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Sheeran power – Classifica Generation, cap. XI

Se davvero i Grammysti americani faranno trionfare l’homeboy Jay-Z invece che il britanno Ed Sheeran, facciano pure – in fondo, per noi lontanissima plebe è anche divertente veder bisticciare le due teste dell’Impero per qualche headline sui mille siti infiniti. Ma il ritorno di fiamma del roscio dello Yorkshire in tutto il mondo era programmatissimo – e studiato per un periodo che includesse la bizzarramente prestigiosa corsa al n.1 di Natale nel Regno Unito e le settimane che precedono i Grammy Awards. Periodo in cui forse la concorrenza non era fortissima tra i singoli – però anche tra gli album, ovunque (a parte la Francia che vede al n.1 Johnny Halliday da quando ci ha lasciati e gli Usa che gli hanno opposto Taylor Swift, Eminem e il successo Lalalandico della colonna sonora di The greatest showman) dall’Italia alla Germania al Messico, Sheeran è tornato al n.1 grazie al piano di conquista implacabile studiato per Perfect:
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9 novembre, uscita del video – oltre mezzo miliardo di visualizzazioni su YouTube (en passant, nel video Sheeran arriva a Mayrhofen in Tirolo su un treno chiaramente ÖBB, poi per andare a Hintertux noleggia una delle – immagino – migliaia di auto con guida a destra che il paesotto mette a disposizione per quei Brexit che hanno orrendo schifo all’idea di un viaggio di 25 minuti in pullman con noi continentali) (…scusate, è che sul Tirolo sono preparatissimo);
1 dicembre, uscita di Perfect duet, la versione con Beyoncia, 127 milioni di ascolti su Spotify;
15 dicembre, uscita di Perfect symphony, la versione con Andrea Bocelli, 14 milioni di ascolti. Che pochi, eh? 14 milioni.
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Tutto qui? Oh, no. Siccome Ed Gattyno dietro tutte le sue facciotte paciarotte è competitivo come Trapattoni e vuole superare le vendite degli album di una sua famosa compatriota sovrappeso, questo è stato il suo dicembre promozionale da carrarmato – tenete conto che parliamo di un album uscito a marzo:
1 dicembre a Los Angeles da Ellen Degeneres; in serata, galà di KIIS FM a Los Angeles con Taylor Swift;
2 dicembre galà di 99.7 a San José, ancora con Taylor Swift;
3 dicembre a Madrid, ospite di Los Cuarenta;
7 dicembre a Londra nominato MBE dal principe Carlo a Buckingham Palace – la stessa onorificenza che fu data ai Beatles e poi agli altri signorotti;
8 dicembre di nuovo in Usa al Today Show della NBC, poi in serata al galà natalizio di Z100 a New York;
10 dicembre a Londra per il live natalizio di Capital FM;
12 dicembre ospite della BBC (un network inglese);
14 dicembre in Italia a Radio 105 e X Factor;
15 dicembre in Irlanda in tv al Late Late Show;
16 dicembre a Parigi ospite d’onore di Miss France;
17 dicembre ospite di The Voice of Germany;
19 dicembre di nuovo in Spagna a El Hormiguero su Antena 3;
20 dicembre premiato in Croazia per le vendite dell’album (chissà quante, direte) (ma lui ci va). E in tutte queste e altre occasioni che mi sono sfuggite annunciava qualcosa di nuovo o svelava una nuova joint-venture, lui ed Eminem, lui e Anne-Marie, lui e Beyoncia, lui e Bocelli, lui e i Simpson, lui e Taylor Swift, lui e Rita Ora, lui con chiunque, vero gattyno del mondo.
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Il 20 dicembre è uscito anche il video del New York Times su come quella porcheriola di Shape of you, canzone che è un po’ Cheap Thrills di Sia un po’ No scrubs delle TLC un po’ Mountain o’ things di Tracy Chapman (grande insospettabile anticipatrice del pop moderno, un giorno pontificherò su questo) (ma NON OGGI) sarebbe in realtà tutta un’alchimia di menti musicali che noi non immagineremmo mai (so che mi legge gente che sa suonare) (non penso sia il caso di infierire)
(…e invece sì – giusto per dire che i due sicofanti che lo affiancano nella parte delle menti musicali sono John McDaid, autore anche per P!nk e Robbie Williams, che è anche uno dei nove coautori di Galway girl dello stesso Sheeran) (e che si mettano in nove per fare un’irlandesata così ricalcata su mille anni di irlandesate già di per sé tutte imparentate tra loro mi fa impazzire, è come se in venti si mettessero a scrivere un blues e poi partorissero Mannish boy però con UNA nota in minore, perché la nota in minore ci vuole sempre, perché l’uomo moderno non lo freghi dicendogli che la vita è Jovanotta, lui vuole sentirsi dire che la vita è un po’ Jovanotta un po’ Antonaccia, e allora ti chiamerà poeta) (e un attimo dopo chiederà ONESTA’!!!1!!!11!!).
(l’altro, Steve Mac ha invece scritto metà del Very Normal Pop che sta sterminando la diversità sonora dell’unico pianeta del sistema solare su cui c’era musica. Lo troviamo in Symphony e Rockabye dei Clean Bandit, in What about us di P!nk, in Leave a light on di Tom Walker, So good di Louisa Johnson, OK di Robin Schulz & James Blunt, Your song di Rita Ora, e poi Little Mix, Demi Lovato, Jason DeRulo, Leona Lewis, Il Divo, One Direction, Shakira, Kelly Clarkson. Mi meraviglio che non sia svedese)
(e poi il testo, amici) (perché la musica è già didascalica, forse nemmeno Fabiofazio la presenterebbe dicendo “Quella che sentirete è una ballatona romantica”) (no, ok, lo farebbe) (ma il testo è iperglicemia a spron battuto)
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“Ho trovato una donna, più forte di chiunque conosca, condivide i miei sogni, spero un giorno di condividere con lei la casa. Ho trovato un amore che accoglierà più che i miei segreti: porterà amore, porterà i nostri bambini. Siamo ancora ragazzini ma siamo così innamorati, e lottiamo contro tutto – io so che tutto andrà bene stavolta. Cara, tieni la mia mano, sii la mia ragazza, sarò il tuo uomo (…) Ora io so che ho incontrato un angelo in persona, e lei sembra perfetta, io non sono degno di questo, tu sei perfetta stasera”.
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Voi capite che non posso far altro che lasciarvi con quello che avevo già scritto 45 settimane fa quando Divide è andato al n.1 in Italia per la prima volta. E ampliando il concetto qui sotto già anticipato, ovvero che comunque, Ed Sheeran è la vendetta della melodia sulla parola e lo hype. Perché con buona pace della sindrome di Stoccolma che spinge molti miei colleghi a prostrarsi davanti alle fortune dei luccicanti piagnucolini della trap, la realtà è che i gattyni del mondo, da Sheeran e Adele a Ermal Meta – o chiunque sia il prossimo vincitore di Sanremo – sono lì e vendono tanto perché proprio come i Despaciti fanno quella brutta vecchia cosa cioè zio da sfigati che è far cantare la gente, mentre Gaga e Perry e Beioncia non ci riescono più, le nuove sgallettate nemmeno, e solo i rappusi più furbi ci sono arrivati. Altri si credono furbi, ma è meglio che tirino su tutto il product placement che possono, finché dura.
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(da The Artist Formerly Known As Theclassifica, 21 marzo 2017)
Ed Sheeran è un punto di arrivo, è tante cose che dovevano succedere. È la rivincita del nerd, che bilancia la famoseria aggressiva di Rihanna, Beyoncé, Gaga, Katy Perry, Miley, Kanye West. È la controffensiva della musica bianca – di più: bianchiccia, niente a che vedere con Justin Timberlake. È il cantautore globalone dell’epoca di Spotify che mette d’accordo i gusti degli italiani (seconda settimana consecutiva in testa) con quelli dei vietnamiti (anche se come potete immaginare, per il n.1 in classifica se la deve giocare con Son Tung M-TP), dei cileni (con ovvio braccio di ferro con Mon Laferte & Juanes) e dei marocchini (dopo un appassionante testa a testa con Ibtissam Tiskat, che tutti ricorderete nel talent-show Arab Idol).
 
