AMARGINE

TheClassifica 51 – Dogo Silvestri & Gazzé

Ehi, zii. Scusate, vi ho trascurato. Oggi vorrei parlare solo dei Club Dogo. Solo dei Club Dogo. Nient’altro. Solo dei Club Dogo.

Ma magari dopo. Prima di tutto, Ensi. Sì, è storia di due settimane fa, avrei dovuto scriverne allora. Ma sono stato attainted in the troubles, come James Durrisdeer.

La sfiga di Ensi! Andare al n.1 col disco più venduto nella settimana in cui si parla di un disco che nessuno ha comprato. Ovviamente, Songs of Innocence degli U2. Nessuno lo ha comprato, ma come sapete è stato ascoltato e discusso (non saprei dire se più la prima o la seconda) molto – eufemismo – più di Rock steady di Ensi. Non so se da questa cosa sono irritato più io, o Ensi. Perchè a questo punto, vacilla tutta l’architrave su cui mi sono impuntato per questa rubrica, cioè il fatto di parlare della musica per la quale qualcuno continua ad aprire il portafogli e spendere i propri soldi. Nel caso di Songs of Innocence (sul quale non ho alcun parere. Perché non è ancora uscito), il disco più ascoltato non è il disco più comprato.

(“Sei sicuro?” “No, mai. Ma di cosa, in particolare?” “Che non sia il disco più comprato. Apple lo ha comprato, giusto?” “D’accordo, però – ” “Non hai scritto da qualche parte che i brand sono le nuove star?” “E con ciò? Forse l’ho scritto solo perché suonava bene. Ho diritto anch’io a scrivere sentenze altisonanti” “Era una provocazione, quindi?” “No, è una cosa evidente. I brand da tempo ci rappresentano più dei partiti” “E i partiti eseguono la nostra volontà” “Questo è troppo acrobatico persino per te, dai” “Quindi la nostra volontà era comprare il disco degli U2. E ciò è stato fatto” “Cosa vuoi da me, io non voglio parlare degli U2, voglio parlare dei Club Dogo” “Ah, ho visto. Bene. Continua a parlare dei Club Dogo. Su. Ti ascolto”)

Dunque, vi stavo parlando di Ensi.
(“AHA!”)
Ma dopo parlerò dei Club Dogo.
(“Sì, sì”)

Credo che Ensi sia la cosa più vicina a un rapper onesto. Fa ridere quanto basta (in tempi più giusti, Terrone sarebbe diventata un classico), non spande, non abusa dei cliché rappusi – però qua e là ce li piazza, tanto per far capire che, qualora. Musicalmente è molto old school, e questa cosa gli apporta rispetto. Se non che, emblematicamente, la settimana dopo escono i Club Dogo e vanno al n.1, e lui esce subito di top ten, andando al n.11.
Ve l’ho già detto quanto è importante la seconda settimana, vero? Però magari quella settimana lì non c’eravate.

I Club Dogo sono l’opposto di Ensi. In passato ho detto cose cruente su di loro, e le penso ancora, nonostante un interessante confronto con Gue Pequeno in un’intervista che è sparita dal mondo, anche se ce ne sono sparute tracce in giro.

Però devo riconoscere che stavolta mi fanno almeno tre gol. Sono come la Juve, i Club Dogo, nonostante il millantato milanismo: vincono con le cattive. Al che tu ti ritrovi lì sperando in un appiglio, tipo che hanno rubato o sono brutti e senz’anima. Al che loro ti fanno notare che te le hanno suonate, quindi muto, rosikone. Al che tu cerchi di non rosikare per non dargli questa soddisfazione. Al che, te ne vai a casa con la sensazione che non abbia vinto il Bene. Al che, non capisci perché. Al che, ripensi ai tre gol. Ovvero:

