AMARGINE

TheClassifica 29. Bruno Seahawks, Red Hot Chili Broncos, alè #Ale

A un certo punto, quando sono entrati i Red Hot Chili Peppers per un omaggio a un gruppo cui si ispirano da anni – i Red Hot Chili Peppers – è sembrato un po’ di vedere i Denver Broncos che boccheggiavano. Invece no! Era semplicemente il rock al massimo delle sue potenzialità attuali contro il pop al massimo delle sue potenzialità attuali. Lasciate perdere il tifo: io, per stolidità personale (che condivido, temo, con alcuni di voi) posso anche soffrire per lo zio Rock’n’Roll che annaspa nella mota. E comincio ad avere sempre meno simpatie personali per la sorellina pop, truccata, siliconata già in utero da strapagati dottori di Los Angeles. E sempre più compiaciutamente scrofa – vedere, per credere, Can’t Remember to Forget You, il nuovo video di Shakira e Rihanna, apogeo del bitch pop: che me lo aspetto da Rihanna che ne ha fatto una missione, ma Shakira! Che c’ha un’età! E una famiglia! E si vanta di frequentare Gabriel Garcia Marquez! E che due pesos li avrà pur messi da parte, per non dover ancora rincorrere i millenovecentododicimilamiliardi di pageview e di commenti-grugnito con l’ennesima pantomima “Lesbo & Hot”.

(no, non ve lo embeddo) (per quanto, tirare su anch’io un migliaio di pageview) (e di commenti-grugnito) (ci devo pensare)

Resta il fatto che Bruno Mars, in cinque minuti, mentre Guido Bagatta diceva “Eh, certo non è i Rolling Stones o Springsteen” (bella lì, Guidone), ha tenuto incomparabilmente meglio la scena personalmente, con i suoi zompi, ma anche musicalmente. Mettendoci dentro tutto ciò che ha reso eccitante, a partire dal Novecento (fatta esclusione per Paganini, naturalmente) il semplice atto di vedere qualcuno che suona su un palcoscenico. E mentre Kiedis e gli altri consunti miliardari attingevano da se stessi, non potendo fare altro, ser Brunetto attingeva da Sly & Family Stone e James Brown, con uno spruzzo di Police, che comunque anche loro ai veri rocker hanno sempre fatto storcere il naso.

Come? Ah, già, la classifica. Beh, sempre Bruce Springsteen – detto il Boss – al n.1. Però MiticoLiga scende al n.3. Perché al n.2 irrompe Ale. 

Alessandro Casillo è nato nel 1996 e io non so chi sia. Il che è (blandamente) interessante. Nel senso che io dovrei saperlo, non trovate? Per mestiere. Invece no, non so chi sia così come, potrei scommetterci, un buon 60% dei miei colleghi (ma ho voluto rimanere basso). D’altra parte non ho letto praticamente nulla in giro sui Klingande, numeri uno da un mese nelle classifiche italiane dei singoli con Jubel. E dire che incidono per un’etichetta italiana. Che trista indifferenza per le cose che vendono, no? Per le cose che succedono. A noi media importa solo #quellodicuisiparla.

Però questa non è una giustificazione per ME. Sono come Lord Jim io, cosa credete. E’ un campanone di allarme, che io non conosca il n.2 in classifica. Il numero 10, ancora ancora. In questa fase in cui vai al n.10 con duemila copie vendute.

(ho detto 10, e non 9) (al n.9 c’è l’altra importante nuova entrata della settimana, Zen Circus) (ma fatemi stare su Casillo un momento)

Il problema è che Casillo non viene nemmeno fuori dagli Amicidimaria, che li schifo a priori.

(e non per snobismo, ma per incompatibilità musicale. Consideriamo “musica” due cose diverse) (you say tomato, I say tomahto)

Casillo viene fuori da Io Canto. Programma condotto da Gerry Scotti per talenti under 16. Non lo ha vinto. Però dopo aver partecipato, pochi mesi dopo ha vinto Sanremo Social (giacché quell’anno Sanremo Giovani avevano voluto chiamarla così, perché alla Rai sanno intercettare le tendenze, sapete, hanno queste antenne) nel 2012, l’anno in cui Sanremo Vecchi fu vinto da Emma (che annata, eh, Maria?) (sempre grazie). Questo al secondo posto è il suo secondo disco. Si chiama #Ale. Con l’hashtag. Come quello di Mengoni, #Prontoacorrere. E quindi, vedete, questo Paese ha fatto strani pasticci col Socialismo, ma ora si butta entusiasta nella Socialità.

