AMARGINE

Radio Italica

(io non vorrei occuparmi di questa cosa. Davvero, avrei da lavorare)
(ma pazienza)

Intanto, c’è da dire che la smania di imporre una quota fissa di musica tricolore non è nuova. Ci pensò Pavolini durante il fascismo, ci ha pensato Franceschini durante il Renzismo.

Ora ci pensa la proposta di legge di Alessandro Morelli, presidente della commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera – ed ex direttore di Radio Padania. I cui ex giornalisti salutiamo volentieri: quando nel 2017 l’emittente ha iniziato a barcollare, molti di loro sono stati assunti dalla regione Lombardia presieduta da Roberto Maroni.
(perché dicono dei comunisti, ma l’amore dei leghisti per il denaro del contribuente supera quello di Dante per Beatrice)

Nel testo della proposta, che ha già diversi obbedienti firmatari, si chiede (art.2) che “le emittenti radiofoniche, nazionali e private” riservino “almeno un terzo della loro programmazione giornaliera alla produzione musicale italiana, opera di autori e di artisti italiani e incisa e prodotta in Italia, distribuita in maniera omogenea durante le 24 ore di programmazione”. Che è un dettaglio non da poco: in Francia per aggirare la famosa legge Toubon, diverse radio si sono messe a mandare musica francese tra le 2 e le 5 del mattino. Haha, i soliti furbòns.

Quindi vediamolo, il rapporto tra musica italiana e radio: magari la proposta ha senso, e non è l’ennesima uscita propagandistica dell’ex partito anti-italiano.

Nella top 10 delle canzoni più diffuse per radio nel 2018 secondo i dati EarOne, c’è un 40% di canzoni italiane, guidate da Non ti dico no di Boomdabash e Loredana Berté (n.1). Nella top 20 sono nove, nella top 30 sono 14, il rapporto tra italiane e straniere è sempre vicino alla metà: si arriva alla top 100 con esattamente 50 titoli.
Inutile dire, per un partito che sa far di conto, che il 50% è ben superiore ad “almeno un terzo”.

Detto questo, se la necessità è aiutare i nostri poveri musicisti, nella top 30 degli album FIMI del 2018 c’è un solo album straniero, e non è nemmeno del 2018: è quello di Ed Sheeran. Ventinove su trenta sono italiani, eia eia. Che è decisamente superiore ad “almeno un terzo”. Quanto ad aiutare “i giovani”, nella top 10 del 2018 solo un’artista ha più di 35 anni, ed è Laura Pausini. Anzi, tra un po’ bisognerà occuparsi di tutti quei cantanti italiani sopra i 35 anni spazzati dallo streaming.
Se la top 10 non vi basta, allarghiamo alla top 100: gli artisti internazionali sono 25, ma dobbiamo includere Queen, Pink Floyd, Guns’n’Roses: i titoli usciti negli ultimi 2 anni sono meno della metà. Di nuovo: 25 su 100 implica che gli italiani il 30% lo superano e piuttosto largamente.
Quanto ai singoli, nel 2017 c’erano stati tre singoli italiani in top 10 (il 30% fatidico), nel 2018 a essere il 30% sono gli stranieri: con un patriottico 70% li stiamo ricacciando da dove sono venuti. Con il n.1 di Amore e capoeira ottenuto con Takagi&Ketra, LaGiusy è la n.1 dell’anno proprio come nel 2015 quando cantava Roma-Bangkok con Baby K.

In sostanza, siamo già quasi in autarchia. Ne volete di più? Va bene, ma prendete provvedimenti più utili: bruciate i dischi stranieri, oppure i libri e i giornali, o bloccate i siti internet internazionali: ci sono nazioni che lo fanno con grossa soddisfazione.

Infine, arriviamo al rapporto tra diffusione radiofonica e sostegno ai nostri artisti. Non c’è un rapporto evidente. La canzone più diffusa per radio nel 2018 è stata Non ti dico no di Boomdabash & Loredana Bertè (sempre dati EarOne). Al n.2 Who you are di Mihail, al n.3 Una grande festa di Luca Carboni. Nessuna delle tre è tra i primi trenta singoli dell’anno, la n.2 e la n.3 non sono nemmeno tra i primi cento: Non ti dico no si è classificata al n.38 nella classifica annuale. Nel 2017 invece svettava Partiti adesso di Giusy Ferreri. Che NON è entrata tra i primi 100 singoli più (venduti?) (ascoltati a pagamento?) (gettonati?) del 2017 nella classifica finale diffusa dalla FIMI. Nel 2016, la canzone italiana più trasmessa – sempre secondo l’autorevole EarOne, era stata Ti sembra normale, di Max Gazzé. Che nella top 100 ci era entrata, con un autorevole numero 98. Aveva fatto peggio di Volevo te di Giusy Ferreri, n.94 – e 18mo brano italiano più diffuso quell’anno. In pratica, trasmettendola un po’ meno, le hanno dato qualche chance in più. Negli ultimi anni il risultato migliore ottenuto da una delle canzoni più trasmesse è quello di Share the love di Cesare Cremonini, n.24 nella classifica di vendite di quell’anno.

Potrei produrre altri dati in merito. Potrei anche sottilizzare su quanto agli ascoltatori della radio interessino le canzoni che sentono, rispetto a chi le ascolta in streaming o compra i cd. Ma non ho tempo. Perché a differenza di Alessandro Morelli e i suoi amici, sto facendo tutto questo gratis.

2 Risposte a “Radio Italica”

  1. Dati come sempre interessanti, Paolo. Sai invece se esiste uno studio/ricerca/dossier su quanto incidono i vari canali nelle revenue di un artista di primo livello (top 10 nazionale)?

    Parlo dell’ambito più strettamente “musicale”, escludo quindi ospitate o pubblicità: concerti/Vendite dischi/itunes/visualizzazioni youtube/ascolti spotify/ecc…

    Grazie!

    1. No – sarebbe bellissimo se esistesse (io ne andrei matto) ma credo comunque che per ogni artista ci siano condizioni contrattuali differenti, soprattutto per i concerti, molto probabilmente in qualche caso anche per i cd, e se ho capito bene anche per lo streaming. Fermo restando che non veniamo a sapere nemmeno il dato normalmente diffuso in USA sui profitti annuali dei cantanti, o quelli dei loro tour.

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