AMARGINE

Bastonate e chirurgia sperimentale

Ogni tanto googlo per vedere se c’è qualcuno di nuovo che mi insulta. Perché è meglio sapere, no? Metti che sono da qualche parte e mi presentano uno “Ah, Madeddu, ti conosco” – e io tutto lusingato sorrido e faccio quello che poi la gente può pensare “Sì, l’ho conosciuto, non se la tira, è uno tranquillo, ci ho anche parlato, ho fatto anche la foto insieme”. E invece magari questo intendeva dire “Madeddu, ti conosco. Passo le giornate a scrivere che sei un grottesco imbecille”.

Uno di quelli che mi insultava – beh, no, in verità, più che altro mi tossiva contro – era lui. E’ più giovane di me, ritengo – anche se mi pare di capire che ha comprato In Utero quando è uscito, quindi non è COSI’ più giovane. Non potrebbe essere mio figlio. Anche perché si chiama Francesco. Come Guccini. Mentre io, Paolo. Come Bonolis. A ribadire che siamo due che non dovrebbero frequentarsi.

Lui ha pure LA BARBA. Lui è noto come Disappunto, lui scrive sul blog Bastonate. E ogni tanto organizza questi momenti di onanismo criticomusicale a due. Mai pensavo si rivolgesse a me. Comunque, questa prolisseide, compiaciuta e narcisa, e in questo momento online anche sul suo blog http://bastonate.wordpress.com, è ciò che è venuto fuori. Abbiamo detto anche due o tre cose interessanti. In ottantamila battute, sarebbe il minimo, lo so. Ma so di gente che nemmeno quelle.

Lui è quello che scrive in bold. Io, cobold.

Se hai voglia di rispondermi, ti mando una domanda e tu una risposta e io un’altra domanda, finchè non ci rompiamo le palle. Ti va?

Penso che ti risponderò di sì anche se al momento prenderò tempo mugugnando che ci devo pensare e che a te ti tengo d’occhio perché ti vedo come Carlito Brigante vede Benny Blanco del Bronx, e poi a chi interessa, e poi sì, qualcuno a cui interessa c’è ma non per questo è un bene, e noi per primi pensiamo che sia interessante ma questo perché mentre la musica affondava noialtri a furia di dragare il nostro ombelico ci siamo convinti di essere diventati noi il vero show, siamo il metashow eccetera eccetera. Oh, siamo già in onda?

No, ma quello era la settimana scorsa, ora ci amiamo. Prima domanda: ci credi a questa cosa dello show o lo dici tanto per dire? Io forse ci credo.

Certo che ci credo. La mia teoria è che i critici, in qualsiasi settore, finiscono per devastare tutto. Per cui le cose buone, come sta succedendo adesso con le serie tv, accadono PRIMA che la gaia critica prenda le misure al circo e inizi a pontificare, a tessere fesserie e a convincere le Menti Semplici – i musicisti, i registi, gli autori, gli scrittori – che dovrebbero essere un po’ più così e un po’ meno cosà. E così ci ritroviamo con recensioni pitchforkiane ovunque, che poco ma sicuro richiedono più tempo dello stupido disco di cui scrivono. Però intanto le Menti Semplici, poverette, se la bevono, e fanno metadischi, metalibri, metafilm. E giacché nella palude se sarva solo er coccodrillo (cfr. Franco Califano), la contromossa degli Artisti Precedentemente Noti Come Artisti è diventare CriticiArtisti, diventare Tarantino, David Foster Wallace, i Daft Punk. Ovvero spiegare continuamente quello che fai mentre lo fai, come anche Kanye West. In caso contrario, l’unica è andare direttamente per la locura e togliere il tappeto da sotto i piedi al critico (qui ci puoi mettere di tutto, da Lady Gaga a David Lynch) (ma anche Borat, o Family Guy, o Lost) (alla fine ti ritrovi con il Forum di Assago esaurito per Tenacious D) (cioè, gente che non solo ha speso soldi, ma è pure andata fino ad Assago, tutta giuliva per una scadente, pallosa parodia del rock) (e saranno anche stati tutti mediapeople, ma anche loro sono esseri umani, penso).

Beh, ma dimmi di te. Why so serious? Perché “Bastonate”? Perché scrivi di musica? Pensi che stiamo rendendo un servizio a qualcuno? Lo sai, vero, che siamo qui per triste esibizionismo, e che qualcuno ci segue perché a causa delle miserie della musica e suoi derivati, i nostri esercizi di stile finiscono per essere (blandamente) più interessanti dei pupazzi che recensiamo?

