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Arriva un Crossfire Hurricane. Meglio tardi che mai

La Beatles Anthology è il racconto di un’era attraverso una band. Crossfire Hurricane è il racconto della rockband che ha inventato tutte le rockband. E come tale, è una cosa con qualche pretesa in meno. Appena un po’. Crossfire Hurricane_GQ_02Oct12_imagenet_b_642x390

Fermi, adesso. Non è stucchevole proporre il sempiterno confronto tra Beatles e Rolling Stones, perché più di altri prodotti consimili usciti nella continua autocelebrazione di quel vegliardo chiamato rock’n’roll, Crossfire Hurricane (nei cinema il 29 e 30 aprile. Poi basta, puf, solo in dvd – già in commercio) somiglia alla straordinaria, irripetibile Anthology – tuttavia sceglie di rispettare la proporzione. Anche nel formato: i pochi anni di vita dei Beatles, sono spalmati su 8 DVD. Per contro, i tanti anni di vita dei Rolling Stones, sono condensati in due ore di film.

Personalmente, avendo buttato tanto tempo della mia vita a leggere biografie e guardare ogni tipo di materiale filmato attinente ai vecchi besughi (sentendomi raccontare la stessa strana storia in cento varianti come fosse quella di Pinocchio) incorono senza meno Crossfire Hurricane come la migliore cosa mai realizzata per raccontarli, in cinquant’anni (…meglio tardi che mai). Ha molti meriti: non è strettamente documentaristica come 25×5, non è pallosa e antiquaria come Shine a Light di Scorsese, e rispetto ai libri non è frutto di una fantasia narcisistica come Life di Keith Richards – né tampoco insipida come According to the Rolling Stones. Rispetto a tutti questi, poi, come racconto è perfettamente godibile anche da chi non è strettamente un fan. Il Rollingstoniano osservante dirà che parecchia roba parecchio importante è stata lasciata fuori. Eppure, il racconto risulta impeccabile ed esauriente, Ma tagliamo corto: ecco in cosa Crossfire Hurricane non è un rockumentary prevedibile:

1. Il colpo di scena finale. Ovviamente non ve lo anticipo. Ma siamo dalle parti del finale dei Sopranos e del Sesto Senso. Cioè, si rimane davanti allo schermo pensando: “Doh!”

2. Le voci da vecchietti degli Stones, soprattutto Mick Taylor e Bill Wyman – e la voce per contro sempre scioltissima, in modo quasi inammissibile, del 70enne Jagger.

3. I frammenti di diverso cinema presi a prestito: il Jean-Luc Godard di One Plus One per le sessions di Beggars Banquet, il cinema-verité di Robert Frank per Cocksucker Blues, il reportage drammatico di Gimme Shelter, il già citato Scorsese e altre immagini griffate (Hal Ashby, Peter Whitehead, Michael Lindsay-Hogg, Julien Temple).

4. Chuck Berry non viene mai, mai, mai citato. Jagger cita Little Richard, ma nessuno, nemmeno Keith Richards, cita il padre del loro sound. Forse c’è qualcosa sotto.

5. Le immagini incasinate ed eccitanti dei primi anni mostrano come per qualche motivo a loro stessi inspiegabile, gli Stones causano disordini in qualunque città del mondo si presentino (da Varsavia a Milano). Poi, c’è Altamont, il grande abisso, la controWoodstock di morte e delirio a poche settimane dai tre giorni di pace e amore. Da lì in poi, i Rolling Stones si prendono la responsabilità di far virare la musica. Parte la stagione del glam, del jet-set, di Angie e It’s only rock’n’roll (una dichiarazione programmatica e una sorta di presa di distanze dalla simpatia per il diavolazzo del 1968) che consentirà al punk di presentarsi come la musica della rivolta. Ma a quanto si vede, non era che un circuito che si era interrotto. Viene da pensare, incidentalmente, anche al rancore di Pete Townshend per essere stato ammassato tra i dinosauri dai giovani punk, quei discepoli di un movimento nato tra gli stilisti.

6. “Non puoi essere giovane per sempre. No?” (Mick Jagger, 2013)

7. A partire dal 1969, con il grande disastro di Altamont per l’appunto, è evidente che nessuno nel gruppo ha più una vaga idea di cosa succede nel mondo. E questo è IL problema del rock, di tutti gli artisti rock: anche in questo caso loro sono i primi ad entrare in questa fase: quella dei rocker professionisti. Con tutta la mitologia pret-a-porter di contorno: “C’era un ruolo disponibile, ed era fatto apposta per me”. (Keith Richards)

8. Non c’è nessuna retorica nel racconto, nessuna concessione eroica, tranne ovviamente da parte di Richards. “Dovemmo andarcene da Londra perché eravamo diventati troppo pericolosi”. Jagger: “A Keith piace dire così, ma la semplice verità è che ce ne andammo in Francia perché eravamo massacrati dalle tasse”. Oppure: “Quando ci informarono che Brian Jones era morto, ci guardammo e dicemmo: Finally”.

9. Il concerto rock è un’invenzione che si deve per metà ai Rolling Stones (il restante 50% lo suddividerei in cinque fette tra Led Zeppelin, Who, Jimi Hendrix, Jim Morrison e Pink Floyd) (…non lo dico per fedeltà) (a uno dei nomi succitati voglio molto più bene che ai Rolling Stones) (in effetti, personalmente da tanti anni non sopporto i Rolling Stones) (sto cercando di essere – come si dice – obiettivo). Nemmeno Elvis aveva bene idea di cosa fosse un rock show, per cui quelle volte che si esibiva dal vivo prendeva spunto dagli happening country nelle fiere del Midwest. E’ molto buffo vedere Jagger in cerca di espedienti da palcoscenico, cercando di rifarsi soprattutto alle star nere, da James Brown alla piccola Tina Turner. D’altro canto, come succedeva anche per i Beatles, nella prima metà degli anni 60 i concerti erano rapide, incasinatissime apparizioni in mezzo a migliaia di ragazze urlanti (Bill Wyman: “Vedevamo sotto le sedie un fiume scorrere, ed era la loro urina”), gente che dava di matto, la polizia che manganellava. “Scommettevamo su quanto tempo saremmo riusciti a suonare prima che la situazione diventasse incontrollabile. “Stasera dieci minuti?”, ci dicevamo. “Venti? Cinque?”

10. “Certo che i giovani sono insoddisfatti. Sono insoddisfatti di quella generazione che comanda le loro vite”. (Mick Jagger, 1965)

11. I giornalisti degli anni Sessanta, del tutto impreparati di fronte al rock e quindi a loro modo molto più spontanei, non andavano a cercare ossessivamente un LEADER nel gruppo. Ritenevano egualmente interessanti tutti i componenti, e non lasciavano Charlie Watts e Bill Wyman in un angolo. Poi, a partire dalla fine del decennio, l’intervistato è praticamente solo Jagger – che peraltro, paragonato a frontman di altri gruppi, è molto più riflessivo e onesto (lui, il Grande Cinico) di quanto uno si aspetterebbe.

12. “Non lasciare che la verità rovini una bella storia”. (Bill Wyman, 2013)

2 Risposte a “Arriva un Crossfire Hurricane. Meglio tardi che mai”

  1. Mi ricordo di un’intervista in cui Keith Richards malediceva i Led Zeppelin perché nelle loro tourneé americane suonavano per 3 ore, obbligando gli Stones a diluire il loro concerto, che a fatica arrivava a un’oretta, quando andava bene 😀

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