AMARGINE

Quando Raf ci tormentava

«Un giorno andai a presentare Self control in uno show ripreso dalla Rai al palasport di Pistoia. Dietro le quinte mi chiedevo se qualcuno avrebbe applaudito o riconosciuto il mio nome tra tanti più famosi di me. Quando venne il momento di entrare in scena udii un boato e mi chiesi: che succede? Cantai il pezzo in playback senza capire bene. All’uscita, mi avviai al parcheggio e vidi centinaia di ragazze correre. Solo quando le ebbi a un metro capii che inseguivano me. Salii in auto mentre quelle mi strappavano i vestiti. Scappai. Non sapevamo ancora che il pezzo stava decollando così, non ce lo aspettavamo. Dopo qualche chilometro ho accostato, e son rimasto un quarto d’ora fermo, col fiatone e il cuore a mille, a fissare nel vuoto ripetendo: “Ma cosa sta succedendo?”».
(N.B.: la seguente intervista è stata realizzata nel giugno 2017, e in parte pubblicata dal Corriere della Sera)
 
Mi spiace, ogni volta che ti intervisto ti chiedo di Self control.
Ogni volta che CHIUNQUE mi intervista, mi chiede di Self control… No, beh, a onor del vero è così da una quindicina d’anni. Per un po’ anche chi mi intervistava la separava dal resto della mia carriera, forse perché sapevano che non ne parlavo. Comunque ora è praticamente un passaggio obbligato di ogni intervista. La mia curiosità è per la seconda canzone di cui mi chiederanno conto.
Che di solito è…
Molto spesso Cosa resterà degli anni 80. Ma anche Il battito animale, Gente di mare, Infinito, Si può dare di più
La seconda canzone nel mio caso è Allegro tormentone, anno 2001.
Eh, siamo a giugno, certo, bisogna prepararsi. Con quel pezzo un po’ ci avevo preso, no?
“Spicca spensieratamente un trallallero-reppeppeppe- a bailar!…”
E poi, “Niente mi salverà da una stupida canzone”.
Era ironica. E non succedeva spesso, no? Mentre oggi il brano estivo ha l’ironia incorporata di default.
Dipende, credo che pezzi di molti anni fa come Tropicana del Gruppo Italiano o Vamos a la playa, per non parlare di quelli di Edoardo Vianello, avessero uno sfondo ironico che però forse non veniva riconosciuto come tale. Non era ancora stata scoperta l’ironia, c’era al massimo il goliardico, il demenziale. In ogni caso credo che esaurita la ripetizione quotidiana a martello del tormentone che lo rende realmente inascoltabile a settembre, gli anni successivi possano rendergli giustizia. Cioè, anni dopo si finisce per non odiarli più e spesso rivalutarli, distinguerli dalle cafonate pop o da brani sguaiati scritti magari dai comici. Non tutti, certo. Ho notato che il tempo sembra conservare quelli che nel bene o nel male contenevano qualcosa…
Che cosa?
Qualcosa che aveva la capacità di rimanerci dentro. Vamos a la playa esprimeva qualcosa, è stata una specie di simbolo di quel tipo di disimpegno, di quell’epoca. Asereje mi sembra di no.
Comunque i pezzi appiccicosi ci sono sempre stati, no?
Sì, anche negli anni 40 e 50: alla fine senza queste manie sonore la musica rischierebbe di essere troppo seria. Invece è anche istinto e divertimento: la canzone popolare è tale perché arriva a molte persone e lo fa con qualcosa di semplice e immediato ma con una sua originalità e autenticità come tanti evergreen degli anni 60, 70 e 80.
Se ogni tormentone definisce un’epoca, cosa ci dicono quelli di oggi?
Ogni epoca ha la sua musica: il rock e la disco music non sono i linguaggi della nostra: sono stati soppiantati da hip-hop, EDM e reggaeton. D’altra parte il rock è più vecchio – però attenzione, perché l’hip-hop non è nuovissimo, anzi io lo seguivo attentamente negli anni 80 e vent’anni fa pensavo avesse detto tutto. Quello che ho sottovalutato è che proprio come il rock negli anni precedenti, anche l’hip-hop si è trasformato in un calderone in cui sono entrati tanti altri generi e influenze che lo hanno rigenerato, dal pop al jazz ai ritmi latini. Ed è capace di farlo anche perché è flessibile, si adatta alla velocità frenetica con cui i ragazzi consumano musica oggi.
A proposito del reggaeton, dal punto di vista ritmico cosa ne pensi?
Guarda, io ho elaborato persino una teoria sul nostro rapporto col ritmo e l’ho cantata in Salta più in alto: “Come il battere del cuore è un linguaggio universale che vive dentro te: è nel codice del dna, e risponde a un tempo in quattro quarti”. Il nostro muscolo cardiaco batte come quella che in gergo si chiama cassa in quattro. Su quella cadenza basta costruirci, cambiare qualche accento e ci si può fare dance, rock, pop, hip hop. Il reggaeton ha una cadenza più lenta, sinuosa, sensuale, ma non so quanto sia dentro di noi.
Nel senso di quel famoso Battito animale.
Non so se parlo perché sono di un’altra generazione, anche se mi pare di capire che il reggaeton piace a tutte le età. Ammetto di non avere ancora capito quanto ci sia imposto e quanto faccia davvero vibrare qualcosa dentro a un pubblico come quello italiano. Perché comunque per la sua diffusione ci sono motivi culturali, storici: i rapper Usa hanno sdoganato la musica latinoamericana che prima veniva ghettizzata, loro l’hanno resa accessibile. Poi magari diventa trenino nel villaggio vacanze, ma è tutto un altro discorso.