“Bastonate” è perché mi piacciono i nomi stupidi e comunque non so trovarne di decenti. Perché lo faccio non lo so, adesso. Storicamente lo faccio perché la musica l’ho imparata leggendola e poi boh, a volte mi sembra che certe cose che scrivo (non tutte) siano più utili della media delle cose che leggo. E poi comunque ormai ci sono dentro, non so. Però rimango alla prima, ad aver letto qualcosa di figo su qualche Rumore nel ’95 ed esserci rimasto con la testa. “C’è rimasto” in Romagna si dice di uno che ha sbroccato per qualcosa di stupido, tipo quelli che si calavano venti paste per non farsele beccare addosso dai poliziotti. Dicevo, però in quello che dici c’è anche molto un processo di Interconnessione, nel senso che l’artista-critico prospera nello stesso habitat del critico-artista. Quindi i pezzi sulla musica diventano meno “recensioni” e più opere di letteratura. Che poi è un altro motivo fondamentale, scriviamo di musica perché la critica musicale è un genere letterario sostanzialmente inesplorato, non c’è nemmeno un percorso esegetico condiviso, se lo chiedi a qualcuno che ha passato la vita a leggere riviste ti cita una decina di capiscuola (Bangs, meltzer, toop, reynolds, christgau, chi altri?), alcuni dei quali manco hanno letto, cosa peraltro salvifica. Non ti pare?

Forse hai ragione, è un genere letterario, ma questo non servirà a redimerci. E comunque, la condivisione dell’habitat accelera la sovrapposizione tra Artista Precedentemente Noto Come Artista e Critico, oltre che la maggiore inclinazione a infrangere il noto precetto “Non diventare loro amico”. E con questo, anch’io sto facendo il nome di Bangs – sapendo che il momento in cui si comincia a far citazionismo è il primo segnale della morte del genere (altra cosa che abbiamo in comune col rock’n’roll, yeah). Ma tu, al di là della curiosità per il CriticoClown, perché mi intervisti? Beninteso, anch’io anni fa ho intervistato Bertoncelli o Greil Marcus, è routine intervistare i critici (…secondo segnale della morte del genere). Però tu hai intervistato per esempio Colasanti e Caporosso, due che sono, come dire, coinvolti nella SCENA. Io dalla scena fuggo a gambe levate. Quando la gente mi manda i suoi dischi, magari chiedendo una mano, io ci rimango malissimo. Perché io non penso che dovrei aiutare nessuno. Neppure se lo merita. So che questo suonerà come una posa (non escludo che lo sia) (no, non lo è) ma io non credo che la SCENA possa “migliorare”. Nel portare a conoscenza della gente una musica “migliore”. E’ quasi patetico. Da questo punto di vista sono darwiniano. Se il rap sta massacrando la canzone d’autore, io non voglio intervenire, e non solo perché non ho alcuna simpatia per un genere che già va definendosi “canzone d’autore” (che già mi viene da masticare del compensato, all’idea), ma anche perché intervenendo manderei a carte quarantotto l’evoluzione. E chi sono IO per ostacolare l’evoluzione? Penso, tanto per sciorinare un’altra metafora, che l’unica cosa decente da fare sia mettersi lì con il camice, lo stetoscopio, l’apparecchio per la pressione, e constatare i vari mali di stagione, l’insorgere di nuovi virus, o le recidive (“Lei ha di nuovo un brutto caso di indie” “C’è il solito Springsteen qui, ma sappiamo che non recede – speriamo che non sia ereditario”). Ma senza dare medicine. Tanto,the drugs don’t work.

Questa tua risposta contiene tre punti su cui mi viene da obiettare. il primo è il tuo auto-bollarti come Critico-Clown, che è una cosa che scrivi per avere effetto su di me e spostare di un dentino o due il gioco delle identificazioni. il secondo è che la chiami intervista, ma questa cosa ci sta perchè alla fine le cose le dobbiamo chiamare in un modo. comunque non credo siano interviste in senso stretto, le interviste sono che io ti faccio domande e sto attento che tu non dica cazzate (le interviste ai musicisti invece sono che io ti faccio domande allo scopo di farti dire calzate). Ti faccio una proposta: in inglese interview è anche il colloquio di lavoro, quindi finchè la gente scriverà attitudine in italiano intendendo quello che in realtà è il significato inglese della parola, noi potremmo intervistarci come se questo fosse un colloquio di lavoro o come se avessimo davanti una birra. oppure facendo finta che questi siano più pezzi a quattro mani che parlano dello scrivere di musica, una roba di cui non si parla mai o di cui si parla lamentandone un fantomatico degrado, e che se ci siamo dentro in due reagiamo a stimoli reciproci invece di farci delle seghe mentali, cosa che comunque sembra di capire non riusciremo ad evitare.

