“Hey now, you’re a rock star, get the show on”, ammicca la pubblicità di un’auto tedesca nota da decenni per il suo quadrato buonsenso.
“E allora, Rockstar?”, dicono gli amici del protagonista del film di Ligabue all’eroe Made in Italy, un quarantenne di provincia delusissimo dalla vita e dall’Italia.
“I’ve been fuckin’ hoes and poppin’ pillies, man, I feel just like a rockstar”, cantilena lagnoso l’ennesimo fenomeno delle classifiche americane, Post Malone, rivendicando – che sorpresa! – una quotidianità ricolma di soldi, macchine, femmine e droga.
“Rockstar, rockstar due tipe nel letto e le altre due di là, gli amici selvaggi tutti dentro il privée, fanculo il Moët, prendiamo tutto il bar”, gli fa eco piagnucolino il coloratissimo ragazzo-copertina del 2018, Sfera Ebbasta da Cinisello (ma soprattutto da Balsamo).
Ma poi, ovunque ci si giri, Susan Sontag viene definita “l’intellettuale-rockstar”, Bobby Fischer “la rockstar invisibile prestata agli scacchi” (ma se era invisibile! Ah, fa niente), Neal Barnard è il chirurgo-rockstar, Yayoi Kusama è la rockstar dell’arte contemporanea e Xavier Dolan “la rockstar dei film d’autore” e googlando potrete facilmente scoprire che se nel Seicento Bernini e Borromini erano “due rockstar, in pratica”, Salvador Dalì è stato “la prima rockstar della pittura moderna” e fermiamoci, ché può bastare, ci siamo capiti. Mai come in questo momento siamo privi di rockstar, e le poche rimaste sono accusate del peccato più orribile di quest’epoca, la vecchiaia. Eppure mai come in questo momento si usa questo termine invece di quelli che sarebbero più precisi e contemporanei: popstar o rapper (men che meno trapper, che fa Davy Crockett con la marmotta in testa).
In parte dipende dal fatto che il rock’n’roll è morto, e i morti hanno sempre ragione, specie in quest’era un po’ schifata di sé. Ma soprattutto perché mentre di rockstar non ne fanno più, di rapper e di popstar ce n’è milioni, non sono merce rara, ne siamo inondati e assistiamo cercando di eccitarci mentre milioni di loro fanno le stesse cose, sempre, invariabilmente: le popstar provocano maliziose su instagram e i rapper si riscattano dalla strada con successodrogatroie.
Ma non facevano più o meno le stesse cose, le rockstar? Oh, anche – solo che erano implicite. Mick Jagger, Robert Plant, Axl Rose il loro mestiere lo facevano senza tracotanza, affidandosi a un luciferino understatement, ovviamente compiaciuto ma non strombazzato.
Però forse quello che viene considerata la vera prerogativa delle rockstar è che nessuno gli diceva niente. Non si dovevano giustificare (accuse di molestie? Ma quando mai), non dovevano fare le mosse e mossette indicate dal marketing, non dovevano dimostrarsi IRONICI, per duettare con qualcuno dovevano perlomeno drogarsi con lui, nessun perditempo poteva discutere on line dei loro amori o dei loro selfie (detto in ordine alfabetico), su di loro non si scatenava il dibattito. Sì, rispetto a popstar e rapper, le rockstar avevano dei privilegi.
E per questo, come accade in ogni epoca agli déi, le abbiamo uccise.