multiverso DC, Skype, Tinder, MySpace, Streamyard, Stream TV, Tele+ Bianco, Tele+ Nero, Radio Radicale, Just Dance (per Nintendo Wii). Ma non su Il Foglio. Mi dispiace. C’è un limite a tutto.
Detto questo…
Benvenuti a TheClassifica 41/2024!!!
Sì, anche. Proprio così, amici: oggi i due format più popolari di aMargine si incontrano e gemellano: il nostro team di analisti, oltre a contare ogni settimana tutti gli album straordinari distribuiti dalla megamultinazionale Universal, tutti gli album stupendi distribuiti dalla megamultinazionale Warner e tutti gli album sensazionali distribuiti dalla megamultinazionale Sony, incrociano big data senza sosta notte e giorno, e così facendo hanno scoperto che ci sono frange di lettori di TheClassifica che non conoscono Litigare Per La Musica, e viceversa.
Sicché, per questa edizione speciale a tiratura limitata pensata per l’anniversario (avete letto bene: mancano 39 anni e 11 mesi ai 40 ANNI dal debutto! Sembra ieri, vero?) chi, dico chi meglio dei Coldplay poteva unire questi due target così lontani?
“I constantly dream of the balance of things and the music between
If there’s anyone out there, I’m close to the end
If there’s anyone out there, I just need a friend”
(Coldplay, Moon Music, 2024)
IL NUMERO UNO. Music of the Spheres Vol. II: Moon Music – per gli amici, solamente Moon Music, e io sono amico dei Coldplay, per Giove, per Diana, per Selene. Cioè, quasi. Avrei potuto. Forse. Non so: una volta ho incontrato per caso il loro frontman in un albergo di Roma ma lui mi ha garantito di essere un suo imitatore – e c’era Gwyneth Paltrow a tre metri, e chissà, forse era davvero un imitatore, e pensate la Gwyneth come ci è rimasta quando lo ha scoperto. Ma forse nelle Sliding Doors della vita è andata a finire che dopo qualche anno il sostituto del cantante dei Coldplay ci ha preso la mano, anche se forse non proprio con la brillantezza del sostituto di Paul McCartney nei Beatles.
“COSA??? I Beatles???”
(perché a questo punto stiamo già LITIGANDO per i Coldplay, vero?) (sì, perché in questa edizione speciale di Litigare Per La Musica, io litigo con voi) (…perché lo so benissimo che sono l’unico che li trova interessanti) (oh, beh) (io, e tutti quelli che vanno ai loro concerti e che comprano i loro dischi) (anche se in Italia, i primi sono più dei secondi. Ma questo non vuol dire, succede con un sacco di gente)
I Coldplay, diranno i malevoli (voi!), sono una band scadente. Nel senso che la loro scadenza è programmata, annunciata, ancora due album e ciao, sono un gruppo che si sta sciogliendo lentissimamente ed è come se anche nei suoni volessero testimoniare questa irresistibile scioglievolezza preparata da maitre chocolatier. Ma forse è sempre stato implicito nel percorso. Un pezzo Coldplaico di 20 anni fa, God Put A Smile Upon Your Face (segnatevi il titolo) (e malgrado il titolo, uno dei loro pezzi più cupi) (e non sono nemmeno pochi. Questo era addirittura un singolo) era accompagnato da un video che sembra ricalcare il racconto del 1953 di Richard Matheson (segnatevi il titolo) Disappearing Act.
Erano sette anni che non andavano al n.1 in Italia nella classifica dei Presunti Album: non ci erano riusciti con la prima Musica delle Sfere, non ci erano riusciti con Everyday Life, due dischi sfilacciati, anche se a tratti obiettivamente illuminati nel loro essere frammentari come la Sinistra. Ed entrambi, proprio come questo Moon Music, in orbita attorno a un’idea di Coldplay che è ormai difficile da definire se non con dei gesti, al massimo delle espressioni facciali.
E visto che insistete, ci provo.
Di Moon Music dei Coldplay, Nella Mia Umile Opinione, si potrebbe dire:
Poi, visto che in fin dei conti voi avete pagato per leggere delle parole scritte, provo anche con quelle. Per quel che valgono.