Il terzo è il discorso sulLA SCENA, che è una cosa che mi interessa relativamente. non dico tanto LA SCENA quanto il fatto che tu ne faccia parte o meno. al di là che abbiamo deciso che è un habitat, e quindi chiunque è funzionale a un certo tipo di economia, per esempio Colasanti fa parte delLA SCENA ma lo fa in un modo molto organico ed è una cosa che esce fuori in maniera molto onesta dai suoi pezzi (per certi versi anche Caporosso). Mattioli, con cui parlai, scrisse un articolo su Blow Up sulla scena noise di Roma di cui è uno dei più noti esponenti. Mi disse: se non lo scrivo io, chi lo deve scrivere? gente che non esce mai di casa? E così via. Io di mio non amo il concetto di amicizia tra critico e gruppi, ma 1 mi rifiuto di usare come standard etico qualcosa che potrei avere estrapolato da Almost Famous, 2 bisogna comunque capire se ci sono situazioni pendenti di inimicizia strutturale tra critici e gruppi, 3 se uno non sta simpatico, tendenzialmente, non fa il proprio lavoro. e comunque c’è la questione del rapporto tra chi scrive e chi legge. questa cosa è importante ma sta un po’ passando in cavalleria per il fatto che c’è una specie di assioma aggiuntivo nella musica di oggi. vale a dire che se parliamo di un concerto in un club, di qualsiasi genere stiamo parlando, le persone che sono nel locale fanno tutte qualcosa di attivo per la musica. a qualsiasi livello: tengono un blog, fanno foto, hanno una distro di spillette, fanno i fonici a tempo perso, suonano la chitarra in una cover band eccetera. allora voglio dire, la scelta è tra entrare nel locale e stare da solo tutto il tempo (tremando all’idea che qualcuno ti riconosca e venga a pestarti perchè l’hai stroncato, conosco qualcuno che lo pensa davvero) oppure fare un saluto a qualcuno e berci assieme. Terzo livello, parlare di questa cosa come se fosse reale. e tutto questo è solo per cazzeggiare e andare al prossimo capoverso che è quello che contiene la ciccia. 

in questi pezzi cerco di parlare con gente che secondo me nel suo scrivere ha caratteristiche definite. la tua caratteristica principale è quella di essere conforme a una certa visione del critico come di chi ha il ruolo di contestualizzare la musica (o quel che è) alla cultura e al periodo storico di cui fa parte. “questo è importante perchè la nostra epoca, bla bla bla”. però tu lo fai a tuo modo, e a un certo punto dici che diocristo, certa gente è considerata importante per comprendere il mondo in cui viviamo e invece non dovrebbe esserlo (morgan, jovanotti, quel che è). questa cosa è abbastanza importante per me, mi aiuta a trovare dei simili o qualcuno con cui litigare, che sono cose che apprezzo. ecco, io per esempio ci provo a farlo, di tanto in tanto, mi viene in mente un pezzo che scrissi sui Baustelle che secondo me era buono da questo punto di vista -e nel pomeriggio su FB gente che conoscevo non si fece problemi a darmi del fascista, per dire. quindi insomma, forse è questo l’unico punto rimasto alla critica e nel momento in cui lo fai diventi uno dei più importanti a farlo. questa cosa però richiede necessariamente che il critico sia qualcuno all’esterno, qualcuno che passi il tempo a ricontestualizzare e quindi abbia uno sguardo, una teoria o una visione d’insieme e cose simili. può essere patetico pensando che alla fine su RS magari ti chiedono quante stelline vuoi mettere ai Gogol Bordello, però insomma. no?

Questa cosa qui è davvero lunga. Secondo me la gente cambia, e va su Canale 5. Ho sempre pensato che Canale 5 sia lì tipo il cane che gira attorno al tavolo mentre gli altri canali sono seduti a tavola a mangiare, appena una singola briciola cade, è sua. Vuoi veramente infliggere a chi legge 50 righe di fila? Fa abbastanza ridere che non ti va giù che io mi descriva come CriticoClown. Però oh, tu sei quello delle bastonate che nel blog evoca gli haters. Io sono quello a cui i fan di Vasco danno del buffone. Se vuoi ritiro tutto. Però ho come la sensazione che se fossimo a una festa assieme, la gente non avrebbe dubbi su chi è più gaglioffo. Nonché patetico, naturalmente. Che c’ho pure un’età. In ogni caso, ora penso un po’ e provo a rispondere. Anche se mi verrebbe più da fare domande a te. Potremmo stabilire che ci stiamo intervistando l’un l’altro. O facendo i pompini a vicenda (cit.) (anzi, metacit.). Ma eri sveglio alle SETTE? E di domenica, pure? Tu un giorno farai qualcosa di terribile. Voglio esserci.

Alle sei, sì.