Ed Sheeran sul trono del mondo è un buon segno, un cattivo segno? Non è un segno?
Proviamo a vederla così. Voi saprete che c’è gente alla quale il calcio, semplicemente, non arriva. Mentre ce n’è altra che non si dà troppa pena per la moda, e i pantaloni con lo sbregone sul ginocchio li aveva buttati via negli anni 90 insieme al tre bottoni. O per le auto: basta che porti dal punto A al punto B. Io personalmente temo di appartenere a quelli per i quali un ristorante a qualche stella o un McDonald’s non fa molta differenza. Non è un vanto. Mi è capitato più volte per lavoro di avere nel piatto cose preparate da cuochi (si può dire cuochi?) anche molto famosi. E mentre mangiavo, pensavo “Okay, mica male”. Ma se nel piatto ci fosse stata una piadona con la bresa, per me non sarebbe cambiato molto. Non adontatevi: mi hanno tirato su così.
Bene. Il punto è che secondo me c’è gente come noi che se la mena tantissimo per la musica, per gli arrangiamenti, gli impiattamenti, i campionamenti, l’agrodolce, il featuring, l’abbinamento. Ma per tanta altra gente, Chainsmokers e Maroon 5, Pharrell Williams e Drake, Adele e Taylor Swift sono più o meno la stessa cosa. L’importante è che non capiti qualcosa di troppo difficile e speziato, roba pesante che rimane sullo stomaco.
 
