AMARGINE

Una grande marmellata di invettive – TheClassifica 14/2020

Il numero uno. Gigaton dei Pearl Jam è entrato al n.1 della classifica dei presunti album, prendendo il posto di The Weeknd, che scende subito al n.6. Era dall’agosto del 2018 che due nomi STRANIERI non si avvicendavano al n.1 (Ariana Grande, Eminem), e peraltro il 2020 ha già superato il 2019 per quanto riguarda gli STRANIERI al primo posto (uno solo: Bruce Springsteen detto Il Boss). Ora, la prima settimana, la prima traccia dell’album Who ever said aveva un milione di ascolti. Pochi. Fidatevi. Perché sto parlando di ascolti mondiali. Normalmente, quei numeri in Italia li fa un brano rap di media caratura. Forse i Pearl Jam si sono giovati dei preordini di cd su Amazon. Oppure vanno benone su AppleMusic, che ha utenti più boomer. Quel che so di certo è che Gigaton è entrato al n.1 in Italia, ma solo al n.5 in USA. Quindi in proporzione ha tirato su più da noi che in patria. Forse dovremmo adottarli. Curiosamente, non è nemmeno il vinile più venduto (è GarbAge di Nitro, che ci crediate o no).

 

Preambolo. Ma come sarebbe a dire? Il preambolo dovrebbe essere PRIMA.

 

Non fa niente. In questo caso vale la pena di farlo ora. Perché torniamo alla richiesta lassù: fidatevi. Sono ascolti molto bassi. Naturalmente è vostro diritto non fidarvi. Il problema è che se non vi fidate, dovrò produrmi in una prolisseide di valutazioni per di più goffamente empiriche. E aggiungere che secondo Quartz e Music Business Worldwide, in Italia l’ascolto delle 200 canzoni più popolari su Spotify è diminuito del 20-25% nelle prime due settimane di marzo – ed erano ancora bei tempi, raga. Il calo comunque c’è stato ovunque: USA, Francia, Spagna, e l’isola di supponenza che un tempo era in Europa. Bene: mi spiace non avere numeri e raffronti di mia produzione, ma la verità è che non mi aspettavo il calo negli ascolti della roba nuova. Anzi, pensavo che le poche uscite di un certo peso avrebbero beneficiato della scarsa concorrenza. Quindi mi tocca ammettere l’errore di valutazione e parlare col senno di poi, che sono due cose che depreco.

 

Sì, mi sbagliavo. E posso fare solo una cosa. Per dissimulare il mio errore, ricorrerò al trito ma sempre vantaggioso espediente di scagliarmi contro Coloro Che Ne Sanno – in gran parte, miei colleghi (per così dire). Ora inveisco. Subito dopo Dua Lipa avvolta in una tovaglia.

 

Invettiva. Se è vero, e lo è, che la gente in casa non sta ascoltando musica, i motivi principali sono che le piattaforme di streaming hanno intercettato una fame bulimica di novità, che andava alimentata con il necessario hype. Questo è evidentemente venuto a mancare, nonostante le liste coi consigli su cosa ascoltare abbiano infestato le TL di tutti noi. Ma quello che si evince in seconda battuta è che la gente ascolta musica molto volentieri fuori da casa. In treno, in metropolitana, durante le ore di scuola, durante le ore di lavoro. Forse perché in casa preferiscono passare ore al telefono o in chat o guardando su Netflix i film e le serie indicate dalle liste che hanno infestato le TL di tutti noi. Oppure.

 

Oppure. Un’eventualità che credo sarò l’unico a ipotizzare in mezzo alla pletora di legittimi pareri è che quella musica perfetta per essere ascoltata distrattamente in treno o per strada o nel casino della metropolitana (la linea 3 dell’ATM di Milano è la più fragorosa del mondo), in casa – chiedo scusa per l’espressione sessista – rompa le palle. Perché è naturale che il messaggio si adatti al mezzo, ci sta. Solo che ora il mezzo presenta il conto. E siccome io non ascolto musica in metropolitana o in treno (perché non mi rassegno a una musica che si mescoli al suddetto frastuono della linea 3) ma solo quando sono a casa, dentro di me ho sempre saputo che i miei influenti colleghi e gli ancora più influenti influencer avevano riposto troppo entusiasmo in un sacco di brutta musica cretinazza e pesante, e giuravano sull’immortalità di artisti stupidelli e saccenti che secernevano canzonucce dotate pure loro di barbine pettinate e di smorfiette annoiate ma chic. Guardando al decennio testè concluso, il 99% dei dischi per i quali gli opinionisti hanno spergiurato bellezza e avanguardia e coraggio o anche solo contagioso divertimento, fanno uno schifo orrendo, se va bene sono lagne mosce e pretenziose con le quali simulare per un paio di settimane di avere una qualche cognizione del dolore.

