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BEST ALBUM DEL 2012 – LA LISTA DELLE LISTE

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“Ci piacciono le liste perché non vogliamo morire” dice Umberto Eco del delirio di liste di fine anno. Ipse dixit – lui è ipse, e noi, nessuno.

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E ora che col Pallone d’Oro a Messi (mmh) tutti i premi del 2012 sono stati assegnati, vediamo di capire qualcosa nella fiumana di Album dell’Anno nella quale abbiamo sguazzato (e boccheggiato) nelle ultime settimane. Con chi vogliamo cominciare?

Partiamo dagli inglesi, ché in fondo le nostre case discografiche sono sotto il loro felpato tallone. E partiamo dagli anziani: NME, compiuti 60 anni, è sempre meno nazionalpop e sempre più indie, yeeeh! Anche se mantiene un piccolo debole per il Commonwealth. Nella sua top 5, due bandiere canadesi, una australiana, una inglese, una americana. Il prodotto britannico sono gli Alt-J, preceduti al n.4 dai Crystal Castles, al 3 da Frank Ocean, al 2 da Grimes – e al n.1 dall’ALBUM DELL’ANNO: Lonerism dei TAME IMPALA! Un applauso.

Che ne pensano a Q? Il prestigioso mensile dissente e assegna la palma, indirettamente, a uno dei suoi sempiterni cocchi: Damon Albarn, che ha fortemente voluto e co-prodotto questo disco, premiato già il 22 ottobre 2012 (…salute, che anticipo) come ALBUM DELL’ANNO: The Bravest Man In The Universe di BOBBY WOMACK! Lunga vita al 68enne leggendario soulman, e complimenti a Q per questa scelta retrochic. Mentre curiosamente, dai retro kings per eccellenza, la redazione del mensile MOJO, arriva un premio a un 37enne: per loro l’ALBUM DELL’ANNO è infatti Blunderbuss di JACK WHITE!!! Bella, Jack – ma non possiamo esimerci dall’alzare il crapino e guardare oltre la critica specializzata – perché c’è sull’isola c’è un quotidiano coolissimo che fa tendenza in tutto, e noi pennivendoli usiamo come bussola: è THE GUARDIAN, che indica senza rovello alcuno come ALBUM DELL’ANNO Channel Orange di FRANK OCEAN. “Un disco che cresce lentamente”. “Musicalmente stupefacente, e spesso liricamente strabiliante”. “Ocean è un re rifiutato, un patetico pappone, un fidanzato desolato”. “Un disco che si fissa nella propria epoca”. “Grandioso, inventivo, ambizioso”. Caspita, se gli è piaciuto.

Ma non solo a loro! La sensibilità sensibilissima di Frank Ocean è garbata parecchio anche oltreoceano: andiamo in Usa, dove i sensibilissimi verbosi di PITCHFORK si sono tagliati le sensibilissime barbe indie e si sono dipinti di nero per premiare col massimo dei voti (9,5) ben DUE rapper – ma mica truzzi, oh no, andiamo. Due rapper sensibili.
Uno è Frank Ocean. Ma l’altro ALBUM DELL’ANNO è Good Kid, m.A.A.d. City di KENDRICK LAMAR! La bibbia degli alternativi sancisce: “Sembra di entrare direttamente nella casa dove Lamar abitava da bambino e per un’ora crescere insieme a lui”. Wow, un rapper che parla di se stesso, della sua infanzia adolescenza giovinezza maturità e di quanto è stata dura – uh!, una rivoluzione, vero, gente?
Ma che dice, allora, STEREOGUM? Il seguitissimo blog che qualcuno ritiene il fratello minore di Pitchfork cerca – come tutti i fratelli minori – di distinguersi. E quindi, sul podio ci sono Kendrick Lamar (ehm), Frank Ocean (…non si sta distinguendo molto, vero?) ma al n.1 come ALBUM DELL’ANNO c’è FIONA APPLE con… (dannazione a te, Fiona, e al tuo stupido vezzo dei titoli chilometrici)… Okay, il titolo dell’album è The Idler Wheel Is Wiser Than the Driver of the Screw and Whipping Cords Will Serve You More Than Ropes Will Ever Do.

Inchiniamoci alla Storia, ora, e a una rivista che arriva dall’Ottocento ma che da qualche anno è un po’ bimbaminkia e riserva tanta tanta attenzione alle sculettine da Mtv – però alla fine, quando c’è da indicare l’ALBUM DELL’ANNO, BILLBOARD non ha il coraggio di premiare Ke$ha, bensì lui, sempre lui, FRANK OCEAN: “Mentre spalma poesia su tutto, dalla droga a Dio all’amore non ricambiato, è difficile non farsi distrarre dalla più carezzevole voce maschile degli ultimi anni”.
Ehi. Sentite. Vi spiace se cerchiamo qualcosa di meno carezzevole? Torniamo un attimo agli inglesi – Dio li stramaledica eccetera – per sfogliare il vecchio caro Kerrang! Per il quale, nessun dubbio: ALBUM DELL’ANNO, A Flash Flood Of Colour degli ENTER SHIKARI. Oh, ecco! Non abbiatevene a male se ci avete l’anima morbida, non abbiamo niente contro tutta questa sensibilità ma, sapete, un po’ di chitarre ignoranti a noi stupidoni ci mettono sempre di buonumore.
E a proposito, che si dice in quell’altra grande nicchia di insensibilità, la dance? Qui, difficile orientarsi: a quelli, degli album non può fregare di meno (e non è che abbiano del tutto torto, se volete il parere personalissimo di chi scrive). Per dire: DJMag incorona DJ DELL’ANNO uno che di album non ne pubblica dal 2010: ARMIN VAN BUUREN. Perché in fondo ciò che conta è che vada lassù e spakki. Che è un po’ quello che si chiedeva al rock’n’roll, no? E qui di artisti propriamente rock, sudati e con gli occhi fuori dalle orbite, non se n’è ancora visto uno. Proviamo a uscire dall’anglosassonesimo, con chi gli anglosassoni li odia: i francesi. Les Inrocks. Ma, sorpresa, lungi dal mostrarsi patriottici, i mangiarane votano per gli album di Tame Impala, Liars, ma soprattutto, ALBUM DELL’ANNO, An Awesome Wave degli ∆ (ALT-J), i giovanissimi nerd inglesi.

Tiriamo due somme? Secondo i critici non è stato un anno molto favorevole al rochenroll vecchio stampo. La richiesta per i concerti dei vecchi monumenti non è mai stata alta come ora, dai Rolling Stones in giù, ma il rock sembra aver litigato con l’altro suo veicolo principale: l’album.
Ma aspettate, pensandoci. Non manca qualcuno? Ehm, ops.
Manca Rolling Stone.
(quello ‘mericano)

Esso ha adottato come ALBUM DELL’ANNO Wrecking Ball di BRUCE SPRINGSTEEN! “La risposta più acuminata del rock alla Grande Recessione”. “Un grido di rabbia contro l’oligarchia e l’ingiustizia economica”. “Il più consistente e coraggioso lavoro di Springsteen da qualche decennio a questa parte”.
Beh, che dire. Non era così dura.

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