Deh, ti rispondo, poi finalmente ti porto dove voglio io… Torniamo alla SCENA noise di Roma e all’articolo che se non lo scrive lui, chi lo deve scrivere? A costo di risultare prevedibile, la mia risposta è: N-E-S-S-U-N-O. Gli articoli sulla SCENA, qualsiasi scena e scenetta, sono un misto di strazio e pantomima che fatico a distinguere da un pezzo di Biagio Antonacci. Guarda, piuttosto dammi un altro pezzo sussiegoso su MiticoLiga.

Punto due: la cosa dei concerti è interessante, perché mi sgami sul perché odio andare ai concerti. Ci sono due motivi: il primo è che la messa cantata mi fa schifo. Se l’assolo che sto sentendo è esattamente uguale a quello suonato l’altra sera a Verona o a Torino, se la scaletta è quella di Cincinnati, allora ciò che sto vedendo è il momento dell’epifania del santo cantante o del leggendario gruppo o del Genio della Nostra Generazione, che si manifestano in un mare di iPhone. E’ un venite adoremus la cui unica variabile alla fine è indovinare se Madonna farà vedere le tette oppure il culo, se Nick Cave lancerà più muggiti o barriti… L’altro motivo è che io ai concerti, ebbene sì: se riesco, sto da solo tutto il tempo. E d’altro canto, i cosiddetti colleghi che mi vedono volentieri si contano sulle dita di una mano, LOL. Ma poi, secondo te a fine serata dovrei davvero fare un saluto e bere assieme al cantante, o sniffarci insieme come faceva Marione Fegiz? Le mie esperienze di pseudoamicizia con cantanti da classifica sono durate pochissimo, perché sia io che loro sappiamo bene che la foto con cane e gatto vicinivicini strappa i like, ma Madre Natura ha previsto che si scannino (e chi sono IO, ecc.).

(qui, inserisci un’osservazione a tua scelta, in bold, per spezzare la mappazza. Fatto?)

Sì.

(Okay. Finisco di rispondere)

Comunque, mi attribuisci una cosa che non è del tutto vera. Secondo me, Jovanotti, Moreno, Morgan, Emma, i Dogo, sono davvero importanti per capire il mondo in cui viviamo, e non è né giusto né sbagliato. Quando io irrido MiticoVasco o paparone Springsteen o i Baustelle, in realtà, come ho detto, sto solo provando a “descrivere quello che succede”, alla Danilo Mainardi. Che poi, io Jovanotti e Springsteen e Vasco e Liga e Baustelle sull’iPod ce li ho PER DAVVERO, anche se poi scrivo cose che portano MiticoLiga a mettere il muso e farmi telefonare dal suo manager. Questo alla gente non arriva, perché sono abituati al Critico Che Distingue Tra il Bene e il Male. Non capiscono che sono solo uno che non fa il tifo. Tu invece ci metti più passione di me, è evidente anche solo dalla scelta di certe parole. E qui veniamo al dunque: tu mi trovavi insopportabile. E ora siamo qui, easy like sunday morning. Però dentro di me mi chiedo se non facevi meglio a odiarmi. Perché odiare, che so, Dondoni o Fegiz, è facile, no? E un po’ inutile. Mentre odiare uno come me forse può servire. Per mettere a fuoco quello che non vuoi essere. Tanto per spiegarmi: io quando ho iniziato avevo solenne ribrezzo di certi beccamorti del Mucchio Selvaggio, e la cosa a suo modo mi ha aiutato a capire cosa trovavo di insopportabile e profondamente sbagliato nel loro modo di vedere la musica. Quindi mi chiedo perché non mi odi più. O magari mi odi ancora ma sei più subdolo di quello che penso, gosh.

NO ASPETTA parliamo un secondo delle telefonate del Liga tramite manager.

Lo farei volentieri, ma mi sto tenendo l’argomento per una specie di immenso assolo finale col quale finalmente distruggo la mia carriera, e che pensavo di scrivere tra ottobre e novembre. In qualche modo te ne ho pure vagamente accennato, qualche mese fa, in un rapido scambio via twitter.

Bevo, non ricordo. in che anni hai iniziato? hai cambiato mai idea su quelli del Mucchio? A me quelli del mucchio piacciono. la menano un po’ col professionismo, ma credo sia inevitabile. Alla fine il segreto è anche avere attorno molta gente che fa il suo lavoro con professionalità, dà modo ai non-professionisti di muoversi liberi intorno al campo da gioco e quando capita fare uno sgambetto. A me piace, ogni tanto, ha una sua rispettabilità perversa. È vero che tra noi due c’è un solo non-professionista, voglio dire, immagino che tu prenda uno stipendio per scrivere, cosa che io non faccio -scrivo perlopiù gratis o facendomi pagare non-tanto.  Io tra l’altro non so niente di te, davvero. leggo pezzi su RS e qualcosa in giro. come ti guadagni da vivere? fai cose di cui non vuoi che si parli? integri con altri lavori? non ho fatto ricerca. Quando hai risposto fammi una domanda.