Cosa vorranno dire? Perché hashtaggano il titolo? Sarò wikipedante: “L’hashtag è utilizzato principalmente come strumento per permettere agli utenti del web di trovare più facilmente un messaggio collegato ad un argomento e partecipare alla discussione, ma anche per incoraggiare a partecipare alla discussione su un argomento indicandolo come interessante”. Sì, insomma. Più o meno. Perché è evidente che è soprattutto un ammicco, ad escludere i matusa. Che però, sono quelli che garantiscono l’esistenza della trasmissione Io Canto di Gerry Scotti: senza il pubblicone delle mamme e dei papà (non quelli freschissimi, si direbbe) e delle giovani nonne, non esisterebbe il prime time, e allora #tisalutoAle. Ciò insinua un dubbio: in Italia Gerry Scotti e la Maria stanno forzando un’alleanza tra la generazione over 50 e quella under 16 che è tutta televisiva, taglia fuori i 30-40enni e, al traino, quello che era il loro mezzo di approvvigionamento musicale, la radio – a meno che voi possiate dimostrarmi che le radio italiane, comprese quelle che per puro disprezzo della specie passano i Modà, propongano nelle loro scalettine anche #Ale e gli Amicidimaria e Justin Bieber. No, non succede. E l’alleanza vede tagliati fuori anche i negozi di dischi: gli artisti hip hop e i teen idols italiani si manifestano di persona direttamente nei negozi di videogiochi.

Analogamente, poche ore fa in America, Bruno Mars tagliava fuori il rock, sciorinando tutto ciò che è musica contagiosamente divertente e senza le pretenziose pompe dello zio Rock’n’Roll, partendo addirittura da un assolo di batteria non alla John Bonham, ma alla Gene Krupa.

Insomma ci stanno tagliando fuori, gente. A me e a voi. LOL.

Avrei altro da dire in merito (musicalmente, beninteso) su noi generazione con tanti santi e troppi eroi. E sarei tentato di approfittare dell’ottavo rancoroso disco del Circo Zen, Canzoni contro la natura (il precedente si intitolava Andate tutti affanculo. Ammetterete che è già bello che a sto giro se la prendano con qualcun altro). Ma vorrei aspettare il momento di bonanza di dischi indie o pseudoindie italiani che si verificherà tra qualche settimana. In particolare, aspetto Dente e Luci Della Centrale Elettrica. Sarò onesto con voi, non voglio mica che succede che a voi vi piaciono (like!) e poi mi mettete su il broncio quando vedete cosa scrivo, eh – la verità è che li aspetto come Jack Nicholson aspettava Scatman Crothers in Shining.
Frattanto, se siete quelli cui piacciono le canzoni-manifesto, non posso non segnalarvi dal succitato disco dello Zen Circus lo sfogo dell’anno – ed è solo gennaio. Si chiama Viva e apre con “Il mio voto vale quanto quello di questo imbecille”; stempera con “Circondato da idioti. Non me ne frega niente”. Infine lancia il suo giulivo inno alla gioia: “Di cosa ridete? Di cosa urlate? Tutti viva qualcosa, sempre viva qualcosa: evviva l’Italia, viva la figa, viva il Duce, evviva la vita, viva il re, viva gli sposi, viva la mamma, e viva i tifosi, viva la pappa col pomodoro, viva la pace, evviva il lavoro, viva la patria e la Costituzione”.

E nel ragguagliarvi sugli altri componenti della top ten (Mika, Pausini, Giorgia, Elisa, One Direction, Modà), non posso non soggiungere: Viva TheClassifica. A presto.

Una risposta a “TheClassifica 29. Bruno Seahawks, Red Hot Chili Broncos, alè #Ale”

  1. delle classifiche (di dischi in particolare) me ne frega poco, oltretutto ci sono nomi sconosciuti che rimarranno tali (spero per me), però questo blog dà un tono all’ambiente e mi diverto assai

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