Mi spiace, ovviamente è colpa mia. Quando penso a Gianni Boncompagni non penso, come Fabio Fazio “Meriterebbe una medaglia”, o come Pippo Baudo, “Un pilastro”, o come Giancarlo Magalli “Lo capiremo fra 30 anni”. Non penso – come moltissimi miei amici devo dire – che sia stato un genio italiano dell’intrattenimento che ha contribuito a svecchiare la Rai. No, io a questa beatificazione non credo del tutto, e se non posso anagraficamente parlare per Bandiera Gialla e Alto Gradimento, format di riferimento per tutti gli insopportabili programmi radio di fuffa musicale e fuffa goliardica, posso dire la mia su Discoring, su Drim, su Domenica In, su Pronto Raffaella, su Macao e ovviamente su Non è la Rai. Per me Gianni Boncompagni è uno dei massimi responsabili di quella melma che è da sempre la Rai, è il gerarca rampante cui l’apparato statale diede l’incarico di blandire “i giovani”, è l’uomo che scriveva saccenti, spocchiosi articoli sul pop italiano sui giornali per ragazzi, quello che il giorno della morte di Lucio Battisti andò in tv a rivendicare che doveva tutto ai suoi programmi, che senza Mogol era finito, e che concluse (per piazzare la battuta, in nome del sempiterno “facce ride”) “Dio li fa e poi li accoppa”.
Se però la qualità è una pretesa da stupidi illusi, se il metro è il successo, allora non discuto, avete ragione voi, ha vinto lui con il suo disprezzo per ogni pallido tentativo di “impegno” o di ambizione artistica (che condivide con Renzo Arbore, la cui recente e un po’ deludente autobiografia ospita in ogni singola pagina insistenti rivalse e scherno nei confronti di misteriosi e come sempre mai precisati “intellettuali”). Ha vinto lui perché tutto quello che aveva da dire sulla sua attività nella musica era “Ho scritto Il mondo di Jimmy Fontana. Ci ho comprato una casa. Venti milioni. Tutte le canzoni di Raffaella Carrà tuttora mi fruttano un sacco di soldi”. Ha vinto lui perché fin da quando era ragazza ha piazzato la figlia praticamente in tutte le trasmissioni che poteva finché non è rimasta attaccata alla tv. Ha vinto lui perché ha dimostrato che quella cinica euforia del nulla in cui si rifugiano migliaia di autori tv e radio oggi ha una sorta di padre nobile. Poi però per piacere, se inneggiate al genio italiano di Boncompagni, al suo “In tv ci sono solo due cose: robaccia con ascolti alti e robaccia con ascolti bassi”, poi il giorno dopo non fatevi pescare a mormorare come sempre che “Eh, da noi il livello della tv e della radio sarà sempre quello”. Grazie.
L’articolo che Dagocoso non scriverà.
(è la terza volta che provo a mandare il commento. Non riesco a capire se sia un mio problema, in caso di doppioni mi scuso).
Questo è passato. Grazie per la persistenza 🙂
Quanto a Dagocoso, la matrice cinica è più o meno la stessa, non credo possa far altro che esaltarlo.
30 minuti di applausi (non di più che tra poco inizia “La vita in diretta”)
Molto bene
Gran bell’articolo. Bravo Mad