AMARGINE

Io. Che non so un tubo di concerti. Cap.I. Nine Inch Morissette, Alanis Nails

(Sombrero introduttivo)

Non so se siano i social network che enfatizzano tutto l’enfatizzabile (e anche il resto) ma nell’estate 2014 ho avuto la sensazione che tutte le mie persone di riferimento si recassero ogni santissima sera a vedere qualcuno suonare. (spoiler! Poi tornerò su questa espressione: “Vedere qualcuno suonare”)
Quando non manifestavano magna disperazione per non poter essere a una qualche liturgia suonata.
O quando non postavano con salterino entusiasmo la notizia di un qualche artista che faceva una significativissima cover.

Io sono sempre stato frigidino in materia. Anche se c’è in giro chi potrebbe testimoniare di avermi visto danzare scimpanzoso per tutta la durata di un qualche show, io continuo a individuare le mie vere folgorazioni musicali – e sono MIGLIAIA, bastardi – nell’ascolto di musica registrata. Qualche volta anche registrata dal vivo, eh (…con qualche fantasticheria adolescenziale al traino) (che so, su come fosse lo scenario in cui i Depeche Mode eseguivano Tora! Tora! Tora! – retro dell’EP di Get the balance right) (o su quali movenze di Jagger mandassero così in visibilio il pubblico durante Midnight Rambler al Madison Square Garden nel 1969 – su Get yer ya-ya’s out)

Oh, sentite. Ma sì, certo che ne ho visti, di grandi concerti.
Ma ne ho visti anche di brutti, Santippe.

Belli o brutti, durano sempre tanto. Colpa dei Led Zeppelin, diceva Keith Richards: “Noi negli anni 60 facevamo show di un’ora, poi sono arrivati loro e rimanevano sul palco così tanto che sembrava non avessero un posto dove dormire”. (…forse lo avevano distrutto nel pomeriggio)

Ma sto conducendo il cane in giro per il pollaio, questo rilievo è meno importante di quello che segue.

Mai un grande concerto o un brutto concerto ha modificato la mia idea di un artista o un gruppo. Ho sempre attribuito al concerto una specie di connotazione aleatoria: se un tale è grandissimo dal vivo – o viceversa, va a rane dopo dieci minuti che è sul palco, non è rilevante. Non significa NULLA. Può capitare. Del resto c’è gente che ha fatto la storia del pop e del rock che non ha legato il suo nome a show leggendari. A qualcuno frega qualcosa di non aver mai visto i Beatles dal vivo?

Però siamo immersi in un evo in cui c’è grosso consenso figo nei confronti dell’evento live. Discografia in crisi? Niente paura, i concerti ci faranno capire chi vale davvero. Quante volte l’avete letto o sentito pronunziare?
A un certo punto mi è sembrato persino di dovermi giustificare, perché in un momento storico in cui i concerti piacciono a tutti giacché sono la bella salvezza della musica e di noi tutti, salto fuori io che sentenzio tutto pompidou che a me non frega praticamente niente di assistere a un’esibizione dal vivo, pfui a tutti voi!
Mi sono fatto le dovute domande: sono sempre stato così? O invece è un atteggiamento in risposta a una presunta, inevitabile, esponenziale serialità dei concerti? Oppure uno snobismo di fronte a quella che è sempre più una messa cantata, un venite adoremus quasi acritico. Perlomeno da parte dei fan: i mediapeople che vanno ai concerti agratis sono poco attendibili.

Il che mi conduce alla Porta del Problema, tutta dorata come in Stargate. Sono anch’io un mediapeople. Quindi sono poco attendibile. Giusto?
Beh, sì, certo. 

A voi magari questa cosa non vi infastidisce, magari venite qui giusto per farvi due risate ai danni della musica dipendente (in contrasto con: musica IN dipendente) decantata o canzonata con una certa regolarità. Ma io! Io devo farci i conti, con questa cosa di essere poco attendibile (…per non parlare del fatto di essere un mediapeople, ma ormai non c’è rimedio, temo) (anche se non ho del tutto rinunciato al mio sogno di fare il giardiniere o l’insegnante di Storia dei clan scozzesi).

Così ho pensato di guardarmi un po’ dentro, di fare una specie di psicoconcertoterapia, per individuare l’eventuale trauma, sradicarlo e diventare anch’io come tutti e fluttuare in una meritata serenità. Oppure no, per scoprire che ho ragione io, e venire sotto casa vostra per svegliarvi e lasciarvi degli opuscoli. Questa serie si prenderà la briga di riferire, ogni volta, di un paio di concerti cui ho assistito. Uno che mi è veramente piaciuto, uno che mi è veramente spiaciuto.

