Lo devo premettere: come si suol dire, non sono mai stato tenero con te.
Va bene. Sei onesto come cerchiamo di esserlo noi. Ognuno è libero di criticarci, ma faccio notare che non abbiamo mai cercato di ammiccare o fare musica alla moda.
Ora che mi ci fai pensare, è anche vero, certo non siete la definizione più ovvia di pop italiano. Però un certo gusto per un rock enfatico l’avete creato voi. E non ha avuto buoni epigoni.
Non abbiamo mai prodotto un disco in sintonia con l’epoca, perché credo sia la sostanza a fare l’estetica, e noi per raccontarci puntiamo alla sostanza. Credo sia per questo che i nostri pezzi riescono a durare. Senza nulla togliere alle canzoni che colgono il momento. Non si tratta mai di canzonette. Anche quando sono leggere, contengono delle verità, magari anche in un piccolo dettaglio.
Condivido, ma insisto con il rock enfatico. Ti piacciono i Modà?
(non risponde)
Okay. Perché canti sempre in modo così straziato?
Non direi. Non ho mai scritto cose tristi e non canto in maniera triste… Casomai irruento. Ho una malinconia di base ma è ciò che spinge alla ricerca della felicità. Non ti ci portano una stupida allegria né la rassegnazione. Come cantavo in Estate, la posizione perfetta è in bilico: una tensione ideale, di perenne ricerca interiore per apprezzare la felicità che sta arrivando. Quanto al canto, non pensavo di fare il cantante ma il rapper: il mio primo disco fu Don’t believe the hype, Public Enemy. Mi sono ritrovato a farlo io ma sto ancora aspettando che i Negramaro trovino un cantante…
Nonostante la tua visibilità, non mi pare che tu sia visto come grande comunicatore. E anche se ora, personalmente, non posso negare che tu sia disponibile e gentile, non penso che tu pubblicamente passi per “simpatico”. Ti sei mai posto la questione?
Vivo serenamente ciò che faccio, faccio quello che mi piace, lascio parlare le canzoni. Credo che la musica non debba avere la faccia di chi la fa. Quando ascolto De André non mi chiedo se era simpatico o umile, sento quello che voleva dirmi. Chi ci segue sa che sul palco gioco, ma forse chi ci vede da fuori non lo può cogliere. Francamente mi imbarazza molto ragionarci…
Scusa, so che sto usando una certa franchezza brutale. La uso un’ultima volta, ora: tu canti spesso il meteo. Nei testi sono frequenti nuvole, pioggia, vento.
Non è una cosa che cerco, se si riaffacciano è perché c’è continuità tra quanto sento dentro di me e quanto cerco fuori di me, un dissidio tra la carne e il cielo e le nuvole: ognuno di noi è in tensione tra fisicità e slanci più eterei.
Per quanto riguarda la musica, hai una progressione di accordi preferita?
Mesi fa leggevo un saggio sulla perfezione dell’accordo di La maggiore. Ho notato che ne ho cantate molte in quella chiave e non so perché. Forse perché è la nota del diapason, un vibrare dell’anima quasi ascetico.
Pensi che i Negramaro abbiano affinità elettive con qualche gruppo straniero?
Penso che abbiamo un nostro suono. Certo, c’è chi è più simile al nostro modo di sentire, come Jacquire King (Kings of Leon, Tom Waits, Josh Ritter) che ci ha mixati a Nashville.
A me sembra che ultimamente stiate andando verso i Coldplay.
A me no…
Nella band siete in tanti, e c’è un leader riconosciuto da pubblico e media. Questa cosa è sempre stata facile da gestire, o avete imparato ad affrontarla col tempo?
Si impara a camminare insieme ma anche a volare, per cui è tutto un equilibrio su pesi che si distribuiscono di volta in volta.
Ma concretamente, essendo in tanti, non potete suonare tutti, in tutti i pezzi.
Ci si alleggerisce se si deve, si plana su ampie distese di serenità, si vola basso quando le nuvole sembrano schiacciarti, per poi risalire col cielo sereno…ops, hai visto? Di nuovo nuvole e cielo, non è colpa mia…ne sono attratto.
Qual è tra le tue strofe, quella per cui la gente stravede, che cita o ritwitta e magari si tatua? In pratica, qual è la tua “La vita è un brivido che vola via?”
Secondo te?
Per me l’apice della negramarezza è “Fermale tu queste cazzo di lacrime”, ma io non faccio testo. Te lo aspettavi, quando l’hai scritta, che diventasse così popolare?
No, però se da un lato mi fa piacere dall’altro mi fa pensare.
Che la gente piange molto?
Probabilmente sì. Ed è significativo. In positivo. Significa un’emozione fortissima, incontrollabile, vera. Quanto ai tatuaggi, mi stupisce in maniera disarmante vedere nostri versi sulla pelle delle persone e penso “Ma se un giorno sbagliassimo una canzone, o facessimo cose che non approvi, cosa faresti? Taglieresti un braccio?” La pelle è così importante per me che non riesco a macchiarla, non ho tatuaggi… Lascio che il tempo si racconti su di me.
Ah, caspita.
In realtà, ho solo una paura fottuta del dolore, haha!