So che non potete concordare ad alta voce. Perché Coloro Che Ne Sanno potrebbero sentirvi, sono ovunque, Gesù dinoccolato. Ma pensatelo dentro di voi. È la deprimente verità. I dischi e le canzoni veramente buone degli ultimi dieci anni hanno avuto vita durissima. E la loro bellezza è annegata in un mare di roba di indicibile pochezza ma vagamente commerciabile, altrettanto esaltata – così che come i pastori ora siamo qui a chiedere al ragazzetto vivace e burlone “Ma dov’è, santìddio, il lupo che hai visto?” E il lupo, amici, non c’è, il tipetto con tutti i follower ha sempre mentito, il suo hashtag diceva #Lupostraordinario #LupoTOP #Lupoleggendario #LupoDEFINITIVO #Lupodeldecennio. Ma il saputello non riconoscerebbe un lupo nemmeno se gli allungasse i 5 euro della recensione mentre gli sta sbranando la nonna.

 

Resto della top ten. Non si sposta dal podio Marracash, che precede Dua Lipa. Buon ingresso al n.4 per Gianni Bismark, mentre recede al n.5 Ghali. ThaSupreme, Nitro e FSK Satellite completano una prima diecina particolarmente rappusa, con i Pinguini Tattici Nucleari come unico nome pop italiano. Definizione di cui mi servo solamente per rimarcare che Gaia, vincitrice di Amici di Maria, è già uscita dalla top ten.

Sedicenti singoli. L’ex primatista The Weeknd perde terreno anche qui, dal n.1 al n.5 – mentre raggiunge la vetta Auto blu di Shiva & Eiffel 65, che tengono a bada Roby Facchinetti con il singolo pandemico Rinascerò rinascerai, e la combo rappusa messa insieme da Marracash per Sport, con i featuring di Luché, Lazza, Paky & Taxi B.

 

Altri argomenti di conversazione. Mi sono già dilungato, li rimando alla settimana prossima. Tagliamo corto e arriviamo ai

 

Pinfloi. The dark side of the moon resta l’album da più tempo in classifica (178 settimane) ma scende in modo preoccupante dal n.71 all’89. L’altro giorno dalla mia finestra, verso le due del pomeriggio, in uno dei tanti giorni di sole di questi marzo e aprile inverosimili, ho sentito qualcuno da una casa vicina – non ho idea di chi fosse – che suonava al pianoforte la parte iniziale, solo quella fino alla voce di Clare Torry ma in loop, di The great gig in the sky. Ed era qualcuno che evidentemente era consapevolissimo del fatto che Richard Wright è partito da una variazione su una cosa che aveva sentito da Bill Evans in Kind of blue di Miles Davis, perché sentivo che stava facendo una variazione anche lui, stava creando spazio attorno a quegli accordi – io suono da cani ma credetemi, anche chi tra voi non suona il piano avrebbe capito che lo stava facendo: stava passeggiando in quella introduzione e ci stava mettendo qualcosa che ci vedeva solo lei o lui, ricordi o rimorsi o dubbi o segreti che non avrebbe saputo dire a quelli che vivono con lui ma li stava dicendo a me che non ho idea di chi diavolo sia, e magari mi capita e mi capiterà di incontrarla/o lungo la strada dove viviamo e ostiarla/o per il parcheggio oppure perché ha uno di quegli stupidi cani che hanno sempre bisogno di fare polemica con chiunque incontrino, e io non sopporto un cane che crede di saperne più di me e spesso rispondo. Però ecco, questo coi Pinfloi lo puoi anche fare, e mi costa ammetterlo. Con Tame Impala non lo puoi fare, e forse è per questo che è uscito di classifica dopo 3 settimane, perché dopo le recensioni sbavose Coloro Che Ne Sanno sono stati i primi a smettere di ascoltarlo, zio cantante. Bene. Ciò detto, The wall non è rientrato in classifica. D’altra parte, che bisogno c’è. The wall è entrato in noi.

3 Risposte a “Una grande marmellata di invettive – TheClassifica 14/2020”

  1. Eddai che almeno una voce si alza nel silenzio fra le case senza Spotify!
    Grazie Madeddu, grazie.

    Ma come vanno invece gli ascolti dei matusa sullo streaming? Male anche quelli? Ho come l’impressione che questi (cioè noi) a casa preferiscano tirar fuori cd e vinili al posto che il cellulare e lo Spotify (con la vocina irritante – la peggiore di sempre secondo me, l’avranno scelta apposta – che dice che è irritante quando le pubblicità interrompono la musica)

    1. Eh, questo nessuno ce lo può venire a dire. Ma una cosa è abbastanza provata – che gli adulti disperdano i loro ascolti, che non sono concentrati sulle novità ma spalmati sulle cose che gli sono piaciute in passato, e lì i dati delle piattaforme difficilmente possono far notare un picco nell’ascolto dell’hair metal anni ’90 o del country-rock anni 70.

      1. Diamine,è vero. Ho letto la tua risposta e ho pensato: “Ma che babbeo sono!”.
        Torno ad ascoltare roba vecia.

I commenti sono chiusi.