Non posso dire che Moon Music sia un disco entusiasmante (quale disco dei Coldplay nasce per esserlo?): credo faccia acqua da tante parti, ma poi si finisce per scoprire che è un’acqua tiepida in cui si può nuotare con sorprendente facilità e sensazione di inconsueto (ancorché un po’ colpevole e negligente) benessere. È un album che contiene dieci tracce, e tra queste alcune sono a tutti gli effetti canzoni, tra l’altro scritte con un esercito di co-autori e svariati produttori –che sembrano tutta gente chiamata per ricordare a Berryman, Buckland, Champion e quell’altro (chiunque egli sia) che devono pur dare qualche canzone al loro pubblico affezionato. Non sono la parte strettamente interessante del disco, e non hanno nemmeno un reale mordente commerciale, non è certo il pop supremo ed esplicito di Magic o Every Teardrop Is a Waterfall, o quello lindo e liscio di Speed of Sound o Charlie Brown. In molti casi sembra di vedere al di là del vetro, durante la registrazione, tutti quei produttori che agitano davanti al cantante il cartello
PIANTALA E CANTICCHIA QUALCOSA, DIOBÒN
C’è persino un pezzo funky (Good Feelings, con la giovane nigeriana Ayra Starr). E poi sì, viva la vida e viva la viola e i violini (un centinaio, credo), viva le tantissime voci in capitolo, viva i le versioni diverse di We Pray scritta da dieci persone (tra cui il vecchio sodale Jay-Z) e cantata con colleghi che vengono da Argentina, Palestina, ancora Nigeria – ma sembrano tutti riempitivi, messi lì per ingannare il tempo tra i lunghi brani eterei e impalpabili che hanno l’aria di essere le vere pietre angolari di questo disco-tisana. Che molto difficilmente convertirà gli scettici.
Fin dall’inizio di questo secolo, i Coldplay sono un gioco giudicato con freddezza da Quelli Che Ne Sanno. La massima concessione di coloro che spiegano la vita e la musica e fanno mansplaining con tutti (anche e soprattutto con gli altri maschi), si sostanzia nel giudizio più inusitato e originale da quando si mettono i suoni nella plastica:
“I primi due dischi, abbastanza buoni. Poi – ”
(espressione sopraffatta da incredulità mista a nausea per essere costretti dall’iniquità della vita a parlare del gruppo o dell’artista in questione)
(questa)
Ho sempre pensato che i Coldplay fossero una versione più morbida e dolcemente piagnucolina dei Radiohead.
“COSA??? I Radiohead??”
LA PRENDO LARGA. Dovete sapere che Tananai ha dato a una delle sue nuove canzoni, ispirata dai suoi ricordi di gioventù e dai brani sentiti in repeat fino a notte fonda, il titolo Radiohead. Sì, come la canzone dei Talking Heads.
(hehe)
Perché ok, se l’intenzione è guadagnare punti di coolness, non intitoli un pezzo Coldplay, giusto? Nah.
Eppure oh, datemi dello scemo
(non sareste i primi)
ma io ritrovo nei Radiohead la radice di quel lamento e di quel rantolo di puro sconforto occidentale (“I know I’m dead on the surface, but I am screaming underneath”) – nonché una certa tendenza a dei loop melodici che davano l’impressione di un crescendo che – spoiler – alla fine della canzone non ti ha realmente portato in alto, anzi. non porta da nessuna parte (Let Down, Optimistic). Il primo disco dei Coldplay è del 2000. E io credo che più che in direzione dei Fratelli Gallagher, stessero guardando verso i Fratelli Grami: Jonny Greenwood e Thom Yorke. E stessero pensando: qui c’è qualcosa.
“You can try the best you can. You can try the best you can. The best you can is good enough”
(Radiohead: Optimistic, 2000)
“Am I a part of the cure, or am I part of the disease?”
(Coldplay: Clocks, 2003)
In ogni caso, ben poco di Moon Music è realmente litigabile. Tranne una cosa. Perché vedete, ci sono diverse parti che, buffamente, sembrano più prodotte da Braianìno di quando li produceva veramente Braianìno. Che tra l’altro, se ho visto bene, in Moon Music fa un cameo vocale (anche se “La sua voce non è dissimile dal suono emesso da una lepre colpita nel sedere da un fucile ad aria compressa” – cfr. Chrissie Hynde, 1974. Poi dicono dei critici musicali).
(“Sì, li produceva ma per i soldi”) (essendo povero, capite. Braianìno fa una fatica che non immaginate, ad arrivare al 72 del mese)
Ed è buffetto che questo braianìnismo affiori da un disco in mano soprattutto al prosaico Max Martin (per chi non avesse presente: Britney Spears, Backstreet Boys, Ariana Grande, Katy Perry, Taylor Swift), forse messo lì proprio per evitare che Berryman, Champion, Buckland e il quarto, coso, il frontman, perdano quel poco di gravità che gli è rimasta ed inizino ad ascendere alle sfere, al cielo pieno di stelle e arcobaleni e lune, e in fin dei conti, a Dio che li chiama a sé (poi, vai a sapere con quali intenzioni).
Io non credo di sorprendere gli eventuali fans qui presenti nel dire che da tempo i quattro barbini inglesi aspirano, più che al pop o al rock, a una specie di musica celestiale.
Ma non credo ci vadano vicino, per ora. Mi spiace, forse è un problema mio: pur mancando di gravitas, la gravità mi tiene a terra. Eppure rimango sinceramente affascinato dall’idea che ci provino.