Quindi, come fa una cosa a piacere a tutti? Dev’essere il più neutra possibile. Così, ognuno mangia il suo piatto nazionale – nel nostro caso, MiticoVasco, n.2 della settimana – ma Ed Sheeran ha trovato il modo di piacere all’utente-massa, di volgere lo scenario musicale a suo vantaggio, creando un prodotto sonoro commestibile in tutto il pianeta. Nella Mia Umile Opinione l’intuizione interessante in Sheeran è la controtendenza rispetto ai tanti bianchi che cercano di suonare nero. In America, il 2016 è stato l’anno di Drake. Cosa puoi fare, se sei un inglese roscio? Essere l’opposto di Drake. Così in ÷ (per gli amici, Divide. Seguito di + e x) (non sto scherzando) per Galway girl sfodera i pifferini irlandesi alla Titanic che avevano fatto le fortune dei The Corrs, più brani da britanno che scopre quanto è pittoresco il resto del mondo tipo Barcelona o Bibia be ye ye (ghanese per “Hakuna matata”), e quando si cimenta con un rap (New man) va per un flow che non cerchi nemmeno lontanamente di suonare come un bro, yo. Non vado in dettaglio sui brani, tanti articoli in questi giorni lo hanno fatto, il migliore che ho letto è di Gianni Santoro su Repubblica che si sofferma sull’uso e dosaggio degli ingredienti, su una mancanza di originalità ottenuta con pazienza, e di cui prende atto con un dispiacere che però non condivido: per me ci era semplicemente andata di lusso fino ad ora. “Alla musica bisogna avere il coraggio di chiedere di più”, dice Santoro. Ma cosa? Più sapore? Più acqua, meno acqua? Risposte? Domande?
 
Lo streaming sta fissando la nuova aristocrazia, sta spazzando via dalle orecchie del mondo Madonna, U2 e RHCP e tutti gli altri che vendono immensamente meno dei nuovi big; i loro concerti-messa continuano a richiamare adunate di fedeli ma persino per i pesi massimi del decennio scorso è dura, da qualunque reame provengano: Coldplay e Linkin Park e P!nk e Britney e persino i Weezer, tutti inseguono le delizie dell’Ikea-pop – Robbie Williams non l’ha fatto e l’ha pagata cara. Sheeran invece ha cercato di incidere “The biggest fucking pop album it could be”. Non sono nemmeno convinto che gli piaccia quello che fa. Che sia determinato è chiaro (“Scommetto che venderà più del precedente. Non credo che ci sia alcuna possibilità che venda di meno. Quello dopo, prometto che venderà meno, ma non questo”) ma che gli piaccia, chi lo sa. Eppure, a suo modo, quella di Sheeran è anche la vendetta della musica sull’immagine – anche se la sua faccia bianca come squacquerone, gli occhialoni, i capelli frastagliati color gattino, è talmente estrema rispetto all’impeccabilità degli altri che buca il display quanto la loro. Ma lui i dischi li deve vendere davvero, non è Lady Gaga, che può permettersi di fare flop ed essere lo stesso sinonimo di successo e spettacolo. Lui di spettacolo non ne fa troppo, dal vivo suona da solo (“È un grande argomento di conversazione”). Ma tanto, ai concerti dell’Uomo Gattyno non ci andranno i miliardi di ascoltatori, di utenti che popolano questo pianeta. A loro basta una musica che ricorda qualcosa, senza qualità eclatanti – e questa forse è una qualità. Saper fare una roba che dove la metti, sta. Ma in fondo non rimane sullo stomaco.

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