Io ti avverto: il gradiente di intrattenimento della nostra conversazione sta scemando. Dai, parliamo di giornalisti che odiamo. Che poi, col Mucchio, mi inviti a nozze e mi lanci pure il bouquet. Altro che parlare di professionismo! Who cares. Non è il professionismo a far scrivere cose più interessanti. E lo dico da – pardon – professionista. Certo, il professionista ha più opportunità. Ma spesso non ne approfitta, ascolta i dischi sbuffando, va a intervistare le persone con le solite domande già nella fondina. Il trionfo del pressappochismo dei professionisti si vede nella sala stampa del Festival di Sanremo. Goliardia, clima da gita delle medie, ironie, presunzione. Quelli che vanno a Sanremo a fare gli ironici per me non valgono un dito di Albano. Ma dì un po’, fosti tu a scrivere su Vice una cosa tipo “Ho male ai reni dalla voglia di pisciare in faccia a Anthony Kiedis?”

Non credo. sul blog però misi la rece di I’m with You e scrissi “C’è un sacco di dischi usciti nei primi anni novanta che all’epoca mettevano d’accordo anche i preti e che ora preferirei infilare su per il mio culo piuttosto che dentro il mio lettore CD, ma Blood Sugar Sex Magik gioca in una classe a parte. Blood Sugar Sex Magik possiede un potere di annullamento della razionalità che va oltre ogni possibile discorso sensoriale per diventare fastidio puro, malessere, revisionismo storico, sangue nelle strade e cronache di una vita di merda.“. Non me lo rimangio, sono finito in macchina con un tizio l’altro giorno e sentiva BSSM e sentivo che mi si inaridivano le mucose. 

Robe così. a me Sanremo piace, naturalmente. È l’unico momento dell’anno in cui sto male a non avere la TV. Però di Sanremo mi piace quando la gente butta il cuore oltre l’ostacolo, quando tutto va in merda, quando l’odio ce l’hanno tutti a un metro dalla faccia, non so come spiegartelo. io di un Elio che arriva lì con la sua ironia non richiesta non me ne faccio niente, voglio Anna Oxa e la sua claque fuori dai cancelli del festival che urlano DISAPPUNTO! DISAPPUNTO! perchè Daniele Silvestri è invitato e lei invece sta lì fuori a pettinare le bambole. C’è una dinamica attorno che secondo me in molti non comprendono ed è una dinamica che è tipica dello scrivere di musica ora: il bisogno di recuperare tutto ad ogni costo secondo, c’è questa tendenza ad essere post che va avanti dalla fine degli anni novanta e ancora non accenna a sparire. è un altro motivo per cui lo scrivere di musica diventa una masturbazione. c’è un esempio che ti posso portare: quando annunciavano che il prossimo Batman sarebbe stato Ben Affleck non ho fatto in tempo a svegliarmi (e io mi sveglio prestino) ed ero imbrattato di insulti a Ben Affleck nella timeline di twitter. Quello diventa lo spirito del tempo. Se qualcuno arriva sette ore dopo e dice che Ben Affleck su Batman per me è una notizia grandiosa, mette in moto dei cervelli che fino ad ora son stati zitti e si crea una specie di consenso contrario istantaneo. C’è una bella teoria che risale agli anni in cui studiavo amministrazione pubblica (lo so, scusa): diceva che ci sono problemi preesistenti e soluzioni precotte. la modalità con cui si combinano problemi e soluzioni non è una modalità causale ma casuale. Tipo: il problema non sono duecento euro di IMU, ma muoversi per cancellare o tenere l’IMU dà comunque l’idea che il governo si stia occupando del problema. sto semplificando e vengo al punto, che è una mia idea sul pensiero pop contemporaneo: attendere con pazienza il milione di stimoli quotidiani immediati per avere fatti a suffragio. in tutto questo tra l’altro NESSUNO si è MAI sbattuto a tirar fuori una metodologia, una semiotica, manco un accordo comune sul significato delle parole. a conti fatti, se non fosse eccitante, sarebbe noiosissimo. non ti pare?

Mi piace, è una buona teoria. Penso che tu ci sia vicino. E’ casuale – oppure… Oppure QUALCUNO la fa SEMBRARE casuale – hohoho. Però anche il lettore meno avveduto avrà notato che hai tutto un tuo modo di anguilleggiare attorno alle mie domande. Il che mi riporta a quella principale: “Why so serious?” (e riecco Batman. Qualcosa vorrà pur dire). I tuoi accenni all’odio, le tue pittoresche metafore sull’utilizzo di BSSM. Vedi perché io finisco per sentirmi CriticoClown? Perché tu alla fine sei più simile a quelli del Mucchio (aka Il Giornale Duroepuro Che Rubava I Soldi Del Contribuente) rispetto a me. Tu prendi sul serio i dischi. Specie quelli che ti irritano.