1) “Chiamami bomber, passami il Dompe”. Il grido di una generazione di zarri. Sapete, io ci abito, in un quartiere rappuso, e davanti a tanta autentica capacità di andare dritti al bersaglio non posso negare la mia ammirazione. Mica per niente quello grosso dei Club Dogo c’ha il papà pubblicitario. Perfetto, davvero perfetto qui ed ora;
2) “Siamo fraaa-giliii”. Il contropezzo, il secondo singolo col dilaniato romanticismo da strada che bilancia il primo singolo smargiasso. Un testo da manuale, proprio nel senso scolastico – se non fosse per un’altra intuizione: Arisa. Forse attualmente la sola cantante italiana con una informe contemporaneità pop. Non so come mai ce l’abbia, ne sono sconcertato quanto voi – perché voglio dire, appena smette di cantare è esattamente tutto quello che non dovrebbe. Però ce l’ha. Persino al netto delle più terribili forche caudine, dal pezzo sanremese terribile alle beghe con Seifalsa Simona – eppure, però, ciononostante quel ritornello Arisa lo canta persino meglio di come va cantato, illumina la canzone, riesce a farla spiccare tra mille stucchevoli riscritture one-two, one-two di Romeo e Giulietta di Baz Luhrmann. Anche qui: stabilito qual è il prodotto e la mission della società, di meglio non si può fare;
3) Non mi ricordo. Forse il terzo è il rigore che non c’era, ma che loro poi dicono “Avremmo vinto lo stesso”;
3) No, invece ora ricordo: il video di Weekend. Ovvero “Guardateci, siamo dentro l’America – vedete, ci sono i CARTELLI. E guardate, siamo anche noi nella piscina con le tipe in bikini. Ce l’abbiamo fatta, siamo dentro al rap!!!!!”

Tutto questo mi fa dire, proprio in questi giorni cupi per TheClassifica, che non lo sa più se ha un senso e un futuro
(okay: se ha un futuro)
che posso persino rispolverare un mio vecchio riempipista, quello dei numeri uno che sono come Berlusconi. E i Club Dogo sono realmente, sinceramente Berlusconi. Hanno spruzzato il loro Dompe sugli snob e i duriepuri, hanno simulato origini umili proprio come lui, il figlio del direttore generale della Banca Rasini, si sono rivolti alla tamarreide offrendole un sogno di rivincita, di riscatto zarrogante dai propri sensi di inferiorità, facendo balenare un mondo che ha una sola legge, quella del califfo Califano: “Nella palude se sarva solo er coccodrillo”.

Se non che, i Club Dogo da ieri sono al numero 2.
Ve l’ho già detto quanto è importante la seconda settimana, vero? Sì, venti righe fa. Però magari venti righe fa non c’eravate. Quindi il n.2 dei Club Dogo alla seconda settimana è in ogni caso rilevante, sapendo che al n.1 oggi c’è un’uscita su cui si poteva scommettere, ovvero Fabi Silvestri e Gazzé.

(“Sono come Berlusconi anche loro?” “…Io e te dobbiamo parlare” “Guarda, io e te stiamo parlando” “Intendo dire in privato. Non esiste che vieni qui a infastidirmi. Non ho mai sentito di uno che va a spaccare i maroni a se stesso. Ma perché mi leggi? Cioè, d’accordo, sei me, quindi sei costretto – però non hai cose più importanti da fare?” “Lo faccio per dare la connotazione autoironica, che è il segnale di contemporaneità. Non sei mica andato a dire queste cose, alla Festa della Rete?” “Sì, ma non è una buona ragione per questa gag del dissidio interiore alla Gollum” “Pure, funziona. Sei il critico con l’autocritica incorporata. Chi ti ammazza?” “Tu. Perché devi sempre essere critico?” “Senti, non ne posso più, parlami di Niccolò Fabi. A proposito, non l’ho mai capito, è con una C o due?”)

