AMARGINE

TheClassifica 68 – sMadonnando

“Ma il tempo passò. Non era più tanto facile, e lei non si sentiva più così forte.
Sì, i tempi erano duri: si pensava troppo al futuro, e a ciò che avrebbe potuto piacere alla gente.
E poi arrivò quella volta che lei si esibì, e nessuno chiese il bis.
E quando camminò verso la luce, le presentarono il conto. 

Ma lei continuava a sognare di quando ogni volta che si esibiva, tutti ne volevano di più.
Di quando non doveva far altro che entrare nel cono di luce, e la folla avrebbe ruggito”.

(Genesis, Duchess)

Cos’è la musica pop, oggi? Ma proprio oggi, 20 marzo 2015? Oggi, se me lo chiedete
(fatelo, però – se no rimango qui come un insettostecco, o bacillus rossius) 
vi rispondo che la musica pop sono i suoni che devono vestire un’immagine. Uso “suoni” in senso molto ampio, includendo anche certe parole. Per esempio, “bitch”, della quale Rebel heart (n.1 in Italia) è cosparso come se Madama Ciccone ci avesse caricato lo spruzzino per le foglie.

Per motivi anagrafici, ho avuto la mia parte di bambola per Madonna. È stato nella fase tra Express yourself, Justify my love e Vogue. Oltre a popolare i miei primi turbamenti, ha anche occupato una piccola parte dei miei scaffali; penso che Like a prayer sia tuttora un disco ispirato, e prodotto in tempi privi dell’ansia da produzione. All’epoca, i suoni erano ovviamente importanti, lo sono sempre stati – ma potevi permetterti di sbagliarli, e dare lo stesso la sensazione di essere a fuoco (mi viene in mente, dall’album succitato, Till death do us part, bella canzone distrutta da un arrangiamento veteroanni80, a decennio sostanzialmente concluso).
Credo sia questo che rende terribilmente patetico Rebel heart. Nessuna canzone ha alcunché di prezioso, e la cosa è palese nelle ballatone – che la signora scrive con lo stampino dall’inizio degli anni 90 – ma goffamente dissimulata da accessori pacchiani (da Mike Tyson alle tastiere zanzarone) nei pezzi che dovrebbero suonare la carica della sua ennesima riscossa contro le millanta presunte eredi. Ma tra Bitch I’m Madonna e Unapologetic bitch, tra Iconic e Illuminati, è evidente che la Signora non sta più dando la linea. Sta rincorrendo il cono di luce. Doveva succedere.

…Doveva? 

Dal punto di vista dell’immagine, Madonna aveva resistito bene all’attacco di Britney e Christina, sia con la musica (fino a Confessions on the dancefloor, 2005) che con l’immagine, con la famosa esibizione del bacio a stabilire chi fosse la capobranco. La sua strategia non è molto cambiata – lo dimostra lo show del Super Bowl con M.I.A. e Nicky Minaj. Ma quello che è cambiato, è il pop attorno a lei. E il fatto stesso che il disco sia prodotto da un trenino di gente diversa come Diplo, Kanye West, Billboard, Avicii, DJ Dahi & Blood Diamonds, Ryan Tedder, Toby Gad, Ariel Rechtshald e (…visto che era lì) Madonna, dà la misura del fiatone. Non sta più dando la linea, la sta cercando affannosamente. La fragilità strutturale delle canzoni e la pochezza dei testi sarebbe ancora perdonabile
(anche se si accappona il cuore a sentirla indulgere continuamente nel namedropping e nel branddropping, specie quando nomina se stessa, autohype da wannabe e non da regina, tenuta a stare un gradino sopra) 
ma i suoni, mioddio – anzi, Gesù (alias colui che “tratta meglio la sua patata”, nella straziante Holy water, sex song sul cunnilingus con la quale forse voleva per l’ennesima volta scandalizzare il Vaticano).

Ora vi confesserò una cosa. Prima di scrivere questo pezzino ho anche pensato: “Non è che scrivendo della decadenza di Madonna sto facendo una discriminazione? Che con un maschio 57enne peterpanico sarei più indulgente?”