Questa potrebbe essere la prima cosa che scrivo veramente da BLOGGER.

(…blimey)

E dopo tanta introduzione, veniamo ai primi nomi scelti da un elenco che ha richiesto del buzzo e del buono, per essere compilato. Ma d’altro canto, non ho passato agosto su un materassino. E voi nemmeno, sembrerebbe. Partiamo da due concerti quasi contemporanei. Vi avverto, sarò elusivo su molti dettagli. Ma non perché c’è dietro una metodologia. Perché sono troppo pigro per googlare e controllare.

ALANIS

Credo che quella volta che vidi Alanis Morissette fu un ottimo esempio di come certi artisti, dal vivo, annegano nella convenzione del rock, in ciò che ci si aspetta da loro. In quella fase Alanis Morissette era ancora tenuta, per fama e volume di vendite, a fare un grosso concerto rock con ingente impiego di watt. E proprio mentre lo faceva, appariva con preclara evidenza che le sue canzoni erano fatte per un consumo individuale. Tanto individuale che la più sensata condivisione plurima di un suo brano che io riesca a concepire era quella del suo video in cui quattro Alanis se ne andavano in giro in macchina insieme cantando. Ancor oggi quel video (Ironic) rimane uno dei tanti apici della produzione di videoclip degli anni Novanta, non ho mai più visto così bene (ir)realizzata l’ansia di trovare dei propri simili – ma nel vero senso della parola.
(se non forse a una blogfest di fine anni zero)
I pezzi sembravano tutti uguali, il pubblico pareva lungi dalla felicità e dalla partecipazione, ma troppo intimidito per manifestare una qualche forma di perplessità. E certamente, nessun brano di Alanis Morissette può essere condiviso con balli e cori tuttinsieme, ué, ué. Dal punto di vista visuale, tutto si reggeva sui capelli dell’artista, e sul loro sollevarsi – in guisa di giostra volgarmente detta calcinculo – durante le sue giravolte (credo che anche Stevie Nicks dei Fleetwood Mac facesse questo numero. Molto seventies, in effetti. Non il tipo di escamotage da palcoscenico che sfoggerebbe Rihanna).

Il pezzo più eclatante fu una versione estremamente elettrica di Baba, con la voce di Alanis puro strillo di strega – lo dico nel senso migliore della parola, per così dire: sto pensando alle donne delle Dolomiti che nei secoli scorsi venivano processate e condannate sostanzialmente per il fatto di avere una personalità ed essere donne. 

Oggi i suoi dischi, forse il suo stesso tono di voce, suona parecchio datato – non lo credereste, che fosse il contrario all’epoca. Credo che abbia avuto tantissimo (e meritatamente) in una botta sola, negli anni Novanta, mentre oggi non le sia del tutto riconosciuto lo spintone che ha dato alla nostra idea di scrittura rock. E no, non parlo di rock al femminile, non la inserirò a forza in una qualche scena di riot grrrls e via buscadereggiando. No, il bello di Alanis era che era un prodotto Warner, anzi di più, era un prodotto Disney. E poi all’improvviso aveva aperto le cateratte di se stessa, era diventata una Lilith accessibile, comprensibile. Il suo urlo di rancore, di vendetta contro il maschio ma prima ancora, contro le catene autoimposte di femmina, arrivò come un’ondata tellurica a tutti quelli (maschi e femmine) che erano giovani in quegli anni, tra i quali potreste mettere anche il sottoscritto.

La Warner poi era la stessa casa discografica di Madonna, che aveva sempre incanalato il suo girl power al servizio di un furbo progressismo. Con Alanis, era una botta di fiele e disperazione senza controllo, una versione femminile di Kurt Cobain in cui a cantare non era un malinconico puer che delegava la sua sessualità a una furba mogliazza burattinaia, ma la forza potenzialmente ancora più autodistruttiva di una donna che non trovava un senso. Questo, perlomeno, fino al secondo disco. Che non era affatto un brutto disco, a parte il titolo fastidioso Supposed Former Magicabula eccetera. Ma il cui proclama era Thank you – una sfinita dichiarazione di resa adagiata su una marmellata mistica.