Tanta gente va ai loro megaconcerti per i fuochi d’artificio, per cantare a diecimila decibel Paradise e Viva la vida come in un’adunata oceanica di rinati in Cristo, e loro – cristianamente – li accontentano, ma forse dentro di sé vogliono solo rantolare dolcemente in un angolo, guardando il cielo mentre intorno tutti quanti, bro, dicono di guardare #lastrada. (*) Dalla loro Lambo, beninteso.
Potremmo litigare a lungo su questo, vero? Ma alla fine, “your guess is as good as mine”.
RESTO DELLA TOP TEN. In tutto il 2024 è solo la seconda volta che un prodotto non ITALIANO va al n.1: quest’anno, che ormai ha già un piede nel 2025, ci era riuscita solo Taylor Swift. Il che va a dimostrare dimostra che americani e inglesi ne hanno da mangiare di pastasciutta: devono giocarsi i loro pezzi da novanta, se vogliono sperare di competere con Tony Boy e Tony Effe e tutti gli altri mezzi Toni dell’abbagliante Rinascimento musicale della vitalissima scena ITALIANA.
Locura di Lazza si fa momentaneamente da parte al n.2, mentre Vera Baddie di Anna continua con pervicacia a occupare il podio al n.3. Rimbalzo importante per il prestigioso Sfaciolate Mixtape di Yungest Moonstar, che sale di botto dal n.38 al n.4: devono aver rivelato a una quindicina di quindicenni che è il nuovo nuovo nome di ThaSup alias Tha Supreme, quindi devono ascoltarlo. Shiva scende dal n.2 al n.5, giusto in tempo per precedere un’altra nuova entrata, Astro, del rapper Astro da Salsomaggiore, al n.6. E c’è pure una terza nuova entrata in top 10, ed è mastro Marco Masini, che irrompe perentorio al n.9.
Lascia la prima diecina David Gilmour, che però resta in top 20, al n.18 – cosa che permette ai Coldplay di non essere gli unici non ITALIANI tra i primi venti. Fermo restando che quando loro ancora vivevano nelle palafitte, noi già ascoltavamo canzoni stupende, ed eccoci infatti ai
SEDICENTI SINGOLI. Naturalmente non si può pretendere che la nazione, che brulica di canzoncine piene di pop che i laureati analizzano con meritoria attenzione, passi il tempo ad ascoltare i singoli dei Coldplay, che ottengono soltanto un n.71 con We Pray, loro miglior risultato, ottenuto mobilitando Little Simz, Burna Boy, Elyanna & Tini e pure Jay-Z come co-autore. In vetta al podio rimane Per Due Come Noi di Olly, Angelina Mango & JVLI, seguita da TT le Girlz di Anna & Niki Savage. Al n.3 rialza minacciosamente la testa RossettoeCaffé di Sal Da Vinci, che se il Louvre si vuole prendere anche le sue opere oltre a quelle del nonno, non avremo niente da obiettare.
ALTRI ARGOMENTI DI CONVERSAZIONE. Brusco calo, quasi speculare, per i due album più amati dagli ITALIANI in questo decennio: Re Mida di Lazza batte il suo stesso record di permanenza (293 settimane consecutive) scendendo dal n.30 al 45, mentre il suo nobile inseguitore, Fuori dall’hype dei Pinguini Piacioni (288 settimane) scende dal n.40 al 55.
Momento storico per quanto riguarda le fette di mercato: Universal distribuisce 39 degli album in classifica, Warner 24 e Sony 22. Manca un bel po’ per arrivare a 100, e infatti ci sono 7 titoli di Believe e 6 di Self (e uno di questi è in comproprietà, l’album di Tony Boy). È un risultato notevole, e nelle tre megamultinazionali dovrebbero dormire preoccupati.
(ma no, se non dormono male pensando a certa roba che pubblicano, figurati se può disturbarli una cosa del genere)
Comunque, visto che al n.1 c’è un disco lunare pubblicato da Warner, è il momento di parlare di un altro disco lunare pubblicato da Warner. Venite avanti,
PINFLOI. Mentre Moon Music è al n.1 (ancora per qualche ora, credo) sale dal n.59 al 56. Ecco, forse dovrei paragonare il disco dei Coldplay e quello dei Pink Floyd.
“COSA??? I Pink Floyd??”
…Ok, me ne guardo bene. Anche le copertine, vi sembra abbiano qualcosa in comune? Però mi corre l’obbligo di segnalarvi che in classifica ci sono Astro, Sirio (di Lazza, n.19), Eclissi (di Tananai, n.49), Astroworld (di Travis Scott, n.67), Pianeti (di Ultimo, n.97) e Gemelli – Ascendente Milano (di Ernia, n.99). Perché sapete, la luce buona delle stelle lascia sognare tutti noi. Grazie per aver letto fin qui, a presto.
…
(*) (cfr, più o meno, ancora Chrissie Hynde, ma soprattutto Oscar Wilde).