(“Ti chiedi davvero queste cose?” “Sono di una correttezza che nemmeno te la immagini” “Questo perché stai invecchiando a spron battuto” “Il che mi rende piuttosto adatto a fare considerazioni in merito, no?” “Ma con il prevedibile compiacimento di chi vede che Doriana Gray sta senescendo anche lei. Dì la verità, l’aspettavate tutti al varco. Aspettavate la caduta” “No, non è questo. Ora cerco di chiarirlo” “Ah, quand’è così mi metto in poltrona trepidante”)

Non mi interessa se Madonna è maschio o femmina. Nel suo caso è applicabile l’interessante regola di Bob Stanley (nel libro sul pop Yeah, yeah, yeah). Quelli veramente grossi, sono quelli di cui si può dire che c’è stato un prima e un dopo. Prima e dopo Elvis. Prima e dopo i Beatles. Prima e dopo David Bowie. Prima e dopo i Sex Pistols. Prima e dopo Michael Jackson. Prima e dopo Madonna. (ce n’è altri, ma pochi pochi) (sceglieteli voi, così vi immusonite un po’ meno se ho tralasciato qualche vostro santino 😀 ) Il resto, per quanto mi possa e vi possa piacere, non divide la Storia. So benissimo che i Clash sono importanti. Ma a dividere due evi, come Colombo nel 1492, sono i Sex Pistols: i Clash sono i Magellani, toh (…fate i bravi, ora: non trascinatemi in una discussione sui Ramones. Devo parlarvi di Madonna, perdio).

Quindi, le fatiche di Madonna sono un fatto. A renderle più visibili è il suo sforzo di risultare sempre sexy? Ma questo coinvolgerebbe solo la parte iconica. E nemmeno tanto, tra l’altro: in fondo sta facendo fatica anche Lady Gaga. No, si tratta soprattutto di fatiche musicali, se interessano ancora (e ho il sospetto che sì, interessino ancora. Anche se non a noi scanzonati media, sia chiaro).

E tuttavia, la buona notizia, nelle fatiche di Madonna, è che il pop se ne sta affrancando. Poi, lei sicuramente avrà la sua riscossa col tour, con l’attenzione dei magazine e dei social, con le immancabili provocazioni sul palco, tra crocefissi e ammiccamenti sadomaso (nel disco c’è, tanto per cambiare, una pletora di allusioni religiose) e soprattutto con la pioggia di dollari veri riscossi dai fan. Ma credo si possa dire che se il pop attuale, con tutta la sua stupidera, la sta spingendo fuori dal cono di luce, significa che il genere ha personalità, che c’è dell’originalità in giro: magari a noi tardoni non dice molto, e in classifica non sfonda (Ariana Grande è nella top 100 da 26 settimane, per quanto fluttui intorno al n.62) ma sicuramente dice qualcosa a chi non era nato ai tempi del libro Sex. Ed è giusto così, deogratias.

Ilrestodellatoptenmoltoinbreve. Al n.2 scende Jovanotti, al n.3 Il Volo, al n.4 c’è Nek, al n.5 TZN, al n.6 i Dear Jack. Si trattengono più del preventivato in top ten J-Ax (n.7, uscito quasi due mesi fa) e Noel Gallagher (n.10, uscito all’inizio del mese); vi si trattiene più di quanto io possa tollerare Gianna Nannini (n.9). Vi si trattiene, ma con l’aria di chi si aspettava di più, Marco Mengoni (n.8, uscito da 9 settimane). Ne esce, ma al n.11 e con l’aria di chi se ne sta lì acquattato, Ed Sheeran. E persino Marco Masini (n.12) non demorde del tutto. MiticoVasco è al n.13. Eeeh!

Dive sanremiche. Annalisa è al n.17, Malika Ayane al n.18, Nina Zilli al n.24, Chiara Galiazzo al n.25, Bianca Atzei al n.27. Tatanna al n.50. Io direi che qualcosa non ha funzionato.

L’altro disco nuovo. Oltre a quello di Madonna c’era soltanto un altro disco nuovo in tutta la settimana, ed era quello degli Otto Ohm (n.47).

Pinfloi. Un’ondata di pernicioso e sicuramente immotivato ottimismo ha inferto un duro colpo a The dark side of the moon (sceso dal n.59 al n.88), e a The Wall (dal n.78 al n.100); per fortuna The endless river, del quale non mi stancherò mai di tessere gli insulti, sale dal n.25 al n.22; è in alta classifica da 19 settimane – mi chiedo se non lo stia promuovendo Cesare Cadeo durante i film del pomeriggio, chiamate ORA.

Miglior vita. Quattordici album di artisti che hanno raggiunto i Campi Elisi: metà sono di Pino Daniele, ma è confortante veder tornare Whitney Houston e Lucio Dalla e insomma dai, non era neanche giusto che Pino monopolizzasse il mortorio.

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