“If the band slows down, we’ll yell for more”
Come il rap, il rock and roll nasce come musica per ballare. Poi ambedue hanno perso questa connotazione, si sono incupiti, sono diventati aridi ma anche avidi – e col tempo, entrati nella mezza età, sempre più pesanti e saccenti.
Ancor oggi, ascoltando Rock Around the Clock si coglie – al di là del sapore di revival che del resto è stato magnificato negli anni 70 da American Graffiti e Happy Days – una vitalità ingenua ma inestinguibile proprio come capita con Rapper’s Delight della Sugarhill Gang. Con la differenza che non è stata una pietra miliare su cui si è basato ciò che è venuto dopo. A differenza dei brani di Chuck Berry, Little Richard ed Elvis, non ha creato una scia di cover e imitazioni declinate in vario modo. Forse anche perché da suonare non è facilissima per le band da tre accordi. O forse perché non la puoi realmente fare tua. A meno di fare come Malcolm McLaren che la fece fare in versione cretinetta da Ten Pole Tudor e quanto rimaneva dei Sex Pistols, per The Great Rock’n’Roll Swindle.
Ma c’è anche il dettaglio non da poco che Bill Haley non era quello che oggi potremmo identificare come un rocker. Era un missionario del divertimento americano, un giramondo del Michigan che faceva il bandleader dal 1947, e la sua missione era appunto far ballare la gente. “Mettiti i tuoi stracci allegri, e unisciti a me”, incita in Rock around the clock. “E se la band rallenta, gli grideremo di spingere ancora”. All’inizio faceva country and western, poi iniziò a tener d’occhio il rhythm’n’blues dei neri (incidendo un brano di Ike Turner, Rocket 88). A un certo punto, con lo stesso istinto con cui nei primi anni 60 si sarebbe buttato a capofitto nel twist, iniziò a mescolare i due generi, enfatizzando le cadenze ritmiche, per esempio in Crazy man, crazy (scritta da lui stesso).
Rock around the clock nasce nel giro discografico di Philadelphia. Haley aveva ricevuto il brano dai rodati autori Max C. Freedman and James E. Myers (nessun altro brano memorabile da segnalare sul loro curriculum) ma per motivi legali si attardò un po’ a inciderlo, perciò il primo a farlo fu l’italoamericano Pasquale Salvatore Vennitti (cioè Sonny Dae), con uno stile tra il boogie woogie e il jump di Louis Jordan. Divertente, ma nulla in confronto alla carica energetica dei Comets di Haley. Nella loro versione, il contrabbasso di Marshall Lytle, ancor più della batteria quasi swing di Billy Gussak, è la locomotiva che tira gli altri vagoni, due in particolare: il sax di Joey D’Ambrosio e la chitarra del sessionman Danny Cedrone (morto cadendo dalle scale poche settimane dopo la registrazione), che hanno fatto molto per l’idea che nei brani rock ci dovessero essere degli assoli. Per non parlare dell’irresistibile break strumentale con tutta la band compatta sulle battute della base ritmica (trent’anni dopo, David Bowie ci avrebbe costruito Lust for life per Iggy Pop).
Poi, è arduo negare che a contribuire alla fortuna del pezzo sia stata anche la parola “rock”, apparsa al punto giusto nel momento giusto. All’epoca si stava affacciando più nel gergo musicale che in quello popolare, e non convinceva tutti e due gli autori del pezzo: “Perché vuoi chiamarla Rock around the clock? Che vuol dire? Perché non Dance around the clock?” Myers rispose che l’istinto gli diceva che suonava meglio – e che i diritti di pubblicazione erano suoi, quindi si faceva come voleva lui.
Milt Gabler, il produttore di Haley (e di Louis Jordan oltre che di Billie Holiday) ha poi detto: “Sapevo che il rock stava nascendo. Crazy man, crazy aveva funzionato bene e volevo continuare in quella direzione”. Ma per il lato A del singolo, insistette su Thirteen Women (and Only One Man in Town), quindi il 20 maggio 1954 Rock around the clock venne pubblicata come lato B.
Ma anche se nascosta, era una bomba a orologeria.
Il singolo non fu un grande successo: Haley metteva tutto in conto e sfornò subito, a ruota, una cover di Shake, rattle and roll di Big Joe Turner, che gli portò un disco d’oro, buttalo via. Poi però, nel marzo 1955, Rock around the clock fu inclusa nella colonna sonora di Giungla d’asfalto (Blackboard jungle), film con Glenn Ford sulle inquietudini di noi giovani, che andò decisamente bene al botteghino. Fu a quel punto che la canzone decollò verso il n.1 nella classifica USA, primo brano rock and roll a farlo.
Se i conticini della discografia americana sono attendibili, per decenni Rock around the clock ha avuto solo White Christmas di Bing Crosby davanti nel Guinness dei Primati. Ha avuto diversi revival, come quelli già menzionati degli anni 70, col film American Graffiti di George Lucas o la sigla di Happy Days, la storica serie con Ron Howard e Henry Winkler.
Haley comunque non visse solo di Rock Around The Clock. Temendo che la moda svanisse come tante altre, si affrettò a capitalizzare e ottenne diverse altre top 10 hits, da See you later alligator a Rock-a-beatin’ boogie. Ma a quel punto il rock and roll stava già cambiando, e non solo dal punto di vista sonoro, premiando performer in grado di incarnare qualcosa di più che la musica: i succitati Elvis, Little Richard, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis. Mentre Haley nel 1955 aveva 30 anni, per di più non portati benissimo (e in effetti poveretto è morto d’infarto nel 1981, a 56 anni) e il suo ciuffetto sbarazzino sembrava disegnato col pennarello. Anche se col tempo è stato inserito tra le figure fondamentali del rockabilly, non aveva il phisique du rôle per il rock and rôle, potremmo dire. Ma aveva fatto la sua parte.
Ah, un’ultima cosa il brano figura al n.159 della lista delle 500 Greatest Songs of All Time secondo Rolling Stone. Che mestizia.