Tu con la hit estiva hai un rapporto di odio-amore. Con Self control, come accennavamo anche prima, hai fatto pace solo in anni recenti.
Già, è stata come una separazione consensuale, un periodo di riflessione… Come due coniugi, no? Entrambi abbiamo seguito un proprio percorso. Che fa sì che lei sia ancora richiesta per una pubblicità, e io invece di tentare di ripeterla sia riuscito negli anni successivi a ottenere buoni risultati con generi diversi. Anche se poi fammi precisare che la hit come concetto non mi ha mai fatto schifo – solo che ho sempre voluto farla con il mio gusto personale. Devo riconoscere che malgrado il nostro rapporto difficile, in questo Giancarlo Bigazzi mi lasciava un certo margine. Lui ci sapeva fare, era l’uomo di Luglio, col bene che ti voglio di Riccardo Del Turco, di Ti amo con Umberto Tozzi… e di Gente di mare con Raf e Tozzi.
Self control è l’antitesi del tormentone odierno. Nel senso che non l’hai cercata, vero? Mentre oggi il brano estivo è un lavoro d’equipe soppesato in ogni aspetto che parte già a novembre.
Guarda, non è che non l’abbia cercata. Speravo funzionasse, che fosse un piccolo successino. Ma era un tentativo di uno che all’epoca non era nessuno. Non fosse piaciuta, avrei provato qualcos’altro. Quando l’ho incisa non pensavo minimamente a quanto mi sarei esposto. Stavo pure facendo il militare. Non pensavo al successo come cantante, mi vedevo come autore. Il mio percorso era stato lo ska con Ghigo Renzulli e i Café Caracas, sul palco dei Clash, renditi conto. Anche il giorno in cui mi anticiparono che Laura Branigan l’avrebbe incisa per il mercato americano, era come se stessero parlando di qualcosa che riguardava il nostro team, non me personalmente.
Lei la portò al n.1 negli Usa ma tu sei entrato in classifica in un bel po’ di Paesi.
Dalla Germania al Giappone, dalla Francia all’Olanda… La promozione era massacrante, ricordo una sensazione di sfinimento continuo anche se qualche aspetto era gratificante, ovviamente. Ma capii subito che quella cosa che mi chiedevano di essere, io non la potevo dare. Pensavo: “Posso anche fare canzoni pop, ma non la popstar”. Sapevo che se avessi seguito la strada di Self control con un altro tentativo dance, sarei finito come le meteore dell’epoca.
Comunque guardando le top ten di quegli anni, sei più presente in quelle estive. Self control, Gente di mare, Ti pretendo, Due, Sei la più bella del mondo… Eri l’uomo del Festivalbar.
Beh, veramente, volendo ho vinto anche un Sanremo come autore.
Appunto. Non come cantante. Forse hai una voce estiva. O i tuoi arrangiamenti sono estivi.
Una volta ero ospite in radio nel programma di Linus, e lui disse: “Esce un brano di Raf e ci accorgiamo che è arrivata l’estate”. Quella cosa mi ha molto colpito, non pensavo di essere identificabile con una stagione e per di più con l’estate. Non so del tutto spiegarmi come mai così tanti miei album sono usciti a ridosso dell’estate.
È strano pensare che pezzi non precisamente euforici come Oggi un Dio non ho, Siamo soli nell’immenso vuoto che c’è o Malinverno siano stati ascolti balneari.
Non poteva succedere ai tempi di mp3 o streaming, succedeva ai tempi delle cassette o dei cd in auto, che tra l’altro permettevano agli album di esistere anche d’estate. Poi cambiano le auto, e cambia la musica, tu pensa i dettagli da cui dipende un intero mercato… Oggi lo streaming richiede ragionamenti completamente diversi, e sicuramente le radio e le case discografiche sono molto più precise in materia di musica estiva. Ritmi più rilassati, testi che parlano di viaggiare, di libertà. Tu prima parlavi dell’ironia, ma un’altra caratteristica della hit estiva è la dichiarazione esplicita della sua funzione, sai le frasi tipo “È arrivata l’estate, eccola qua…” O al contrario “Un’altra estate se ne va”, se il pezzo vuol vendere a settembre.
Io comunque ti intervisto come autorità sulle hit estive ma quest’anno hai saltato.
…Ecco, vedi? Comunque il disco è quasi pronto, forse poteva già uscire a settembre ma mi hanno suggerito di rimandarlo, il calendario è diventato terribilmente strategico per i discografici. Quindi credo che ci rimetterò anche un po’ mano perché oggi in pochi mesi nella musica succedono molte cose. Ed è vero che ci sono canzoni che anche cambiando d’abito non perdono forza, ma al contrario tante altre sono costruite proprio puntando su suoni più contemporanei possibili. Quindi, siccome ci tengo molto, rimetterò mano al tutto per cercare di sintonizzarmi il più possibile con il 2018 in arrivo, cosa che forse porterà la pubblicazione ancora più avanti… Vedremo. Il fatto è che essere in anticipo sui tempi è un peccato, ma essere in ritardo è peggio.