Era più che evidente che la ragazza non aveva nessuna intenzione 1) di suicidarsi 2) di fare la rockstar per noi. Se non che, la pagavano molto bene per farlo.
(fare la rockstar, non suicidarsi)
E quindi visto che proprio glielo chiedevano, saliva su un palco a sfogare la propria nevrotica insoddisfazione in pubblico.

Mi annoiai molto, ma non gliene ho mai voluto.

NIN

Per quanto mi riguarda, l’idea di “veder suonare qualcuno” è sempre stata un po’ una stupidaggine. Già l’espressione sottolinea quanto siamo un po’ tutti dei babbioni che vogliono vedere della figaggine visiva in chi suona. Dicono che la cosa sia nata con Chopin, con le nobildonne che svenivano guardando le sue dita delicate che titillavano i tasti. Davvero, molto del mio astio nei confronti del concertismo nasce da questa espressione. Cos’è, andiamo a vederli per controllare se sanno suonare, o se è tutto un MilliVanilli? Per vedere “come lo fanno”? Ah, vedi, questa la canta con la chitarra, quest’altra la canta seduto con il luogotenente di fianco alla chitarra acustica? No, penso che molto spesso andiamo (anzi: andate) (io sto a casa più che posso) a vedere l’epifania, Iesus che si manifesta in mezzo a noi che nonsiamodegni, nonsiamodegni!

Tutto orgoglione di questi miei preconcetti, non posso fare a meno di ricordare semiattonito l’esibizione, se non ricordo male a Monza
(…di tutti i posti)
dei Nine Inch Nails.

Erano incastonati all’interno di un megafestival, all’interno del quale non dico che non se li filasse nessuno, ma siamo lì. Questo perché in quella fase della loro carriera non erano più La Cosa Nuovissima E Tanto Eccitante. Ma ecco che dopo dieci minuti di musica, un disagio immenso era calato sul pubblico, e il mondo sembrava perdutamente buio. E anche sul palco era quasi buio, tranne qualche luce giallastra, e loro sembravano quelle marionette cinesi, avete presente? Era come se stessero mettendo in scena il più cupo dei futuri distopici.

Che strana cosa. Perché in fondo anche tutte queste – scava scava – non erano che canzoni, no? Suonate una dopo l’altra, senza una parola in mezzo, con foga ma senza un’occhiata al pubblico. Però era intrattenimento. Doveva esserlo. Gente che sale sul palco e suona, per gente che paga un biglietto e sta lì. C’era forse un piacere, nell’assistere al tutto? In che modo tutto ciò era imparentato con le esibizioni di Elvis o di James Brown o di Bruce Springsteen? Eppure sì, era un piacere vederli. Era angoscioso, ma esaltante e ipnotico, come Silent Hill o Doom o altri giochi di quell’epoca, senza i morti, volendo – a meno che non fossimo noi (wow). Era un mondo che non vorresti mai vedersi compiere ma ormai era semplicemente troppo tardi, dovevi vederlo tutto.

Verso la fine, in un silenzio sinceramente impaurito, Trent Reznor si mosse verso il microfono come per parlare. E non lo dimenticherò mai, cosa disse.
“Non ho niente da dirvi. Mi dispiace”.

Era troppo.

Anche per lui, credo. Infatti poco dopo disse “Okay, dovete scusarci, ma è stato un periodo molto duro, però vogliamo ringraziare tutti voi e quelli che ci sono stati vicini”, e blablabla, per un paio di minuti.

Ci fu un moderato applauso, come per lavare via la tensione.

Il concerto finì, e dentro di me sono abbastanza sicuro che chi c’era non si è divertito per nulla.

Ma non gliene ha mai voluto.

5 Risposte a “Io. Che non so un tubo di concerti. Cap.I. Nine Inch Morissette, Alanis Nails”

  1. bellissimo post, ma, non volermene, non ho capito, dei due, quale ti è veramente piaciuto e quale veramente spiaciuto…

    1. Gosh.
      In tal caso, non è un bellissimo post.
      Comunque, Alanis mi ha veramente annoiato. Uno dei 10 peggiori concerti che io abbia mai visto. Mentre il concerto dei Nine Inch Nails lo considero uno dei 10 migliori concerti che io abbia mai visto.

      1. no non era una battuta, il post mi è comunque piaciuto!
        p.s. uscito il nuovo degli u2, io non l’ho ancora ascoltato (sto a lavorà uff)
        ne parlerai?

  2. Bell’articolo. Fanne altri.Ma ora hai messo anche i captcha? Tu i commenti non li vuoi, ammettilo, poi magari ti tocca pure leggerli 🙂

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