Ma se ci pensi la serietà è una cosa, e comunque non ci credo che non hai dischi che ti fanno girare le palle. DAI, dimmelo.

Dottore, questa è una domanda-chiave, complimenti. Bòn, è possibile che ci sia stato un punto di non ritorno in cui nessun disco, nessun cantante mi ha fatto più realmente scattare l’odio. In cui a un certo punto mi sono persuaso che aver odiato, che so, Renato Zero o Biagio Antonacci per tanti anni non solo non li aveva spostati di un millimetro, ma poteva portarmi più che altro delle stanche, frustrate masse di lettori frustrati da Zero o Antonacci. Ma poi? Cosa fai quando hai tirato su il “Bravo! Cantagliele!” di chi non sopporta più Battiato? Sì, ci puoi lucrare. Fai salire i follower. Magari ti crei una fama di sanguinario per cui a un certo punto parli bene di Battiato, e i lettori fanno “Oooh”, tipo le due volte in cui Gianni Brera parlò quasi bene di Rivera. E a un certo punto Zero o Antonacci iniziano a farti sinceramente ridere, a portarti al LOL. Voglio dire, alla fine il vero problema che avevi – dimmi se sbaglio – non erano loro, ma il pensiero dei fan abbrutiti. Ma la verità è che tutti i fan meritano compassione, anche quelli di Nick Cave o dei Radiohead, o i fan dello hype che a ‘sto giro si buttano sugli Arcade Fire dal trampolino di 3 metri. Ma tornando a me (ehm), sono pressoché sicuro che ci sia stato uno spartiacque tra la mia versione più giovane e hater e la roba che sono adesso. Non so se sia stato uno spartiacque anagrafico o professionale. Ma credo più la seconda. Perché Nella Mia Umile Opinione se fai questo di mestiere devi essere un po’ chirurgo, non puoi avere un legame emotivo di alcun tipo, negativo o positivo, con la roba che hai sul tavolo operatorio. Se ce l’hai, devi metterlo da parte, o farai un bagno di sangue (pagato, per di più). Che io sappia succede a molti giornalisti sportivi, di arrivare al distacco… Ma naturalmente non a tutti: parecchi rimangono tifosi. E scrivono da tifosi. E delle due l’una: o 1) sono un po’ bigoli – perché se per lavoro vedi tutti i giorni Abbiati e Bonera e Allegri ma nonostante questo ancora ti palpita il cuoricione per il Milan, sei un caso disperato – oppure 2) lo fanno per accattivarsi 10 milioni di juventini o 8 milioni di interisti e milanisti e via dicendo – che è sempre un buon affare. E ci sono in giro “esperti di Dylan” o, che so, “esperti di Gaber”, “esperti di De André”, che magari si coltivano la fan base cui vendere il proprio librino. Io non sono tifoso di qualcuno. Non più. Nemmeno di quelli di cui forse sono “esperto” (tanto che nessuno sa bene su quali nomi sono competitivo: spesso chi lavora con me rimane sorpreso nello scoprire che su certa gente potrei scrivere monografie. Cosa che ho sempre, sempre rifiutato di fare). Però allo stesso modo, non tifo nemmeno contro nessuno, non ho più nessuna tendenza allo sfogo liberatorio, alla crociata. Quando i fan inviperiti mi scrivono che sono un fallito pieno di livore, invidia, rabbia e via dicendo, è perché li hanno abituati al Tifo. Secondo me le fan dei Beatles che gridavano e se la facevano addosso agli show erano più ragionevoli dei fan attuali, il livello di ossessività proiettiva attuale è preoccupante. Cioè, gli va il sangue alla testa se non conclami in ogni riga il loro beniamino (ho sempre considerato “beniamino” una parola allarmante). E pensano che sia lì a scrivere per vendetta – i più sereni, dico: quelli che non sono convinti che dietro di me ci sia l’Islam o gli One Direction. Invece quando scrivo sono tranquillo, serafico, anche un tantino divertito – whatthefuck, sto scrivendo di musica, è OGGETTIVAMENTE divertente (…no?) (dai, su). E invidioso, non lo sono nemmeno dei colleghi ricchissimi. Cioè, è vero che Dondoni o Laffranchi guadagnano tantissimo per parlare di musica, ma credo che il loro sogno sia parlare di scarpe o di giacche, il destino cinico e baro li costringe a parlare di quella roba lì, quindi si barcamenano. E poi gli tocca pure andare dalla De Filippi a fare il teatrino, quei soldi se li meritano. Ma quelli che si divertono veramente siamo io e te. Insomma, guarda quanto stiamo andando avanti con questa chiacchierata – e non ne guadagneremo una lira.