Niccolò Fabi è il cavallo da tiro del terzetto, in un modo che forse dall’esterno sarebbe difficile sospettare, ché uno penserebbe che gli altri due, con le loro impennate tra dance, paranze, pantomime con gli occhi da Marilyn Manson, non siano inclini a farsi mettere il guinzaglio da quello con l’aria più timidina. Ma non sottovalutate mai un cantautore – e Fabi è il più cantautore dei tre, determinato nel trainare a testa bassa il supergruppo dell’Urbe dove vuole lui. Qualcosa di Crosby, Stills & Nash ce l’hanno, specie nelle armonie vocali e nel piglio un po’ didascalico di certi pezzi con vista sul pianeta. Ma ditemi se non vi sembra che vocalmente Gazzé e Silvestri vadano a sciogliersi nella voce di Fabi (cosa che secondo me dipende dal fatto che, mettiamola così, io non so se avete mai provato a ingaggiare una discussione con Fabi) (però, come dire) (avreste più possibilità di spuntarla con mia madre). Occhio, non lo dico in senso strettamente negativo: ci sono alcuni pezzi del disco che mi piacciono davvero, e mi piacciono soprattutto perché le armonie vocali, nella canzone italiana, erano andate quasi perse, mentre qui svolazzano vaporose come le Frecce Tricolori. In ogni caso, io non sono contrario alla terna, anche perché se ci pensate non è una joint-venture che moltiplica il pubblico: sbaglierò, ma il fan di Silvestri è già anche fan di Fabi e di Gazzé, e viceversa: il matrimonio d’affari alla Jovanotti-Carboni, all’epoca seguiti da fan tra loro lontanissimi, fu ben altra cosa.

(“Lunghino, oggi, eh?” “Eh! Mi spiace”)

E tuttavia, proprio per le ragioni che ho detto pocanzi, si sente che manca il Neil Young della situazione, il musone scontroso che mette a disagissimo gli altri tre, spingendoli però a dare il meglio anche solo per non essere guardati dall’alto in basso. Io ci avrei visto bene Frankie Hi-Nrg, loro avevano pensato a Samuele Bersani. Che è un altro che se gliene dai occasione può essere pesantissimo, LOL – ma gente, i cantautori sono così, cosa pensavate? Sono dei macigni, cospetto. Voglio dire, Paolo Conte, De Gregori, Ruggeri, Ciampi – più un cantautore è pesante, meglio è: perché è QUESTO che lo istiga a tentare di far volar leggere le parole.

(“Posso interromperti?” “Sì, dopo la frase precedente fa anticlimax” “Se ho capito bene, stai facendo tre classifiche in una?” “Sì. Due settimane fa, al n.1 c’era Ensi. La settimana scorsa, i Club Dogo. Questa settimana, Fabi Silvestri Gazzè” “Capito. E finora hai parlato solo di quelli al n.1. Come pensi di fare per le altre 99 posizioni moltiplicate per tre, cioè 297 dischi?” “Quello lì è il casino vero” “Anche perché poi, il passaggio da Ensi a Club Dogo ai Tre Amigos ti obbliga a cercare di contestualizzare il tutto in un quadro generale, no?” “No, quello no” “Come, no???” “Ma fammi il piacere”)

Robe di top ten. Sono transitati nella diecina nobile un po’ di nomi che vale la pena di citare. Due settimane fa, Maroon 5, addirittura secondi all’esordio, poi lestamente slittati a valle; Il Cile, entrato al n.10 e inabissatosi al n.29 sette giorni dopo (oggi è n.45), nonché Lowlow & Mostro, entrati al n.9, e nel giro di quindici giorni, ritrovatisi 98esimi. La settimana scorsa invece al n.2 è entrato Gianluca Grignani, subito uscito dall’incantesimo: sette giorni dopo, è n.13.
(…eh, mi sa che so cosa state pensando) (oppure viceversa, siete voi che sapete cosa sto pensando) (guardiamoci significativamente per qualche secondo ancora) (bene, può bastare)