Mi piace la prima parte della tua ultima risposta perchè alla fine c’è un problema dello scrivere di musica che credo ci sia dal giorno uno, e cioè quello che la critica venga ancora considerata -uhm- una categoria commerciale piuttosto che un genere letterario. nel senso: se quella del giornalista musicale fosse una carriera, alla fine della tua carriera verrai pesato per i gruppi che hai azzeccato e quelli che hai sbagliato. C’è un tizio che si chiama Carlo Bordone, per me è il migliore a scrivere di musica in Italia o comunque uno dei migliori. Lui scrisse una recensione pesantissima di OK Computer su Rumore, quando uscì, assieme a un altro tizio. Questa recensione ogni tanto torna fuori come motivo di sfottò ed informale squalifica, ok, probabilmente per Bordone non sarà tutto questo problema e può continuare a scrivere e a spaccare per il resto della sua vita, ma insomma -vieni ricordato per certe macchie sul curriculum. questa cosa è indice di un problema: una volta si compravano le riviste per sapere che dischi comprare, ora si (non) comprano le riviste per vedere cosa pensano dei dischi che abbiamo già sentito. E una recensione è buona se il parere è buono, o comunque simile al mio. Io ora mi ritrovo con molto poco tempo per scrivere, e se devo metter giù un parere su un gruppo che ho già letto da qualche altra parte in giro preferisco tenermi il pezzo nelle mani. è una cosa che mi costa una certa fatica, ed è vero che è molto più divertente, però poi quando è il momento metto insieme un pezzo sui Muse che stronca il gruppo secondo una certa ottica mia. e poi la gente che ama il pezzo è la gente che odia i Muse, mentre la gente che ama i Muse mi scrive dicendo che quella non è nemmeno classificabile come “recensione”. Ecco, alla fine io non credo di essere così, o lo sono magari di primo acchito, ma quando leggo un pezzo sulla musica sono alla ricerca di un buon pezzo, non di un parere autorevole. credo. 

la tua opinione su questa cosa mi interessa perchè immagino che il fatto che, poniamo, su RS tu metta un pezzo a favore o contro un gruppo possa far guadagnare o perdere pagine di pubblicità e cose simili, quindi se vogliamo la tua opinione ha anche motivi strutturali. dimmi un po’.     

La domanda sarebbe: “Rollinstòn – e gli altri – e gli altri prima di loro – sono consapevoli del fatto che io sono una mina vagante e si regolano di conseguenza?” Oppure: “Rollinstòn e gli altri mi hanno mai chiesto di scrivere bene di qualcuno?” Oppure ancora: “Io carico o ammorbidisco i toni pensando alle conseguenze del mio pezzo, in termini di relazioni con l’artista o coi discografici o coi lettori?” O tutte e tre?

La tre, però in versione estesa.

Tu però non me la conti giusta. Hai schivato tutte le domande. Così non arriveremo mai al punto, cioè quello che non ti va di me e quello che non mi va di te. La recensione reciproca. Il nirvana. 

“Perchè non mi odi più?”, era? Non è che non ti odio più -non ti ho mai odiato. C’è un mio amico, si chiama Marco e scrive di musica e dissa un sacco di gente ma dice che insomma, quando ti disso io disso quello che scrivi, io non ti odio, non ci penso neanche perchè ho proprio degli altri cazzi da fare, detto così in maniera inelegante. Il che non toglie che internet sia il mio passatempo preferito e la cosa su cui investo più emotività tra le cose che non sfiorano la vita vera. Detto questo, sicuramente ho odiato qualcosa che hai scritto ma non ricordo cosa. Più recentemente ho amato qualcosa, anche qualcosa su cui non sono d’accordo -se non sbaglio un osanna dell’ultimo disco dei Depeche Mode, tipo, che tra l’altro secondo me fa pena quindi la mia cosa rispetta quello che dicevo prima. E quindi è bello anche sapere che i rapporti di amore/odio non sono solo quelli che prima ami e poi odi e così ma anche quelli per cui ami certe cose e altre le odi. in maniera molto equilibrata e tranquilla. Era questo? Hai altro?

Mmh. Non ti facevo così ferrato nell’ars polveronis. Comunque, mi ritrovo piuttosto disinnescato. Detto così sembri uno con guanti, ghette e bastone da passeggio. Resta che hai fama di picchiatore, e finora in questo amabile duetto non è venuta fuori. Penso anche che tu un po’ te ne compiaccia. E mi chiedo quando finirai gli aneddoti sulla tua vita personale. Oppure, quando ti verrà il dubbio che al lettore cominceranno a dare sui nervi.