Credo valga la pena citare le performance di nomi tenuti abbastanza d’occhio negli ambienti che contano. Robert Plant, ingresso al n.10. Interpol, al n.25. Non vorrei sbagliare, ma mi pare fossero entrati in top ten in America. Come Ryan Adams, del resto (da noi, n.45). Ma questo era la settimana scorsa: le newentries di ieri sono Slash al n.3 (un disco che avrebbe dovuto chiamarsi: More of Quellarobalà), Ariana Grande al n.4 (mamma mia, quanto lo trovo spiacevole, il suo disco) (non trovo altri termini: spiacevole) (però a qualcuno piace, quindi shhh, silenzio) e al n.5 il notevole Joe Patti di Battiato e Pinaxa, pieno di solenne marchingegnosità, infine i Marlene Kuntz che mancano la top ten (Pansonica, n.11). Ed ora corriamo, sbilenchi ed ebbri di tanto TheClassificare, verso le rubrichine finali.

Born tu dai. Ultraviolence di Lana Del Rey è al n.65. Mentre Born to die, non so come dirvelo. Non è più in classifica. Non guardatemi così, non lo so come sia potuto succedere. Dopo centoventi settimane e passa a fluttuare al numero quarantaqualcosa, di colpo il tipo che ogni lunedì comprava otto copie dell’album dev’essere incappato in una carambola fatale. Non mi sento di sbilanciarmi su questa vicenda. Cercate di capirmi.

Miglior vita. Nonostante un album del Banco (Un’idea che non puoi fermare) che entra al n.17 ma soprattutto con il vaiacapirennale di Hendrix e del concerto al Rainbow Bridge (n.45), non aspettatevi una cornucopia di spettri canterini: la quota rimane attorno al 10%. Ma essendo i morti 11 e la classifica fatta di 100 posizioni, voi m’insegnate e io v’imparo che per la precisione la quota è l’11%.

Pinfloi. Trionfo! Le zozzerie gilmouriane vanno giù per lo scivolo, e solo i tre big rimangono in classifica a ricordarci dolcemente che la vita è sopruso e incomunicabilità: n.43 The dark side of the moon, n.52 The wall, n.70 Wish you were here.

(“Okay. Finito, finalmente? O c’è altro?” “Mah, giusto una cosa”)

Altro. Io non appartengo più, il disco dell’anno scorso di Roberto Vecchioni, rientra in classifica al n.67.
E magari voi questa cosa la prendete pure bene – però io adesso dopo aver pubblicato questo pezzo vado a letto. E lo faccio pensando a Vecchioni che rientra in classifica e vai a capire cosa c’è dietro. Sinceramente – voi riuscireste a prendere sonno?

4 Risposte a “TheClassifica 51 – Dogo Silvestri & Gazzé”

  1. Grazie di essere tornato, davvero. Sarebbe lunghissimo commentare tutto (però l’ho letto, davvero) quindi una sola domanda: ma il nuovo disco di Ariana Grande è spiacevole perché ricorda Mariah Carey? O perché la ricorda meno del suo primo album (che personalmente mi era piaciuto di più)? O nessuna delle due? Un saluto.

    1. No, ci sei. E’ uno dei dischi più imitativi che io abbia mai sentito, non solo Mariah Carey ma in generale di Tutto Quello Che Per Le Altre Funziona”. Non ci trovo personalità – ma non ho visto i video, ho la sensazione che lo sforzo di originalità sia stato messo tutto lì.

  2. ottimo pezzo; sul cd del trio concordo in pieno.
    prima di ascoltarlo partivo da una conoscenza:
    totale o quasi di silvestri(mi piace assai)
    scarsa di gazzè(una decina di pezzi)
    quasi nulla di fabi(4-5 pezzi).

    è un disco secondo me concepito e suonato benissimo.
    e i pezzi migliori sono quelli di fabi, a mio parere.

    e concordo quando dici che le voci di gazzè e silvestri si sciolgono dentro quella di fabi:pare che prevalga, o comunque la sua impronta è veramente forte.
    comunque, al netto di un paio di canzoni poco significative, credo che sia una operazione rilevante per l’attuale musica italiana.
    non trovi?
    ciau (tra parentesi)

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