Comunque, mi sorprende essere stato IO a spingere sul pedale dell’odio con Monsieur Bastonate in arte Roba per Haters. Io che finora se ho sbagliato su qualche disco è stato per troppa bontà e non per troppa cattiveria. Sei forse tu cresciuto, o Disappunto? Oh, disappunto. Avanti, raccontami la tua idea di inferno. Chi c’è all’ingresso? E chi al centro?

Il sottotitolo di Bastonate cambia, ora c’è “nel senso del coito”. “Roba da/per haters” me l’ha detto quello con cui ho parlato prima di te, nella fattispecie “in linea di principio non sono interessato a questa roba da/per haters”. E poi abbiamo parlato cordialmente. e quindi secondo me se ho fama di picchiatore, e non credo di averla, non la merito. magari sono più un passivo-aggressivo che è roba che va più di moda, ma anche quella è una nomea che preferirei non avere e quindi VAFFANCULO, ecco. L’inferno invece è una cosa a cui non rispondo, perchè non so cosa dirti. Io sono un ragazzino che si bagna e scrive per emulare gente che ha letto prima. o scrive pezzi che non ci sono, però in giro la gente scrive discretamente bene tutto sommato, quindi forse ha senso stare qui a parlarne. questa chiacchierata verrà falciata come poche altre, per darle un ordine. e poi la rileggerai prima che la pubblichi. Anzi, rispondo: quando scrivo di musica, L’INFERNO sono le persone che non hanno rispetto. a volte è una persona che pubblica un disco brutto, ma questo è sì e no al livello degli ignavi (e poi non puoi dire male di quelli che pubblicano un disco). a volte è una persona che scrive di qualcosa senza saperne niente. a volte è una persona che mi commenta dicendo che non ho il diritto di scrivere di qualcosa. a volte è qualcuno che si riempie la bocca di concetti inesistenti o travisabili o semplicemente sbagliati. e poi mi infastidisce l’uso del vocabolario. per esempio c’era un articolo su una rivista che spalleggiava il nuovo festival di Manuel Agnelli, e parlava sostanzialmente del fatto che nessuno in italia fa CULTURA. Ecco, a me viene da pensare che uno, prima di pontificare per dieci pagine su una specifica parola, dovrebbe aprire la pagina wiki dedicata (mica ho detto il vocabolario) e decidere qual è il significato che intende e poi decidere se scrivere, o meno, l’articolo. capire se questa cosa che sta scrivendo offende qualcuno. a volte quando offendi qualcuno in realtà lo stai aiutando, ma a volte no. e allora qual è il caso? Da cui, appunto, torniamo a noi. a volte mi offendi, ma ho deciso che mi offendi costruttivamente. che la tua roba è sincera, se questa cosa significa qualsiasi cosa. succede anche con altri. in altri casi, non vorrei citare Castaldo o quella gente perchè sono bersagli facili ma sono davvero troppo i principali esempi di questo, le cose che scrivono sono sintomo del loro bisogno (economico) di scrivere cose e del loro disinteresse a prendere informazioni. anche io sarò così a sessant’anni, immagino, ma spero per allora di aver smesso di scrivere o di essere diventato un vecco bacucco che si lamenta di ogni cosa.

Un’altra mia bestia nera, ultimamente, è il modo in cui viene trattata la musica dai generalisti. non dico i programmi TV perchè non sono qualificato a parlarne, ma ormai arriva saltuariamente qualche flame del cazzo (basato sul niente, spesso) da parte di qualcuno che intervista qualcun altro, come il tizio che ha intervistato colapesce su repubblica confezionando una guerra tra nuovo cantautorato italiano e nuovo rap italiano che pur non esistendo ha mietuto qualche vittima. E poi al centro ci stanno tutti gli automatismi alla base dello scrivere e del leggere, l’idea che la professionalità sia accettare e sostenere questi automatismi invece che volerli scardinare e scrivere altro. C’è così tanta roba buona che potrebbe essere scritta o letta, penso alle cose che fa un Pop Topoi per dire, che non riesco a capire come mai la gente continui a leggere interviste noiose e recensioni canoniche e cose così. Sono un po’ prolisso.

Sì, sei un po’ prolisso 🙂 E sicuramente passivoaggressivo. Comunque, direi di chiudere qui, tu hai avuto l’assolo finale, io vado con il paio di minuti di chill-out, tipo la conclusione di Dancing with the Moonlit Knight dei Genesis, una parte strumentale così aggraziata, dopo tanto crescendo epico, che sembrava quasi che stessero deponendo le armi e sorridendo imbarazzati al pubblico.

Una risposta a “Bastonate e chirurgia sperimentale”

I commenti sono chiusi.